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LA STORIA. Giusti d’Italia, ecco la «rete» religiosa

Roberto Beretta mercoledì 14 ottobre 2009
In "classifica" siamo decimi tra tutte le nazioni del mondo, con 468 «Giusti» su 22765: il 2% del totale. E, di questi 468 italiani, sessantuno (circa un ottavo) appartengono al clero cattolico: per la precisione 30 sono sacerdoti diocesani, 12 erano i religiosi e 15 le religiose, 4 i vescovi. Così almeno recita il catalogo di Yad Vashem, il memoriale israeliano dell’Olocausto che dal 1962 esamina i dossier dei non ebrei che salvarono gli ebrei durante la Shoah e attribuisce loro il titolo di «Giusto tra le nazioni».Sono pochi o sono tanti i «Giusti» italiani? Difficile stabilirlo, anche perché – secondo i calcoli della specialista Liliana Picciotto – gli ebrei rimasti nei territori controllati dalla Repubblica di Salò dopo l’8 settembre 1943 erano relativamente pochi, circa 33.360 (lo 0,07% della popolazione); di essi 8869, cioè un quarto, furono arrestati e quasi tutti instradati per la Germania: ne tornarono mille. Gli ebrei italiani morti nei lager furono esattamente 7860, cui si aggiungono 303 persone uccise nella Penisola. «La percentuale di sopravvissuti in Italia – scrive Bracha Rivlin di Yad Vashem – fu alta per la grande ondata di solidarietà e di attiva partecipazione della popolazione alle azioni di soccorso». Ed «è importante precisare che i membri della Chiesa cattolica ebbero un ruolo chiave nel tentare di salvare gli ebrei, dall’alto prelato al semplice monaco, suora o parroco».I «vip»Cominciamo dai più «famosi». Due sono i vescovi italiani iscritti tra i «Giusti»: monsignor Placido Nicolini, capo di una rete di soccorso ad Assisi, e il nunzio a Budapest Angelo Rotta: una sorta di Perlasca in tonaca, che distribuì agli ebrei ben 19.000 lettere di protezione con credenziali vaticane. Altri due «Giusti» sarebbero divenuti vescovi e cardinali dopo la guerra: Vincenzo Fagiolo e Pietro Palazzini, all’epoca sacerdoti attivi a Roma.Ma ben noti sono anche altri «Giusti»: come don Raimondo Viale, parroco piemontese immortalato come «il prete giusto» da un libro di Nuto Revelli; o il lucchese Arturo Paoli, tuttora vivente, poi divenuto Piccolo Fratello di De Foucauld e missionario in America Latina nonché autore di numerose opere spirituali: durante la guerra travestì da prete un ebreo, facendolo apparire come il segretario del vescovo. Ancora: padre Emanuele Stablum, eminente medico dermatologo, che nella clinica dei Concezionisti a Roma ricoverò un centinaio tra ebrei e perseguitati politici afflitti dal misterioso «Morbo K» (come Kesselring, il comandante tedesco della capitale). Monsignor Giulio Facibeni, figura eminente della cattolicità fiorentina (fu confessore di don Milani e La Pira e fondatore dell’Opera Madonnina del Grappa): il sacerdote era pronto a offrirsi come ostaggio al posto di un ragazzo ebreo. Due i «Giusti» che hanno un riconoscimento anche dalla Chiesa cattolica: madre Elisabetta Maria Hesselblad, svedese fondatrice delle Brigidine ma attiva durante la guerra nella casa generalizia a Roma, proclamata beata nel 2000, e padre Giuseppe Girotti, domenicano teologo ed esegeta già sotto sorveglianza della dittatura fascista, deportato e morto a Dachau per la sua attività a sostegno dei profughi ebrei: la sua causa di beatificazione è in corso.Le retiVari religiosi operarono all’interno di organizzazioni più vaste. Da segnalare la Delasem (Delegazione per l’Assistenza degli Emigranti