L'allarme. Autonomia differenziata: il rischio di una scuola a più velocità
Ha provato il ministro Valditara a gettare il sasso nello stagno, parlando di stipendi diversi per gli insegnanti a seconda della regione di residenza, ma è stato sommerso da un’ondata di critiche. L’autonomia differenziata applicata alla scuola è un terreno più che scivoloso e finora, chi ha provato anche soltanto a parlarne, è stato sempre respinto. «Ci siamo espressi chiaramente già nel 2018, quando, col governo M5s-Lega, sembrava che il progetto stesse per vedere la luce», ricorda la segretaria generale della Cisl Scuola, Ivana Barbacci. «Per quel che ci riguarda – aggiunge – il sistema di istruzione deve essere nazionale e pubblico. Certamente con il concorso di organismi statali e paritari, ma la regia deve restare in capo allo Stato».
Già oggi, osserva la leader sindacale, ci sono degli accorgimenti che rispondono ai «bisogni del territorio». Per esempio, sul reclutamento: è su base nazionale, ma i contingenti sono regionali, anche se il rapporto di lavoro è normato dal Contratto nazionale. «Ma si può pensare a una contrattazione di secondo livello, una sorta di welfare contrattuale, che nella scuola ancora non c’è», propone Barbacci. «Anziché costringere i lavoratori a restare per anni in un territorio – aggiunge – si possono studiare degli incentivi a rimanere, un sistema premiale che vada a beneficio non soltanto degli insegnanti ma di tutti i lavoratori della scuola».
Un modello che anche le Regioni possono contribuire a finanziare, «perché hanno tutto l’interesse ad avere, sul territorio, un tessuto cognitivo solido».
In questo senso, per esempio, già oggi la Regione Friuli Venezia Giulia assegna alle scuole risorse aggiuntive per assumere personale Ata in numero maggiore rispetto al contingente assegnato a livello centrale.
«La Conferenza Stato-Regioni – conclude Barbacci – dovrebbe intervenire affinché le Regioni destinino alla scuola una quota parte del proprio bilancio, con l’obiettivo, per esempio, di contrastare la dispersione scolastica e frenare la desertificazione delle aree interne. E questo si può fare già adesso, a legislazione invariata. Non serve l’autonomia differenziata».
Il grande pericolo che in molti vedono nel progetto del governo è un ulteriore ampliamento dei divari territoriali (tra Nord e Sud ma anche tra aree interne e centri urbani, tra periferie e città), già oggi molto marcati. Secondo l’ultimo rapporto di Save the children, a fronte di una dispersione scolastica nazionale media del 12,7%, la Sicilia raggiunge il 21,1% e la Puglia il 17,6%, mentre in Lombardia è all’11,3%, vicino all’obiettivo europeo del 9% entro il 2030.
«Per quel che sappiamo finora, non ci sembra che il progetto di autonomia differenziata segua la logica perequativa indicata dall’articolo 3 comma 2 della Costituzione. Cioè dare di più a chi parte con meno», osserva il presidente dell’impresa sociale Con i bambini, Marco Rossi Doria.
«Siamo molto preoccupati – aggiunge –. Il governo dica chiaramente che non si prenderà in considerazione la spesa storica, ma la reale condizione delle persone. E questa è una questione che non riguarda soltanto la scuola, ma investe tutti gli aspetti della vita: la spesa sociale dei Comuni è molto diversa a seconda dei territori. L’Italia – conclude Rossi Doria – è lunga e complessa: bisogna fare prima la mappa delle perequazioni e poi ragionare sugli assetti. Se, invece, si fa il contrario si rischia di aumentare i divari e proteggere sempre gli stessi».
In attesa di un «pronunciamento più chiaro sul progetto» dell’esecutivo, la presidente della Fidae, Virginia Kaladich, concede però un’apertura di credito all’iniziativa governativa. «L’autonomia differenziata potrebbe colmare il gap tra scuola statale e scuola paritaria, a patto di non allargare i divari tra le regioni», sottolinea la rappresentante degli istituti non statali. Secondo cui, «prima di valutare ulteriori differenziazioni» si dovrebbe intervenire per sanare la «discriminazione» cui sono sottoposti i docenti delle paritarie, da anni in attesa di un’abilitazione che non arriva. «I nostri insegnanti hanno bisogno di stabilità e invece il sistema attuale non è rispettoso della loro professionalità», ricorda Kaladich. «Speriamo che dopo le parole importanti della premier Meloni sulla libertà di scelta educativa, seguano fatti concreti», conclude la presidente della Fidae.