L'inchiesta. Migranti, armi e petrolio, tre mesi di misteri su Bija
Migranti in un centro di detenzione libico
Molte domande e nessuna risposta ufficiale. A quasi tre mesi dalle rivelazioni di Avvenire sul caso Bija, (qui tutti gli articoli) né l’attuale governo né gli esponenti degli esecutivi in carica dal 2017 hanno ritenuto di dover chiarire. Al contrario non mancano tentativi di depistare e insabbiare. Il comandante al-Milad, nome de guerre Bija, era arrivato in Italia nel maggio 2017 per partecipare a una serie di incontri nonostante su di lui pendessero da mesi le accuse della stampa internazionale e di numerose organizzazioni umanitarie che lo indicavano tra i più attivi trafficanti di uomini, petrolio e armi.
Bija, nel frattempo tornato al comando della cosiddetta guardia costiera nell’area di Zawyah, pochi giorni dopo essere stato accolto nel nostro Paese venne indicato dalle Nazioni Unite quale esperto e spietato contrabbandiere di esseri umani. Accuse peraltro circolate prima della missione a Roma in un dossier dei servizi segreti austriaci e in un’analisi del Centro Alti di Studi del Ministero della Difesa italiano.
Il 2 novembre, proprio mentre il premier Conte annunciava di aver chiesto un aggiornamento del memorandum Italia-Libia (anche dell’avanzamento di questa rinegoziazione nulla si sa, quando manca un mese alla riconferma definitiva del vecchio accordo) da queste pagine venivano posti alcuni interrogativi.
Li riproponiamo: Chi erano i membri della delegazione libica? Da chi sono stati selezionati i componenti della delegazione? Chi e perché ha fatto circolare la falsa notizia sui documenti contraffatti con cui Bija era arrivato a Roma? Quale è stato il programma di viaggio della delegazione libica? Quali ministeri sono stati visitati? Quali funzionari ha incontrato Bija? A quale scopo? L’Italia poteva non sapere chi fosse Bija?
Alcune risposte sono arrivate. Non dal governo. La giornalista Nancy Porsia, finita poi sotto protezione, ha recentemente mostrato su Rainews24 un documento dell’Organizzazione mondiale delle migrazioni (Oim) nelle quali figurano i nomi di 13 libici accreditati per quella occasione dalle autorità italiane. Si tratta di emissari, all’epoca, del ministero dell’Interno e di altri dipartimenti del governo tripolino.
Tra essi figura, con il nome correttamente riportato, proprio al-Milad. Fra le altre persone indicate vi sono anche alcuni “coordinatori” dei centri di detenzione ufficiali, finanziati dall’Italia e dall’Unione europea, che secondo le Nazioni Unite andrebbero chiusi a causa delle ripetute e gravi violazioni dei diritti umani, comprese «tortura, stupri, uccisioni sommarie, compravendita di schiavi». Uno dei mancati depistaggi riguarda il visto ottenuto da Bija, inizialmente accusato da fonti anonime, riportate da alcuni quotidiani, di avere presentato documenti falsi per ottenere il visto dall’ambasciata italiana a Tripoli.
Lo stesso Bija ha poi mostrato alla giornalista Francesca Mannocchi, che lo aveva intervistato per l’Espresso e Propaganda Live, la copia del visto perfettamente regolare, con i dati anagrafici corretti e mai smentiti dalla Farnesina. Il programma completo dei meeting resta avvolto nel mistero. Da nostre ricostruzioni, emerge che il gruppo arrivato da Tripoli si trovava il 9 maggio a Roma, l’11 a Mineo, nel Catanese, e il 15 sarebbero rientrati in Libia. I libici si sono recati al ministero dell’Interno, presso quello della Giustizia e al Comando delle Capitanerie di Porto.
Dopo i riguardi ricevuti in Italia, la “leggenda” di al-Milad in Libia è cresciuta. Perfino oltre il suo reale peso all’interno della milizia al Nasr, saldamente in pugno ai fratelli Kachlav. Non è un caso che negli ultimi giorni l’aviazione del generale Haftar stia martellando proprio Zawyah e i porto della città, vera roccaforte dei Kachlav e di Bija, da dove salpano i barconi di migranti e numerose navi per il contrabbando di petrolio.
La raffineria di Zawyah, tra le maggiori della Libia, è sorvegliata sempre dalla milizia al Nasr, che dunque detta legge in fatto di migranti, petrolio e, secondo fonti militari dell’Ue, anche nello smercio di armi. Nei giorni scorsi un jet della Cirenaica è stato abbattuto e il pilota, un ufficiale fedele ad Haftar, è stato catturato vivo ed esposto, prima in divisa e poi in mutande, nell’ufficio di uno dei capi della milizia al Nasr.
Nelle prossime settimane il Consiglio di sicurezza Onu esaminerà il rapporto degli esperti delle Nazioni Unite che hanno investigato sul campo. Da quanto trapela, i contenuti della lunga inchiesta di Avvenire, rilanciata dai media di tutto il mondo, hanno trovato numerose e compromettenti conferme.