Attualità

Lutto. Morto Salvatore Mazza, vaticanista di Avvenire. Raccontò la sua lotta con la Sla

Redazione Internet e Mimmo Muolo lunedì 26 dicembre 2022

È morto Salvatore Mazza, 67 anni, vaticanista di Avvenire e a lungo presidente dell'Aigav, l'associazione dei vaticanisti accreditati presso la Santa Sede.

Collega stimato, gentile, disponibile con i più giovani, era da tempo malato di Sclerosi Laterale Amiotrofica che definiva «“la bastarda” (come familiarmente chiamiamo tra di noi la Sla)».

«Una malattia infame, che ti può prendere in qualunque momento - scriveva Mazza ricordando la morte improvvisa di alcuni compagni di viaggio -. In questo momento ci sono, tra un minuto chissà. E intendo davvero un minuto, sessanta secondi. In teoria questo è così per tutti, certamente. Ma per chi ha la mia stessa malattia lo è un po’ di più». Il giornalista di Avvenire condivideva su queste pagine quel senso di precarietà che ti dà la Sla «assoluto e implacabile e se per caso, magari anche solo per un attimo, te lo dimentichi, o ti distrai, ci pensa lei a riportarti con i piedi per terra». Il racconto della sua malattia, diagnosticata già nel 2017, dalle colonne del giornale per cui aveva lavorato una vita, Avvenire, trovava spazio nella sua rubrica "Slalom" nella quale parlava appunto della Sla che via via aveva ridotto nei mesi le sue capacità di muoversi e di parlare. Ma non di guardare e raccontare il mondo pur dal letto nel quale era costretto a vivere. In quei suoi appuntamenti scritti, seguiti da molti trapelavano sempre la sua fede profonda unita a una lieve ironia.

Oltre a Slalom, Salvatore Mazza curava anche un appuntamento settimanale di riflessione sui temi legati al pontificato dal titolo «Su questa pietra». L'ultima puntata di «Su questa pietra» è stata pubblicata proprio il 24 dicembre.

Al cordoglio di Avvenire si è associato anche Vincenzo Corrado, direttore dell’Ufficio Nazionale per le comunicazioni sociali della Cei, a nome anche di chi l'ha preceduto nello stesso incarico e dei direttori e responsabili di tutti gli Uffici e dei Servizi della Conferenza Episcopale Italiana. «Sono ambienti che Salvatore ha frequentato e abitato, con professionalità e disponibilità, nel suo servizio alla Chiesa in Italia. Sono ore in cui i ricordi personali si mescolano ai sentimenti più profondi e, insieme, fanno emergere quel senso di gratitudine per la testimonianza donata, nella salute e nella malattia. La nascita al cielo di Salvatore è anche un messaggio forte. Nulla è casuale: dalla gioia per la nascita del Bambino (25 dicembre) alla grande prova del martirio di Stefano (26 dicembre). In questo connubio, che è la sintesi della vita cristiana, ci ha lasciati Salvatore. Quasi fosse una sorta di testamento non scritto: gioia e sofferenza. Tutto nell’affidamento al Padre misericordioso».

Vatican Media


Chi era Salvatore Mazza: il calvario affrontato con ironia e fede profonda

(di Mimmo Muolo, ha collaborato Antonio M. Mira)

