Musica. Francesco Guccini, la locomotiva sbuffa ancora
L'82enne cantautore Francesco Guccini: da oggi nei negozi il suo nuovo disco “Canzoni da intorto”
Disco d’amore e d’anarchia. Forse i due principali sentimenti che hanno spinto l’82enne (e mezzo, precisa lui) Francesco Guccini a ridiscendere in campo dieci anni dopo il triplice fischio finale de L’ultima Thule con cui aveva detto addio al mestiere di cantautore. “Non sono più capace a scrivere canzoni, non mi riesce e non ho più nemmeno toccato la chitarra e senza strumento non riesco a comporre” torna a precisare. Una pietra tombale che fa ripiombare su di sé presentando l’inimmaginabile sorpresa di fine anno, un suo nuovo disco, Canzoni da intorto. Undici tracce, più una fantasma, che attingono al patrimonio popolare e socio-politico di un’Italia contadina, proletaria e un poco anarchica. Canzoni della tradizione e d’autore, cantate anche in diversi dialetti. “Da modenese ho un dialetto affine al milanese – spiega riferendosi a brani come Ma mi, El me gatt e Sei minuti all’alba di Enzo Jannacci -, ma ho cantato anche in piemontese con Barun litrun e mi dicono che me la sono cavata anche con il rovigotto di Tera e aqua. Ho evitato le canzoni francesi perché non lo so pronunciare bene e quelle tedesche perché il tedesco lo ignoro”.
Una “folle operazione”, la definisce il Maestrone, che soltanto lui poteva permettersi nel 2022, oltretutto scegliendo il solo supporto fisico e rinunciando alla vendita attraverso le piattaforme digitali (“ignoro cosa sia lo streaming” ha detto Guccini suscitando compiaciuta ilarità in conferenza stampa). A sostenerlo il produttore Fabio Ilacqua, che ha curato tutti gli arrangiamenti, e l’etichetta Bmg con l’idea che questo particolare disco vada ascoltato dall’inizio alla fine, “ma anche con la convinzione che la qualità non si possa misurare in visualizzazioni”, spiega il managing director Dino Steward la scelta di evitare la distribuzione sulle piattaforme, “per ragioni artistiche e commerciali”.
Un progetto nato tanti anni fa, svela Guccini, con l’idea “di fare un disco di cover ma il mio produttore e amico Renzo Fantini era dubbioso. Comunque ai tempi avrei scelto altre canzoni, per esempio Come è profondo il mare di Dalla o Luci a San Siro di Vecchioni”. Ora invece ci sono le canzoni “che ho cantato con gli amici e le amiche in tantissime serate a Bologna passate a giocare a carte, dalla briscola al tressette al tarocco, senza mai giocarsi neanche un caffè”. E l’intorto del titolo? L’idea è stata della compagna Raffaella, venuta fuori durante un pranzo di lavoro con i discografici e subito piaciuta. “L’intorto nasce dal fatto che sono canzoni che nessuno conosceva, canzoni marginali che fai bella figura a spiegare, per esempio, a una ragazza. Questo è l’intorto, far vedere che sei un fighetto”.
Ad aprire il disco una ritmata versione quasi da balera de I morti di Reggio Emilia di Fausto Amodei, scritta per ricordare i cinque uccisi dalla polizia durante una manifestazione sindacale il 7 luglio 1960. Poi brani anarchici come Addio a Lugano e Nel fosco fin del secolo quando “dal sangue spunterà la nuova istoria de l’Anarchia” e canzoni meneghine come la macabra e surreale El me gatt di Ivan Della Mea, Ma mi di Fiorenzo Carpi e Giorgio Strehler (cavallo di battaglia di Ornella Vanoni) e Sei minuti all’alba. E ancora Tera e aqua e il traditional inglese Green Sleeves che, racconta Guccini nel booklet, mezzo secolo fa era stata adottata come sigla di un programma della domenica mattina del primo canale nazionale, A come agricoltura, e lui ne era stato affascinato al pari della storia che ne attribuiva la paternità a Enrico VIII, dedicata alla moglie Anna Bolena che poi fece decapitare per averlo tradito.
