In "classifica" siamo decimi tra tutte le nazioni del mondo, con 468 «Giusti» su 22765: il 2% del totale. E, di questi 468 italiani, sessantuno (circa un ottavo) appartengono al clero cattolico: per la precisione 30 sono sacerdoti diocesani, 12 erano i religiosi e 15 le religiose, 4 i vescovi. Così almeno recita il catalogo di Yad Vashem, il memoriale israeliano dell’Olocausto che dal 1962 esamina i dossier dei non ebrei che salvarono gli ebrei durante la Shoah e attribuisce loro il titolo di «Giusto tra le nazioni».Sono pochi o sono tanti i «Giusti» italiani? Difficile stabilirlo, anche perché – secondo i calcoli della specialista Liliana Picciotto – gli ebrei rimasti nei territori controllati dalla Repubblica di Salò dopo l’8 settembre 1943 erano relativamente pochi, circa 33.360 (lo 0,07% della popolazione); di essi 8869, cioè un quarto, furono arrestati e quasi tutti instradati per la Germania: ne tornarono mille. Gli ebrei italiani morti nei lager furono esattamente 7860, cui si aggiungono 303 persone uccise nella Penisola. «La percentuale di sopravvissuti in Italia – scrive Bracha Rivlin di Yad Vashem – fu alta per la grande ondata di solidarietà e di attiva partecipazione della popolazione alle azioni di soccorso». Ed «è importante precisare che i membri della Chiesa cattolica ebbero un ruolo chiave nel tentare di salvare gli ebrei, dall’alto prelato al semplice monaco, suora o parroco».
I «vip»Cominciamo dai più «famosi». Due sono i vescovi italiani iscritti tra i «Giusti»: monsignor Placido Nicolini, capo di una rete di soccorso ad Assisi, e il nunzio a Budapest Angelo Rotta: una sorta di Perlasca in tonaca, che distribuì agli ebrei ben 19.000 lettere di protezione con credenziali vaticane. Altri due «Giusti» sarebbero divenuti vescovi e cardinali dopo la guerra: Vincenzo Fagiolo e Pietro Palazzini, all’epoca sacerdoti attivi a Roma.Ma ben noti sono anche altri «Giusti»: come don Raimondo Viale, parroco piemontese immortalato come «il prete giusto» da un libro di Nuto Revelli; o il lucchese Arturo Paoli, tuttora vivente, poi divenuto Piccolo Fratello di De Foucauld e missionario in America Latina nonché autore di numerose opere spirituali: durante la guerra travestì da prete un ebreo, facendolo apparire come il segretario del vescovo. Ancora: padre Emanuele Stablum, eminente medico dermatologo, che nella clinica dei Concezionisti a Roma ricoverò un centinaio tra ebrei e perseguitati politici afflitti dal misterioso «Morbo K» (come Kesselring, il comandante tedesco della capitale). Monsignor Giulio Facibeni, figura eminente della cattolicità fiorentina (fu confessore di don Milani e La Pira e fondatore dell’Opera Madonnina del Grappa): il sacerdote era pronto a offrirsi come ostaggio al posto di un ragazzo ebreo. Due i «Giusti» che hanno un riconoscimento anche dalla Chiesa cattolica: madre Elisabetta Maria Hesselblad, svedese fondatrice delle Brigidine ma attiva durante la guerra nella casa generalizia a Roma, proclamata beata nel 2000, e padre Giuseppe Girotti, domenicano teologo ed esegeta già sotto sorveglianza della dittatura fascista, deportato e morto a Dachau per la sua attività a sostegno dei profughi ebrei: la sua causa di beatificazione è in corso.