Se le date hanno un significato, non c’è dubbio che questo 26 dicembre 2022, giorno della nascita al Cielo di Salvatore Mazza, per oltre un trentennio vaticanista di Avvenire e per diversi anni anche vicecapo della Redazione Romana di Avvenire, parla e dice molte cose della vita del nostro collega e amico. Così come del resto anche quella della sua nascita, il 28 giugno del 1955. Santo Stefano e la vigilia dei santi Pietro Paolo. Questi i due punti cardinali dell’esistenza terrena di Salvatore Mazza. Per un vaticanista, che cosa chiedere di più? Colpisce, però, soprattutto la data odierna. Mentre siamo avvolti dalla luce del Natale e ricordiamo Santo Stefano, il primo martire. Ebbene, non è per enfasi che possiamo vedere in questo esito che gli apre le porte della vita eterna il segno del compimento di un “martirio” nella sua terribile malattia, vissuta fino all’ultimo con cristiana consapevolezza della Croce, il dolore che salva, e mai però abbandonando, fino all’ultimo e in una così grande sofferenza, il sorriso bonariamente ironico che lo aveva connotato in tutte le sue giornate di uomo, di marito, di padre e di giornalista. Del resto, basta rileggere quanto ha scritto in questi anni di calvario per rendersene conto.

Salvatore Mazza, nato “per caso” a Genova (perché lì all’epoca lavorava suo padre), poi vissuto per qualche anno a Napoli (città di cui si era sempre detto innamorato) e infine approdato nella “sua” Roma, aveva in un certo senso preso dalle tre città i tratti caratteristici di ognuna. L’amore per le visioni di ampio respiro e la storia, il tocco “artistico” dei suoi scritti, ma soprattutto (ed era qui specialmente la sua romanità) quell'ironia che lo connotava verso tutto e tutti e che però mai tracimava nel sarcasmo o nello sberleffo. Il rispetto degli altri, anche di chi non la pensava come lui, quale somma regola di vita. Imparata nelle due “scuole” di cui andava fiero e i cui insegnamenti affioravano spessissimo nei suoi discorsi e nei suoi articoli: il rugby e gli scout. Aveva praticato in gioventù quello sport apparentemente violento (citava sempre Oscar Wilde, secondo cui era un ottimo modo per tenere trenta energumeni lontano dal centro città il sabato pomeriggio) eppure profondamente rispettoso degli avversari. Ed era stato nell’Agesci, di cui era stato anche capogruppo, mutuandone i valori di curiosità intellettuale, gusto per l’esplorazione e rispetto della natura, oltre all’amore per Gesù Cristo e la Chiesa.

Nella famiglia di Avvenire si era affacciato fin dal 1981, iniziando a scrivere per Roma Sette. Poco dopo aveva cominciato a collaborare con le pagine della Cronaca di Roma, distinguendosi per l’acume di giovane cronista e a metà degli anni Ottanta del secolo scorso era stato assunto, iniziando ad occuparsi di informazione religiosa, insieme con Fabio Zavattaro (poi passato in Rai) e Silvano Stracca. Tuttavia, seguendo il Pontificato di san Giovanni Paolo II e l’attività della Chiesa italiana - in quegli anni che videro la trasformazione della Cei nella realtà che oggi tutti conosciamo grazie all’azione di presidenti come i cardinali Ugo Poletti e Camillo Ruini, e la segreteria generale dello stesso Ruini e del futuro cardinale Donigi Tettamanzi - non perse mai il gusto per la cronaca, che esercitava soprattutto nelle documentate analisi e nel racconto dei viaggi di papa Wojtyla in Italia e all’estero. Da lui, quando poi nel 1991 sono stato chiamato a sostituire Zavattaro, ho imparato gli strumenti del mestiere di vaticanista. E Salvatore non aveva mai bisogno di alzare la voce o di salire in cattedra, per insegnare. Bastava il suo esempio. Bastava leggere i suoi lucidi pezzi e guardare l’amore che lo legava a Giovanni Paolo II prima, poi a Benedetto XVI e negli ultimi tempi, prima di andare in pensione e poi nella già citata rubrica “Su questa pietra”, a Francesco, di cui raccontò, tra gli altri. il primo viaggio internazionale, quello in Brasile per la Gmg del 2013 (era tra i giornalisti al seguito sul volo papale).

