Gli esuli . L'incontro Mattarella-Pahor: riconciliazione, senza dimenticare la storia
Il presidente Mattarella e il presidente Pahor mano nella mano di fronte alla Foiba di Basovizza
Le immagini storiche dei due presidenti della Repubblica italiana e slovena, inchinati insieme davanti alla Foiba di Basovizza per la prima volta dopo 75 anni dagli eccidi del maresciallo Tito, sono ancora impresse dallo scorso 13 luglio negli occhi e nel cuore degli italiani esuli da Istria, Fiume e Dalmazia. Ma lo sono anche le altre immagini di quanto avvenuto lo stesso giorno sempre a Trieste alla presenza di Sergio Mattarella e Borut Pahor, quando i due capi di Stato si sono poi recati congiuntamente nel luogo in cui nel 1930 furono fucilati quattro sloveni del Tigr, l’“Organizzazione rivoluzionaria della Venezia Giulia” che all’epoca compiva attentati per favorire l’annessione delle regioni nord-orientali italiane al futuro regno di Jugoslavia, e hanno insignito del Cavalierato di Gran Croce lo scrittore italo-sloveno Boris Pahor di 107 anni, noto negazionista della tragedia delle Foibe, che immediatamente dopo aver accolto il prestigioso titolo italiano affermava alle telecamere: “Le Foibe? Tutte balle, mai successo” (per intenderci è la stessa onorificenza attribuita ieri al Quirinale a Sami Modiano, ebreo sopravvissuto ad Auschwitz). Contraddizioni che hanno spaccato il mondo degli esuli e reso necessario ieri fare il punto con un incontro in sala Nassirya al Senato, titolo “Riflessione e richieste conseguenti la visita storica alla Foiba di Basovizza”.
“Il nostro giudizio sull’operazione congiunta di Mattarella e Borut Pahor è assolutamente positivo – sottolinea subito Giuseppe de Vergottini, presidente di Coordinamento Adriatico –, questo è il modo in cui si dovrebbe procedere in Europa nei rapporti bilaterali, noi siamo gente che guarda al futuro, convinti che occorra imbastire i rapporti su un piano di collaborazione sempre reciproca”. Ma c’è un però: “Sarebbe improprio insistere sulla memoria condivisa per annacquare le esigenze della nostra storia, che è personale ma anche nazionale, e che dobbiamo far conoscere senza paura di essere scambiati per nazionalisti di vecchio stampo”. Ciò che proprio non va è “aver messo sulla stessa bilancia quattro fucilati da un Tribunale speciale della Difesa dello Stato fascista, e migliaia di civili uccisi senza essere mai stati incriminati di nulla, senza alcun processo, e in gran parte a guerra finita anche da anni”.
Ancora più scottante è il massimo riconoscimento della nostra Repubblica dato al Pahor scrittore, “certamente non ignorante”, dunque privo di alibi nel suo “falsificare e negare la storia”, conclude De Vergottini: “Lui e gli altri triestini sloveni sono cittadini italiani, hanno il dovere di fedeltà e di rispetto alla Repubblica italiana, come tutti i cittadini”. Anche il dovere di rispettare la legge, che punisce ogni negazionismo.
Negli anni le istituzioni italiane lentamente hanno preso coscienza di una parte di storia nazionale rimossa, fino al memorabile intervento di Mattarella nel Giorno del Ricordo del 2019: mai un presidente italiano aveva preso posizione tanto limpida ed esplicita sulla strage dei nostri giuliano-dalmati e sulle colpe incancellabili del regime comunista di Tito, denunciando nel contempo gli anacronistici tentativi tuttora in atto di negare o giustificare la tragedia.
“Ecco perché aver condotto per la prima volta dopo 75 anni su una Foiba il presidente di una nazione nata dalla ex Jugoslavia è talmente importante che ci ha permesso di superare certi aspetti non secondari”, ha commentato Franco Papetti, presidente dell’Associazione Fiumani Italiani nel Mondo. Ora – ha detto richiamando l’immagine di Mitterand e Kohl uniti per mano a Verdun nel 1984 per superare le tragiche inimicizie di Francia e Germania – anche Slovenia e Italia hanno riconosciuto i torti nostri verso di loro e del IX Corpus di Tito verso di noi nei famigerati 40 giorni di occupazione di Trieste. Aspettiamo analoga riconciliazione anche con la Croazia…”.
Ma tenendo il punto sulla verità storica: i quattro del Tigr erano antifascisti o terroristi attentatori all’unità italiana? E va bene che l’Italia abbia donato alla minoranza slovena di Trieste il Narodni Dom, ex Casa del Popolo bruciata nel 1920 in circostanze mai appurate, “ma non è accettabile raccontare la storia a metà senza spiegare che il giorno prima a Spalato erano stati uccisi il comandante della nave Puglia, Tommaso Gulli, e il suo motorista Aldo Rossi, culmine di due anni di continui pestaggi e devastazioni contro la popolazione civile italiana, che rappresentava la borghesia locale. Erano stati inviati a Spalato proprio per proteggere la popolazione civile dalle persecuzioni”, riprende de Vergottini. Che l’11 luglio sul Pincio ha posto una corona per i cento anni dall’omicidio dei due martiri, Medaglie d’oro e d’argento al valore militare, “ma nessuno della nostra Marina era presente. Noi siamo ben lungi dagli eccessi dei nazionalisti, chiediamo solo un’onesta conoscenza della storia”.
Antonio Ballarin, presidente di Federesuli, nato e cresciuto in campo profughi a Roma, auspica il rispetto di quanto semplicemente dovuto, e da troppo tempo: il presidente della Repubblica Ciampi concesse la Medaglia d’oro all’ultima amministrazione italiana di Zara. Era il 2001. Da allora non è stata mai consegnata: lo sarà nel “ventennale”? Non solo, i milioni con cui l’Italia ha pagato i debiti di guerra ai Paesi vincitori sono stati presi “in prestito” dalle tasche solo dei giuliano-dalmati: mai più restituiti, contro decine di trattati internazionali che inchiodano l’Italia. Inoltre nessun sopravvissuto alle Foibe è mai stato nominato senatore a vita o almeno Cavaliere di Gran Croce come Tito: “Titolo che ormai va revocato, ovviamente, ma poi nessun governo ha mai calendarizzato la cosa. Ringraziamo Mattarella che ci ha sempre aperto ogni porta e anche a Trieste giorni fa ha ribadito il suo impegno ad aiutarci perché tutti questi nodi trovino finalmente soluzione”.
Di grande interesse l’appello di Lucio Sidari, presidente degli italiani di Pola e Istria in Esilio: “Il 18 agosto 1946 sulla spiaggia di Pola a Vergarolla un attentato uccise oltre 110 civili durante una festa sportiva. Si tratta della prima strage terroristica e la più mortale della Repubblica italiana, nata due mesi prima: la stessa in cui viviamo oggi. Sono reati imprescrittibili, la Commissione parlamentare stragi se ne occuperà finalmente?”.