Agorà

Scherma. Dalla pedana ai libri: Rossana Pasquino torna in cattedra

Mario Nicoliello venerdì 13 settembre 2024

Rossana Pasquino, schermitrice e docente universitaria

Le giornate di una docente universitaria di Ingegneria chimica fluiscono senza soluzione di continuità tra lezioni, studio, riunioni con i colleghi, ricevimenti con gli studenti, scrittura di articoli e saggi, nonché presentazioni a convegni. Così, appena tornata a Napoli dopo la trasferta paralimpica parigina, Rossana Pasquino si è immersa nella sua attività ordinaria senza un attimo di pausa: «Ho dovuto riprendere in mano lo stato dell’arte delle ricerche in corso e incontrare i dottorandi per fare un punto sulle loro tesi. All’orizzonte c’è un convegno a Capri con una relazione da preparare». Una vita accademica ricca di impegni si somma a una carriera di atleta altrettanto zeppa di eventi, che alla Paralimpiade francese si è tradotta in un bronzo raccolto, da riserva, nel fioretto a squadre. «Mia mamma mi dice sempre “Dove c’è piacere non c’è perdenza”, quindi non mi è mai pesato sacrificarmi in entrambi gli ambiti».

In università dalle nove alle sei, poi in palestra fino alle dieci. Dal lunedì a venerdì a Napoli, nel week-end a Benevento, dove affondano le sue origini. «Mi sono laureata in Ingegneria chimica nel 2005, ho conseguito il dottorato di ricerca nel medesimo ambito e attualmente sono professoressa associata all’Università Federico II. Insegno Fenomeni di trasporto e Reologia, mentre la mia ricerca è dedicata principalmente al movimento dei liquidi». Provarci sempre, non mollare mai è il suo motto, da applicare nello studio e nella scherma: «Lo sport ha un effetto moltiplicatore, consentendoti di imparare a rendere di più anche nel lavoro. È quello che cerco di spiegare anche agli studenti, sperando che riescano a comprenderlo».

In un contesto del genere l’oro paralimpico diventa un traguardo paragonabile alla vittoria di un progetto europeo. Così quando il metallo pesante non arriva e la prestazione non è brillante, il bilancio non può essere positivo: «Non sono contenta della mia prova individuale, ho tanto rammarico, perché non ho affrontato la gara con la giusta mentalità. È stato un peccato, perché ho sacrificato la vita personale e privata per farmi trovare pronta, senza riuscirci quando contava». Si era presentata al Grand Palais da prima della sciabola e seconda della spada, eppure non ha reso come voleva: «Mi sono sciolta nel momento più importante, evidentemente avevo chiesto troppo a me stessa. Il bronzo nel fioretto non può soddisfarmi, perché in quel contesto servivo semplicemente per completare la squadra».

È stata comunque un'esperienza diversa rispetto al passato: «La posso ritenere come la mia prima reale esperienza paralimpica, perché a Tokyo col Covid era stato un incubo. In Francia abbiamo potuto davvero sperimentare la socialità e l’idea di comunità dentro il villaggio». In più l’affetto e il seguito popolare è stato continuo lungo i dodici giorni: «Tanta gente mi ha scritto, moltissimi mi hanno visto in tv. La diretta su Rai Due ci ha proiettati di fronte a un pubblico più ampio del solito». Spenti i riflettori, si è di nuovo assorbiti dalla vita quotidiana: «Amo perdutamente il mio lavoro accademico, mi piace passare ore in laboratorio. È ovvio che la scherma è sempre stata secondaria, ma nonostante ciò ho raggiunto grandi risultati» .

E adesso? «Non riesco ancora a immaginare la mia vita senza lo sport, ma a 42 anni non so se sarò ancora in grado di portare avanti due vite in parallelo per un altro quadriennio. Ragionerò su cosa fare nei prossimi mesi». Una decisione complicata per chi ha sempre agito sui due mondi: «Dovrò trovare altre sfide, solo così potrò chiarirmi le idee». Parola di chi è stata sempre attiva. Da piccola era una ginnasta, poi all’età di 9 anni, a seguito di un infarto midollare che le causa una paraplegia, si avvicina alla scherma. «Di questo sport amo il connubio perfetto di tre aspetti: la tecnica, il fisico e la testa». Una passione fortissima e un percorso di consapevolezza, il suo, che in pochi anni l’ha portata ai vertici di questa disciplina. Ma i successi sono arrivati anche nella vita universitaria: «Sono coordinatrice di un gruppo di ricerca formato da tre strutturati, cinque dottorandi e un ricercatore. Lavorare in squadra mi rende orgogliosa».