Per il Pontefice ora santo, in particolare, aveva una venerazione già in vita. E ricordo benissimo la sua emozione di quando, durante uno dei soggiorni del Papa in Valle d’Aosta, insieme con Franco Pisano dell’Ansa e Salvatore Izzo dell’Agi, ebbe il privilegio di intervistare il Papa (all’epoca le interviste di un Pontefice, diventate bella consuetudine con papa Bergoglio, erano autentici scoop). E anche in quella occasione vennero fuori le sue qualità di cronista, insieme con la fine autoironia, specie quando descrisse da par suo il timore che il registratorino usato per fissare le parole del Papa facesse qualche scherzo (la tecnologia di allora non era paragonabile a quella odierna). Amava anche ricordare l'incontro a Calcutta con madre Teresa di Calcutta, quando la "piccola matita di Dio", refrattaria alle interviste, lo face aspettare diversi giorni, prima di concedergliene una e gli donò anche un fazzolettino di stoffa, che lui ha sempre custodito come una reliquia. Negli anni ’90 e poi dopo il Grande Giubileo del 2000 è stato presidente dell’Aigav, l’associazione dei vaticanisti, apprezzato e stimato da tutti i colleghi, sia italiani sia di altre nazionalità.

Appassionato di politica internazionale, seguiva con particolare interesse le vicende dei cattolici cinesi (di cui documentò in più occasioni le sofferenze a causa del regime comunista) e vietnamiti, i rapporti ecumenici con il patriarcato di Costantinopoli e quello di Mosca e tutti gli sviluppi della perestrojka che portò agli storici incontri tra Giovanni Paolo II e Mikhail Gorbaciov. Come vicecapo della Redazione Romana di Avvenire, lavorò a stretto contatto con il caporedattore Gianfranco Marcelli, e talvolta si trovò a sostituirlo (per la turnazione delle ferie) in occasioni tutti in redazione ricordiamo benissimo, come ad esempio la cattura di Totò Riina. Al che, da quel giorno, eravamo noi a prenderlo un po' in giro, ogni volta che sedeva al posto del caporedattore: “Salvatore, che notizia “bomba” dobbiamo aspettarci oggi?”.

Orgoglioso della sua famiglia, innamorato come il primo giorno della sua Cristina, fiero delle figlie Giulia e Camilla, ci lascia anche da questo punto di vista una testimonianza coerente con quanto professava per fede e raccontava come giornalista. E proprio questi ultimi anni di malattia vissuta con l’instancabile conforto dei suoi familiari, cui vanno il nostro affetto e le nostre condoglianze, costituiscono probabilmente il lascito più prezioso e il “pezzo” più dolorosamente bello che abbia scritto.

Qualche mese fa si era fatto interprete delle sofferenze dei seimila malati italiani di Sla scrivendo anche una lettera aperta alla premier Giorgia Meloni, senza finora ricevere risposta. Nelle cronache di “Slalom” (titolo anche qui finemente ironico) ha saputo raccontare le sue vicissitudini e le sue sofferenze, senza mai aprire la porta allo sconforto o peggio alla disperazione. Lui che amava vivere all’aria aperta, viaggiare (anche in motocicletta), fare l’inviato, costretto a restare prigioniero del proprio corpo. Ma anche in questo ha saputo far propria la grande lezione nella sofferenza dell’amato Giovanni Paolo II, cui dedicò subito dopo la morte anche un documentario in cui cronaca e poesia si sposavano mirabilmente. Memorabili le ultime immagini di quel filmato che alternavano il difficile percorso in sedia a rotelle del Papa verso la famosa finestra su piazza San Pietro con inquadrature della finestra stessa. Fino a mostrarne la vista su Roma. Così lo immaginiamo adesso che, dopo il calvario della malattia, si è finalmente affacciato sull’eternità. E magari sarà stato proprio san Giovanni Paolo II ad accoglierlo e a introdurlo al cospetto dell’Altissimo. Presenti, naturalmente Stefano, Pietro e Paolo. Perché se è vero che lassù il tempo non conta più, le date comunque continuano a parlare. Buona vita eterna, Salvatore.