Agorà

Inchiesta. Teologi, meglio Mozart o Bach?

Giacomo Gambassi martedì 11 marzo 2014
Raccontano le foto in cui è ritratto Benedetto XVI al pianoforte negli anni del suo pontificato che gli spartiti appoggiati sul leggio o sopra lo strumento davanti a cui il Papa amava sedersi fossero quelli di Mozart e Bach. E anche adesso, nel monastero Mater Ecclesiae in Vaticano dove Ratzinger si è ritirato, le sue abitudini non sono cambiate se è vero che gli autori più ascoltati dal Pontefice emerito sono il genio di Salisburgo e il cantore luterano di Lipsia.Un caso che il Papa teologo sia affascinato da queste due penne di partiture straordinarie? Macché. Mozart e Bach sono i musicisti che, più di altri, hanno conquistato i teologi dell’ultimo secolo. L’intensità divina dei loro capolavori e la capacità di “dare forma” al sacro sul pentagramma li hanno sedotti. E talvolta li hanno anche divisi in sostenitori dell’uno o dell’altro, quasi fossero loggionisti in un teatro d’opera. Certo, Mozart e Bach hanno toccato talmente nel profondo la loro anima che i “pensatori” di Dio si sono sentiti quasi in obbligo di dedicare riflessioni e scritti ai due maestri. Probabilmente perché in entrambi hanno trovato impianti teologici simili a quelli proposti nei loro studi.Karl Barth, il teologo riformato svizzero che non si era sottratto dal decifrare il rapporto fra melodia e vita di grazia, aveva immaginato il Paradiso sospeso fra le note dei due autori. «Forse gli angeli, quando sono intenti a rendere lode a Dio, suonano la musica di Bach – annotava –; sono certo, invece, che quando si trovano fra loro suonano Mozart e allora anche il Signore trova particolare diletto ad ascoltarli». Comunque Barth tifava per Wolfgang Amadeus. «“I raggi del sole scacciano la notte”, si ode alla fine del Flauto magico. Non si riuscirà mai a percepire nella musica di Mozart l’incertezza e il dubbio: questo vale per la sua produzione operistica come per la sua musica strumentale e più che mai per le opere di genere religioso. Ognuno di quei Kyrie o Miserere, che pure attaccano su note così basse, non è come sorretto dalla fiduciosa certezza che la misericordia invocata si è fatta già da tempo realtà?».Aveva un orecchio altrettanto raffinato il teologo cattolico Hans Urs von Balthasar che negli spartiti dei due talenti scorgeva come un tocco in grado di risollevare l’uomo dalla sua caduta. «Di fronte alla musica di Bach – sosteneva – noi percepiamo sempre l’imponenza ciclopica dei volumi e delle architetture. L’enorme opera di Mozart ci appare invece come già nata senza alcuno sforzo, messa al mondo come un figlio già perfetto, giunta alla sua maturità senza turbamenti. Ci domandiamo se non sia una sorta di intatto arcobaleno che viene dalla memoria del paradiso terrestre». Sulla fede che alimentava Bach, non aveva dubbi. Sullo spirito religioso del maestro austriaco, lo stesso: tanto da indicarlo come esempio di seguace di Cristo. «Mozart vuole, creando e vivendo, essere suo discepolo. E servire rendendo percepibile il canto trionfale della creazione innocente e risorta».Fra i teologi mozartiani rientra il controverso Hans Küng che con alcuni suoi saggi ha voluto rendere onore alle «tracce della trascendenza» nella musica dell’enfant prodige austriaco. Di sicuro non ha fatto di lui un missionario musicale. E nel volume Musica e religione (Queriniana, 2012, 288 pagine, 23,50 euro) ha associato al «suono dell’infinito» che i lavori di Mozart trasmettono i drammi musicali di Wagner e le sinfonie di Bruckner. Anche il teologo Pierangelo Sequeri sta dalla parte dell’autore di Don Giovanni. «Mozart è stato in grado di interpretare l’avventura della modernità senza rinunciare alla luce della teologia. Ha