La psicologa della famiglia. «Diventare genitori va oltre la coppia»
Elena Canzi
Il vivo dibattito di queste settimane sul tema della maternità parrebbe restituirci l’immagine di una società che sente i figli non più come un dono, piuttosto come un peso. Ne sono evidenza i drammatici numeri della natalità in Italia: i nati nel 2022 sono appena 393mila e il numero medio di figli per donna è sceso a 1,24. A ciò si aggiunge l’innalzamento dell’età delle primipare, ormai ben oltre i 30 anni, e una conseguente diffusione del modello di famiglia con figlio unico (Istat, 2023). Queste tendenze, apparentemente inarrestabili, vengono raccontate, con una certa ragione, come il venir meno del desiderio di maternità delle giovani donne, più proiettate verso altre forme di realizzazione personale, prime fra tutte la formazione e il lavoro.
Se è certamente innegabile il decisivo coinvolgimento corporeo, emotivo e identitario della donna nell’avventura generativa, possiamo però affermare che “il far figli” è solo una impresa femminile? A ben rifletterci, la maternità può prendere corpo e realizzarsi compiutamente solo all’interno di un progetto di coppia entro cui condividere la responsabilità della cura, dell’educazione, della crescita e dello sviluppo dei figli. È la coppia di genitori, ciascuna con il suo equilibrio, ad assumersi questo incarico, in un patto di reciproca fiducia che potremmo così rappresentare: “faccio spazio a un figlio, in un movimento di apertura fiduciosa, perché sento che l’altro mi sostiene con senso di responsabilità”. Già, perché mettere al mondo figli comporta, come ogni esperienza umana, gioia e soddisfazione, così come fatica e difficoltà, e soprattutto una grande responsabilità che, se non condivisa, rischia di essere vissuta come un peso insostenibile.
E, allora, il racconto oggi in voga della maternità come di un’impresa eroica in solitaria non solo rischia di ostacolare la decisione della donna di diventare madre ma addirittura potrebbe rendere provocatoriamente ragionevole, finanche coscienziosa, la scelta contraria. No, il “far figli” è un’impresa congiunta di donne-madri e uominipadri. E non finisce qui. Perché le coppie non generano nel vuoto relazionale, bensì all’interno di famiglie e comunità sociali. L’esperienza genitoriale ha anche una componente intergenerazionale, che rimanda alla storia familiare in cui i figli si inseriscono e alle stirpi (materna e paterna) da cui provengono e da cui ereditano patrimoni valoriali, e una componente sociale: il figlio non è solo un “prodotto” della coppia e della famiglia, ma è un cittadino del mondo, messo a disposizione della società. “Il far figli” è un’impresa delle famiglie e delle comunità che forniscono sostegno, formazione, guida con uno sguardo di speranza verso il futuro.
Potremmo dire che essere figli significa essere concepiti (nel pensiero e nel corpo), accuditi ed educati da una coppia genitoriale, essere inseriti in una storia intergenerazionale ed essere riconosciuti nella propria appartenenza sociale. La compresenza di questi registri definisce la nostra identità in quanto esseri umani e ci rende autenticamente “generativi”. Lo psicologo Erik Erikson riconosceva nella “generatività” una meta di sviluppo fondamentale per la persona, che consente di assumersi la piena responsabilità adulta abbandonando preoccupazioni esclusivamente narcisistiche, aprendosi agli altri e prendendosi cura non solo dei figli propri ma delle nuove e future generazioni. È il superamento di una prospettiva individualistica che può consentire di passare da una concezione di generatività tutta interna al soggetto a una concezione di generatività radicata nel sociale. Il fallimento del progetto generativo non colpisce solo le singole famiglie ma l’intera società, ed è il motivo per cui ce ne interessiamo. E, dunque, non sono solo le donne ad aver smesso di fare figli: noi tutti abbiamo smesso di desiderare e di impegnarci a fare figli, e forse per comprendere e affrontare il fenomeno della denatalità dovremmo passare da questa assunzione collettiva di responsabilità.
Psicologa, dottore di ricerca, docente a contratto Centro di Ateneo Studi e Ricerche sulla Famiglia Università Cattolica di Milano