Uno dei maggiori studiosi dell’opera di Julien Ries, Natale Spineto, nell’introdurre gli atti di un convegno internazionale dedicato nel 2008 al grande antropologo belga (
L’antropologia religiosa, Jaca Book 2009), scriveva: «Un semplice sguardo alla bibliografia generale di Julien Ries (che comprende più di 600 titoli) è sufficiente a rendersi conto di come, in oltre cinquant’anni di ricerche, lo studioso abbia pubblicato un profluvio di libri, articoli, saggi, recensioni, contributi più o meno ampi, che, in quindici lingue, toccano una grande varietà di tematiche caratteristiche della storia delle religioni, ma anche della teologia, della filosofia, della filologia, della storia.All’interno di una tale estrema varietà, tuttavia, è possibile riconoscere e seguire il dipanarsi di un filo conduttore unico, che, prendendo le mosse dai primi saggi degli anni ’50, a poco a poco compone, sempre più esplicitamente, la trama di un’antropologia del sacro dalla fisionomia e dalle caratteristiche peculiari». Come è ormai noto agli studiosi di tutto il mondo, questo "filo conduttore", vero centro di una "nuova antropologia religiosa fondamentale" (la definizione è dello stesso Ries), è costituito dalla nozione di homo religiosus, vale a dire dall’idea di un uomo la cui stessa soggettività, prima ancora di ogni sua eventuale risposta o bisogno religioso, è in se stessa strutturata o abitata dall’irriducibile rinvio ad una alterità/trascendenza che non si può mai né evitare né dominare. In questo senso l’esperienza del sacro o religiosità - prima ancora di informarsi nelle diverse religioni - è ciò che interviene nella costituzione stessa di quella coscienza che, prendendo le distanza dal semplice fluire della nuda vita, dà avvio ad un’umanità che emerge come tale sempre e solo nel rinvio alla trascendenza.Ries si è spento ieri a Tournai a 92 anni. Nato il 19 aprile 1920 in un paese del Lussemburgo belga (Fouches), è stato ordinato sacerdote il 12 agosto nella cattedrale di Namur. Ha studiato alla Facoltà di Teologia e all’Institut Orientaliste dell’Università Cattolica di Lovanio dal 1945 al 1950, ottenendo nel 1948 la licenza in teologia e nel 1949 quella in filologia e storia orientali. Nel 1953 ha conseguito il dottorato il teologia. Nel 1960 ha avuto inizio la sua carriera accademica, con la nomina a
chargé de conférences da parte del rettore dell’Università di Lovanio. Inizialmente il suo insegnamento ha riguardato il manicheismo e lo gnosticismo, ma successivamente lo studioso ha professato corsi su "Introduzione alla storia delle religioni", "Le grandi religioni non cristiane (Induismo, Buddhismo, Islam)" e su "Le religioni del Medio Oriente (Egitto, Iran, Religioni del mondo ellenistico)". Co-fondatore della
Revue thélogique de Louvain, dal 1979 al 1985 è stato consultore del Segretariato per il dialogo interreligioso, poi Pontificio Consiglio per il Dialogo Interreligioso. Nel 1986 ha ottenuto dall’Accadémie française il premio "Dumas-Millier" per l’insieme della sua opera scientifica e l’anno dopo il premio Furtado per la pubblicazione del suo libro
L’expression du sacré dans les grandes religions; nel 1996 ha ricevuto il premio "Capri-San Michele" per il volume IV del
Trattato di antropologia del sacro (Jaca Book 1995). Il 18 febbraio 2012 è stato nominato cardinale da Benedetto XVI. La sua
Opera omnia (undici volumi in diciotto tomi) è in via di pubblicazione per il tipi della Jaca Book di Milano.Lo studioso belga, pur essendo un importantissimo storico delle religioni, non si è tuttavia limitato solo a questa sfera. Come ha sottolineato Fiorenzo Facchini, «Ries ha avuto il merito di aprire il tema delle origini del senso religioso alla paleoantropologia riallacciandolo alle manifestazioni del simbolismo, inteso nella sua accezione più larga, nella linea di Cassirer, Ricoeur, Durand, Spineto e altri, e quindi anche alle espressioni con valore simbolico non legate direttamente alla sfera spirituale. In questo modo Ries ha sfidato nell’interpretazione del simbolismo sia archeologi sia paleoantropologi, generalmente arroccati sulla distinzione tra cultura materiale e cultura spirituale». Ma bisogna pure aggiungere ch’egli ha anche sfidato molti teologi, o molta teologia, troppo spesso del tutto insensibili, per una supposta superiorità dello "spirituale", alle più profonde problematiche antropologiche.Ries ha insistito nell’affermare che l’
Homo religiosus non è solo quello delle sepolture o delle più esplicite manifestazioni magico-religiose del Paleolitico superiore, ma è anche quello che coincide con l’uomo in quanto essere capace di simbolizzazione, Homo symbolicus, un essere che non emerge in una fase particolare dell’ominizzazione poiché esso si impone fin dall’inizio dell’avventura umana. Da questo punto di vista, quello relativo al nesso d’essenza tra
Homo religiosus e
Homo symbolicus, è più facile comprendere perché l’antropologo belga abbia sempre inteso sottolineare il suo profondo debito dalla grande lezione di Eliade: «La contemplazione della volta celeste - scrive Ries - ha fatto entrare in gioco la capacità simbolica dell’uomo ed egli ha scoperto, secondo l’espressione di Eliade, un simbolismo primordiale: la Trascendenza, la Forza, la Sacralità (...) È a partire da questa scoperta del significato religioso della volta celeste che l’uomo arcaico ha compiuto una prima esperienza religiosa. L’uomo ha preso coscienza della sua situazione e della sua posizione nell’Universo (...) Perciò, nella storia dell’umanità, l’uomo religioso è l’uomo normale. Con Eliade possiamo dire che il sacro è un elemento della struttura della coscienza e non un momento della sua storia». Nel corso di una delle sue ultime intervista Ries ha affermato: «Da oltre due milioni di anni osserviamo la crescita di ciò che chiamiamo ominizzazione (...) C’è una crescita della coscienza nella storia dell’umanità che porta alla nascita delle grandi culture e religioni, ma noi notiamo che dal suo apparire l’uomo è simbolico e religioso. Questa consapevolezza è importante per il nostro tempo». Dobbiamo dirgli grazie per avercelo ricordato.