saputo sviluppare una sorta di teologia musicale, capace di conservare e rendere le dissonanze senza risolverle falsamente», ha spiegato presentando il suo libro Eccetto Mozart. Una passione teologica (Glossa, 2006, 210 pagine, 29 euro). In ogni caso, ammette Sequeri, «se Dio fa risuonare la musica di Bach nelle riunioni in cui tutti possono partecipare, è perché essa è la più accogliente nei confronti di ciascuno».A sostegno del compositore tedesco intervengono due gesuiti: Christoph Theobald, docente di teologia fondamentale al Centro Sèvres di Parigi, e Philippe Charru, organista titolare nella chiesa di Saint-Ignace a Parigi e direttore del dipartimento di estetica sempre al Sèvres. I padri della Compagnia di Gesù sono gli autori del volumetto La teologia di Bach (Edb, 48 pagine, 5,50 euro) da oggi in libreria. «Nella prospettiva luterana – sottolineano – la musica porta la Parola fino in fondo al cuore e ne fa risuonare l’eco. Una cantata di Bach risponde a questa pedagogia dell’esperienza credente». Nell’ascolto delle sue composizioni si colgono molte discontinuità. «Fenditure», le definiscono i due religiosi, che formano una struttura musicale fatta di «resistenze e lotte, cromatismi e silenzi, ascensioni e cadute: in una parola della croce. Ecco perché Bach ha trovato nella contemplazione della croce il sigillo per eccellenza che fonda la sua musica». E se la sua produzione implica «una drammatica di conversione, essa non costringe alcuno poiché la decisione di credere si gioca nel segreto delle coscienze, al di là dell’ascolto musicale. Questo rispetto che circonda gli ascoltatori porta il segno di una gratuità capace di annullarsi nella forma di un’ospitalità senza confini. Il che non rappresenta una testimonianza minore del suo autentico sapore evangelico».A Bach ha dedicato parole lusinghiere Joseph Ratzinger, come si legge nel volume Sulla musica (Marcianum Press, 2013, 86 pagine, 9 euro). «In un concerto a Monaco di Baviera diretto da Leonard Bernstein – ha riferito Benedetto XVI nel 2011 – al termine dell’ultimo brano, una delle cantate, sentii, non per ragionamento, ma nel profondo del cuore, che ciò che avevo ascoltato mi aveva trasmesso verità, verità del sommo compositore, e mi spingeva a ringraziare Dio. Accanto a me c’era il vescovo luterano di Monaco e spontaneamente gli dissi: «Sentendo questo si capisce: è vera la fede così forte, e la bellezza che esprime irresistibilmente la presenza della verità di Dio». Fra le duecento cantate che il maestro di Lipsia ci ha lasciato quella cara al Pontefice emerito era per la Messa della 27ª domenica dopo la Trinità, l’ultima prima dell’Avvento nell’anno liturgico luterano. E il Papa tedesco aveva chiamato l’autore della Passione secondo Matteo uno «splendido architetto della musica, con un uso ineguagliato del contrappunto, guidato da un tenace ésprit de géometrie, simbolo di ordine e di saggezza, riflesso di Dio».Certo, Benedetto XVI è legato a Mozart da un «affetto particolare» che affonda nella sua infanzia quando sentiva in chiesa le note di una Messa della «stella» di Salisburgo. «In Mozart ogni cosa è in perfetta armonia, ogni nota, ogni frase musicale è così e non potrebbe essere altrimenti; anche gli opposti sono riconciliati e la “serenità mozartiana” avvolge tutto, in ogni momento. È un dono questo della grazia di Dio, ma è anche il frutto della viva fede di Mozart, che – specie nella sua musica sacra – riesce a far trasparire la risposta dell’amore divino che dona speranza». Gusti a parte, la musica è per chi si occupa dell’intelligenza di credere «la più grande apologia della nostra fede». Al pari della «scia luminosa» dei santi. Parola del «Mozart della teologia», ossia papa Ratzinger.