Agorà

INTERVISTA. Povera Bibbia fatta a fettine

Andrea Galli mercoledì 23 ottobre 2013
Sono oltre 350 gli iscritti al simposio internazionale «I Vangeli: storia e cristologia. La ricerca di Joseph Ratzinger» promosso dalla Fondazione Vaticana Ratzinger-Benedetto XVI presso la Pontificia Università Lateranense da domani al 26 ottobre, quando Papa Francesco nella Sala Clementina in Vaticano consegnerà il III Premio Ratzinger all’anglicano Richard Burridge e al teologo tedesco Christian Schaller. Saranno tre giorni di lavoro nei quali – secondo l’arcivescovo Jean-Louis Bruguès, presidente del Comitato organizzativo – «ci si propone di focalizzare i grandi temi che trapelano dalla trilogia su Gesù di Nazaret di Benedetto XVI»; una ricerca sui Vangeli che con rigore critico e acume ermeneutico ha migliorato le conoscenze sul Gesù storico. Tra i relatori del Simposio vi sono i cardinali Prosper Grech e Angelo Amato, i professori Klaus Berger (intervistato in questa pagina), Thomas Söding, Armand Puig i Tàrrech, Ermenegildo Manicardi.Il titolo è eloquente: Die Bibelfälscher, i falsificatori della Bibbia, sottotitolo «Come siamo stati ingannati sulla verità», sottinteso delle Scritture. E fa effetto perché non è un libro scritto dal polemista di turno, ma da Klaus Berger, uno dei più importanti studiosi di lingua tedesca del Nuovo Testamento. Da sempre critico nei confronti dell’esegesi liberale che nel ’900 ha dominato gli studi biblici in Germania e non solo, dopo essere diventato professore emerito e dopo una sterminata lista di pubblicazioni, Berger ne ha partorito un’altra sui generis, che è insieme un «Aufschrei», un grido nel deserto che l’esegesi liberale avrebbe lasciato, e allo stesso tempo una compilazione di «sed contra», di risposte a quelli che sarebbero i principali fraintendimenti o le vere e proprie distorsioni accademiche del testo biblico.Professore, la parabola dell’esegesi liberale fa pensare alla «Dialettica dell’Illuminismo» di Horkheimer e Adorno. La relativizzazione estrema – lei parla di «distruzione» – del significato delle Scritture era un esito inevitabile?«C’è una certa consequenzialità nel fatto che l’esito dell’Illuminismo “non illuminato” sia la dissoluzione del suo oggetto di studio. Questo avviene quando gli illuministi sono troppo poco autocritici e sono pronti a sacrificare tutto allo spirito del tempo, allo Zeitgeist che loro stessi hanno contribuito a secolarizzare. È chiaro che non si possono riconoscere nel mondo i segni dell’azione di Dio, se è già stato escluso in partenza che questo sia possibile. I teologi portano a compimento il processo dello Zeitgeist con l’idea dell’autosecolarizzazione della religione. Ne risulta che ciò che non è conforme a questo Zeitgeist o sembra contraddirlo è da eliminare». Lei definisce il suo libro un «planctus Germaniae». Cosa ne pensa del mondo angloamericano? C’è stato una sorta di passaggio del testimone? «L’esegesi protestante tedesca tra il 1900 e il 1970 ha generato due figlie: la scuola ipercritica angloamericana e una grande parte della nuova esegesi cattolica tedesca. I discepoli di Bultmann, anche molto diversi fra loro come Käsemann e Bornkamm, viaggiarono a lungo per tenere conferenze in Nord America e collezionarono lauree ad honorem in Gran Bretagna. Non furono pochi quelli che ottennero cattedre negli Usa, penso a Köster, Georgi e Betz. Quando studiavo teologia, in Germania costoro erano guardati con quel senso di ammirazione – parlo anche dei cattolici – che hanno i bambini nei confronti di Babbo Natale. Questo atteggiamento, che sfiorava il culto, nei confronti di personalità come Luz, Theißen e altri ha creato le condizioni perché ne venisse accettata pienamente l’eredità. Per quanto mi riguarda vorrei specificare che il problema non sta nel fatto che ci siano