Le retiVari religiosi operarono all’interno di organizzazioni più vaste. Da segnalare la Delasem (
Delegazione per l’Assistenza degli Emigranti ebrei), attivissima associazione nata nel 1939 dalla solidarietà interna delle comunità israelitiche italiane, alla quale – in varie zone d’Italia e soprattutto durante il periodo di clandestinità dopo il 1943 – prestarono però collaborazione numerosi cattolici e sacerdoti; tra questi ultimi, tutti ora annoverati tra i «Giusti»: a Firenze don Leto Casini e padre Cipriano Ricotti; a Genova don Francesco Repetto, segretario incaricato dall’arcivescovo cardinale Boetto, e quindi don Carlo Salvi; a Nonantola don Arrigo Beccari, salvatore dei 100 ragazzi di «Villa Emma» (alla cui vicenda è stato dedicato uno sceneggiato Rai); a Roma il cappuccino di origine francese padre Maria Benedetto, incaricato di fare da corriere clandestino per trasportare grosse somme per gli aiuti, con i salesiani Armando Alessandrini e Francesco Antonioli. Ad Assisi è nota l’attività del vescovo Nicolini, che aveva istituito una rete di ospitalità ed espatrio (grazie a documenti falsi) degli ebrei, coadiuvato dai francescani Aldo Brunacci e Rufino Nicacci. Tra le religiose, madre Emerenzia Bolledi e madre Ferdinanda Corsetti ospitarono 30 ragazze ebree e persino intere famiglie nel convento romano delle Giuseppine di Chambèry. Idem per madre Maria Augustina Badetti e madre Maria Agnese Bendetti delle Suore di N.S. di Sion, che sempre a Roma ospitarono nel loro chiostro un centinaio di sfollati.
Gli sconosciutiDon Luigi Rosadini, parroco nel senese, ospitò una famiglia ebrea in canonica e accompagnò in bicicletta un giovane ebreo (vestito da prete) che voleva arruolarsi tra i partigiani. A Saluzzo i religiosi Dottrinari Pasquale Amerio e Francesco Raspino celarono un’altra famiglia nel loro collegio. Madre Antonia Antoniazzi delle Suore di N.S. di Namur per salvare una famiglia di ebrei ospite e minacciata di delazione dal guardiano filofascista del convento, mandò un prete a minacciare quest’ultimo di scomunica. Monsignor Angelo Bassi, parroco a Rondanina sull’Appennino ligure, tenne nascosto per oltre un anno un giovane ebreo in una stanza segreta della canonica; la stessa soluzione escogitata da monsignor Guido Bortolameotti a Croz, in Trentino. Don Eugenio Bussa, milanese, celò vari piccoli ebrei nel suo orfanotrofio. Don Giovanni Simioni per sottrarle all’arresto portò ben 12 tra donne e bambini da Firenze a Treviso, dove i confratelli Dalla Torre e De Zotti l’aiutarono a nasconderle. Don Dante Sala collaborava con il cattolico Odoardo Focherini accompagnando ebrei sul lago di Como, dove i contrabbandieri li accompagnavano oltre confine. Il fiorentino don Giulio Gradassi preparò anche il pane azzimo per la Pasqua degli ebrei che ospitava, così come l’abruzzese don Gaetano Tantalo: che conservò fino alla morte un pezzetto del pane non lievitato offertogli dai profughi che nascondeva.
I laiciMa sarebbe grandemente ingiusto dipingere l’aiuto cristiano agli ebrei come una faccenda esclusivamente clericale. Furono anzi molti i cattolici che, in nome del Vangelo, prestarono soccorso ai perseguitati dell’Olocausto, e non pochi hanno ricevuto il riconoscimento dei «Giusti». Tra gli altri: Odoardo Focherini, amministratore del quotidiano cattolico bolognese L’Avvenire d’Italia; il notissimo Giovanni Palatucci, questore di Fiume e credente integerrimo; il farmacista romano Benedetto Bertoleschi, che salvò un compagno di scuola ebreo; il medico Giovanni Borromeo, primario dei Fatebenefratelli a Roma, che nelle sue corsie nascose almeno 60 persone; l’avvocato monferrino Giuseppe Brusasca, poi deputato Dc.