Biomedicina. Terapia genica, il «bisturi del Dna» funziona
Lo scorso novembre Brian Madeux ha fatto storia rimanendo tre ore collegato a una fleboclisi. Il liquido limpido che gli gocciolava nel braccio ha infatti scatenato nel suo corpo una catena di eventi che si è conclusa – ora finalmente lo sappiamo – con l’inserimento preciso nel Dna delle sue cellule epatiche di un gene che a Madeux mancava dalla nascita. Oggi, tre mesi dopo, sappiamo anche che il 44enne ha buone probabilità di guarire dalla Sindrome di Hunter, una malattia genetica che causa rigidità articolare, problemi respiratori, ritardo dello sviluppo e richiede molteplici interventi chirurgici (26 nel caso dello statunitense).
Osservatori indipendenti hanno infatti confermato che il pionieristico trattamento di modifica genetica, condotto dalla società biotecnologica Sangamo Therapeutics, ha avuto un buon inizio senza presentare effetti collaterali allarmanti e mostrando segnali promettenti di successo. Tanto che il processo – il primo di applicazione di una terapia genetica nello stesso corpo del paziente – è già stato avviato un mese fa su un secondo paziente affetto da un’altra ma-lattia metabolica – la Sindrome di Hurler (una malattia nella stessa categoria della sindrome di Hunter) – e, in questi giorni, replicato su un uomo colpito da emofilia.
«Entriamo nel corpo, tagliamo il Dna, lo apriamo, inseriamo un nuovo gene, lo ricuciamo»: così Sandy Macrae, presidente della Sangamo, descrive la rivoluzionaria procedura. La spiegazione più tecnica è che un enzima, le nucleasi con dita di zinco, viene utilizzato insieme a un virus per trasportare un nuovo gene nel corpo. Insieme viaggiano verso il fegato, dove inseriscono il gene funzionale, che dovrebbe produrre l’enzima mancante. In precedenza, i geni venivano modificati in laboratorio nelle cellule affette, quindi reinseriti nel paziente usando una tecnologia che, sebbene in fase sperimentale, esiste dal 1989. Quello di Madeux è stato il primo tentativo di modificare un gene in vivo. Il primo risultato positivo non può far dimenticare le incognite legate a un simile passo. La modifica del patrimonio genetico di una cellula infatti non è infatti reversibile: tutto ciò che viene fatto al Dna è permanente. Questa sfida era presente anche per le terapie geniche dove il Dna è corretto in laboratorio, ma in questo caso le cellule modificate potevano essere attentamente esaminate prima di venire reintrodotte nel corpo. Il vantaggio della nuova tecnica è la precisione. In passato infatti ci si affidava solo a determinati virus per inserire i geni in luoghi alquanto casuali nel genoma delle cellule difettose, rischiando l’inserimento in posizioni dove potevano causare il cancro. Le nucleasi con dita di zinco sono ingegnerizzate per trovare uno specifico tratto di Dna, in cui un nuovo gene può essere inserito in modo sicuro.
Ed è questo che, stando ai primi risultati, sembra essere successo a Madeux. Sebbene Sangamo, che ha sede a Richmond, in California, sia necessariamente cauta, alcuni medici che hanno seguito il paziente parlano di indizi di guarigione. «Il primo paziente sta bene, tanto che si può sperare in una vera e propria scomparsa della malattia. Abbiamo ricevuto l’approvazione per procedere con un secondo paziente, che pure sta bene», spiega Paul Harmatz dell’University Children’s Hospital di Oakland, che ha trattato entrambi i casi.
Madeux ha avuto vertigini, sudorazione fredda e debolezza subito dopo il trattamento, ma i sintomi sono scomparsi da soli un giorno più tardi. Le condizioni del suo fegato non hanno fatto che migliorare e non si sono registrati i sintomi intossicazione epatica che avevano fatto fallire i primi esperimenti simili condotti su animali con dosaggi superiori. Questa osservazione costringe per ora i medici a scegliere con cura i pazienti da sottoporre al trattamento, evitando quelli con malattie causate da più di un gene, che richiederebbero dosi più elevate o molteplici trattamenti. Sono in vista anche altre sperimentazioni per una serie sempre più vasta di malattie metaboliche monogeniche, con l’obiettivo finale di curare i bambini. Questo aprirebbe la strada a una nuova era per i disturbi genetici, che potrebbero essere trattati fin dalle loro prime manifestazioni, nell’infanzia, risparmiando a molte persone il calvario vissuto da Madeux.