studiosi con posizioni o interpretazioni diverse dalle mie – si può ovviamente imparare anche da chi la pensa in modo diametralmente opposto –, quello che mi disturba è l’ingiustificabile arroganza con la quale certi teologi correggono la Bibbia come se la conoscessero meglio degli apostoli, dei profeti e di Gesù stesso. Dopo questo tipo di “esegesi” quello che resta è solo un brodino teologico annacquato e imbevibile».Il suo libro è una lista lunghissima di «sed contra». Quali sono le tesi più in voga tra i biblisti che ritiene meno sostenibili o portatrici di maggiore confusione?«Le “abrogazioni” bibliche più cariche di conseguenze hanno riguardato l’Incarnazione e la Risurrezione. Entrambi questi avvenimenti sono evaporati diventando semplici costrutti mitologici, perché per loro non c’era posto nella storia reale. La conseguenza è stata in primis l’eliminazione della Trinità nel primo cristianesimo. Perfino teologi cattolici di dogmatica come Hans Küng fanno nascere la Trinità nel Medio Evo. In questo modo è stato sottratto al cristianesimo la sua peculiarità rispetto all’ebraismo e all’islam. Da ciò dipende anche la debolezza argomentativa dei cristiani nell’attuale dialogo con le religioni abramitiche. Orripilante e irresponsabile a livello esegetico era già il dibattito sull’autenticità o inautenticità delle parole di Gesù. Un lascito del positivismo del XIX secolo è stato infine l’avversione alla mistica e ai miracoli. Ogni avversione di questi tipo finisce per negare l’idea di un Dio personale. Io ho proposto di parlare di miracoli ed esperienze mistiche come di “fatti mistici”, le cui cause restano sconosciute, un mistero, ma che possono cambiare radicalmente gli uomini e il mondo».Uno dei «sed contra» riguarda i fratelli e le sorelle di sangue di Gesù. Lei tratta questa questione in poche righe, ma sul tema si sprecano ancora volumi e dibattiti.«Nel caso dei fratelli e delle sorelle di Gesù, la posizione critica e illuministica di molti esegeti rivela un dato che rimane spesso sullo sfondo: la mancanza di sufficienti competenze filologiche e sociologiche. È sfuggito dal punto di vista della filologia che le lingue semitiche non facevano differenza tra fratelli di sangue e parenti stretti all’interno del clan familiare. E dal punto di vista sociologico, è sfuggito semplicemente l’aspetto dominante del clan».La cosiddetta terza ricerca sul Gesù storico («Third quest») si è concentrata sull’inquadramento di Gesù nel contesto dell’ebraismo. È stata una scelta fruttuosa?«Fin dagli inizi della mia carriera ho studiato la Bibbia insieme all’ebraismo. Israele, ossia l’ebraismo, è il terreno preparato da Dio per la rivelazione cristiana. La storia delle religioni si è a lungo fissata sulla Grecia classica o sul cosiddetto ellenismo. La svolta è avvenuta solo con i ritrovamenti di Qumran, che però, al di là dell’immensa importanza storica, a livello teologico si sono rivelati senza conseguenze. Fino a oggi non si è riflettuto abbastanza né sulla storia della tradizione né sulla metodologia della storia delle religioni». Ratzinger ha lasciato tre libri scritti mentre era Papa dedicati all’esegesi del Nuovo Testamento. Qual è l’insegnamento che i biblisti, soprattutto cattolici, possono o devono trarne?«Primo, che l’ebraismo è lo sfondo per capire Gesù, ma molto meno l’ebraismo rabbinico rispetto a quello fra i due Testamenti. Secondo, che il Vangelo di Giovanni non va svalutato rispetto ai Sinottici; non è senza importanza dal punto di vista storico, come ancora 30 anni fa si sosteneva. Terzo, che il tema di Gesù è Dio: e questo riguarda le sue parole e le sue azioni. Gesù non è un riformatore sociale o un dispensatore di consigli per il benessere psicologico. Gesù insegna che la fede e l’adorazione hanno un’assoluta priorità nel rapporto con Dio».