ebrei), attivissima associazione nata nel 1939 dalla solidarietà interna delle comunità israelitiche italiane, alla quale – in varie zone d’Italia e soprattutto durante il periodo di clandestinità dopo il 1943 – prestarono però collaborazione numerosi cattolici e sacerdoti; tra questi ultimi, tutti ora annoverati tra i «Giusti»: a Firenze don Leto Casini e padre Cipriano Ricotti; a Genova don Francesco Repetto, segretario incaricato dall’arcivescovo cardinale Boetto, e quindi don Carlo Salvi; a Nonantola don Arrigo Beccari, salvatore dei 100 ragazzi di «Villa Emma» (alla cui vicenda è stato dedicato uno sceneggiato Rai); a Roma il cappuccino di origine francese padre Maria Benedetto, incaricato di fare da corriere clandestino per trasportare grosse somme per gli aiuti, con i salesiani Armando Alessandrini e Francesco Antonioli. Ad Assisi è nota l’attività del vescovo Nicolini, che aveva istituito una rete di ospitalità ed espatrio (grazie a documenti falsi) degli ebrei, coadiuvato dai francescani Aldo Brunacci e Rufino Nicacci. Tra le religiose, madre Emerenzia Bolledi e madre Ferdinanda Corsetti ospitarono 30 ragazze ebree e persino intere famiglie nel convento romano delle Giuseppine di Chambèry. Idem per madre Maria Augustina Badetti e madre Maria Agnese Bendetti delle Suore di N.S. di Sion, che sempre a Roma ospitarono nel loro chiostro un centinaio di sfollati.Gli sconosciutiDon Luigi Rosadini, parroco nel senese, ospitò una famiglia ebrea in canonica e accompagnò in bicicletta un giovane ebreo (vestito da prete) che voleva arruolarsi tra i partigiani. A Saluzzo i religiosi Dottrinari Pasquale Amerio e Francesco Raspino celarono un’altra famiglia nel loro collegio. Madre Antonia Antoniazzi delle Suore di N.S. di Namur per salvare una famiglia di ebrei ospite e minacciata di delazione dal guardiano filofascista del convento, mandò un prete a minacciare quest’ultimo di scomunica. Monsignor Angelo Bassi, parroco a Rondanina sull’Appennino ligure, tenne nascosto per oltre un anno un giovane ebreo in una stanza segreta della canonica; la stessa soluzione escogitata da monsignor Guido Bortolameotti a Croz, in Trentino. Don Eugenio Bussa, milanese, celò vari piccoli ebrei nel suo orfanotrofio. Don Giovanni Simioni per sottrarle all’arresto portò ben 12 tra donne e bambini da Firenze a Treviso, dove i confratelli Dalla Torre e De Zotti l’aiutarono a nasconderle. Don Dante Sala collaborava con il cattolico Odoardo Focherini accompagnando ebrei sul lago di Como, dove i contrabbandieri li accompagnavano oltre confine. Il fiorentino don Giulio Gradassi preparò anche il pane azzimo per la Pasqua degli ebrei che ospitava, così come l’abruzzese don Gaetano Tantalo: che conservò fino alla morte un pezzetto del pane non lievitato offertogli dai profughi che nascondeva.I laiciMa sarebbe grandemente ingiusto dipingere l’aiuto cristiano agli ebrei come una faccenda esclusivamente clericale. Furono anzi molti i cattolici che, in nome del Vangelo, prestarono soccorso ai perseguitati dell’Olocausto, e non pochi hanno ricevuto il riconoscimento dei «Giusti». Tra gli altri: Odoardo Focherini, amministratore del quotidiano cattolico bolognese L’Avvenire d’Italia; il notissimo Giovanni Palatucci, questore di Fiume e credente integerrimo; il farmacista romano Benedetto Bertoleschi, che salvò un compagno di scuola ebreo; il medico Giovanni Borromeo, primario dei Fatebenefratelli a Roma, che nelle sue corsie nascose almeno 60 persone; l’avvocato monferrino Giuseppe Brusasca, poi deputato Dc.