Sfoggiando uno spesso maglione rosso, Guccini non può certo sottrarsi, davanti alla platea di giornalisti invitati per la presentazione alla milanese Bocciofila Martesana, alla sottolineatura di come questo anacronistico disco, commercialmente quasi improponibile, sbocci in un momento storico in cui al governo siede una parte politica che sembra l’ideale bersaglio di molte delle dodici canzoni presenti. “Per quanto riguarda la congerie politica attuale quando abbiamo fatto il disco non si sapeva, ma si intuiva – sottolinea - e mi fa piacere che alla fine le canzoni che ho scelto siano di un certo tipo. In questo disco ci sono tutte canzoni di perdenti, di chi al potere si oppone e lo combatte. C’è ancora quel mio spirito di ragazzo quando in classe ci si divideva tra chi teneva per i greci e chi per i troiani. Io tifo ancora oggi per i troiani”.
Tra perdenti e aspiranti vincenti, riferendosi a un altro brano di Carpi e Strehler, Quella cosa in Lombardia, Guccini risponde a una domanda sulle prossime elezioni regionali in Lombardia e dice: “Fa bene il Pd, o quello che ne resta, a non appoggiare” Letizia Moratti, mentre sul nuovo governo e su Fratelli d’Italia, che nel simbolo conserva la fiamma, sbotta: “Non mi piace che ci sia la fiamma, quella che ardeva a arde ancora sulla tomba di Mussolini. Ma pare che gli italiani siano contenti. Staremo a vedere. Come diceva mia nonna, ci vuole pazienza, e tanta”. Nel mirino dell’ex “simpatizzante anarchico" Guccini ("ma essere anarchici oggi sarebbe un po’ come arrampicarsi sugli specchi”), autore de La locomotiva simbolo di una sbuffante anarchia pronta allo scontro frontale con il potere costituito, ci sono ancora e sempre tutti i fascismi e gli stalinismi anche se, racconta, in virtù della sua onnivora curiosità e passione, un tempo ha cantato anche lui canzoni fasciste.
“La mia conoscenza di canti e canzoni spazia da destra a manca - spiega il Maestrone -, ma per una ragione personale preferisco manca. Anche se, contrariamente a quanto si è sempre pensato della mia collocazione politica, non sono mai stato comunista, non ho mai sostenuto il Pci, a differenza per esempio di De Gregori. Semmai dico la mia parte politica non in maniera violenta o sbandierata”. Quindi una stoccata a Mogol con i suoi testi innocui e soprattutto a Maurizio Vandelli che, quando Guccini a metà anni Sessanta non era ancora iscritto alla Siae e le sue prime canzoni oltre che ai Nomadi le faceva eseguire all’Equipe 84, “non mi ha mai dato una lira”.
Erano i tempi della guerra del Vietnam e della guerra fredda, con l’incombente pericolo di una nuova atomica dopo quelle follemente lanciate vent’anni prima su Hiroshima e Nagasaki, quando Guccini scrisse Noi non ci saremo portata al successo dalla voce di Augusto Daolio. Ed è così che ora il re dei nostri cantautori ha deciso di chiudere il suo ultimo disco con un inno alla Ucraina che sotto le bombe russe sta vivendo dal 24 febbraio, con l’Europa e il mondo costretti a tenere il fiato sospeso con le minacce nucleari all’orizzonte. Fantasmi che aleggiano sull’umanità e speranze che echeggiano nella traccia fantasma che contiene Sluga Naroda, sigla della serie di Zelensky Servitore del popolo, che Guccini canta in ucraino concludendo con il saluto nazionale Slava Ukraini. Sperando che questo brano possa essere l’unico non perdente del suo ultimo disco.