La campionessa. Bebe Vio guarda avanti: «Protesi sportive troppo spesso inaccessibili»
Bebe Vio durante la cerimonia di apertura paralimpica
Colei che ha rubato finora la scena, al di fuori dei campi di gara, è pronta a far brillare sul suo volto le luci della ribalta anche sul teatro della competizione. Le volte del Grand Palais saranno il cielo artificiale che attutirà il suono della lama del fioretto, impugnando il quale Bebe Vio Grandis darà l’assalto al terzo oro consecutivo nella specialità. A Rio era una bambina già pronta a decollare, oggi è la star del movimento, un’eroina senza confini, che ha stregato il cuore dei francesi, tanto da essere l’unica a comparire in entrambe le cerimonie d’apertura, l’olimpica e la paralimpica. Eppure la schermitrice non è si è montata la testa, anzi nell’appartamento del villaggio ha spronato le sue colleghe a dare il massimo, perché nella sua testa più che calare il tris oggi nel torneo individuale, ha un pensiero martellante: conquistare per la prima volta l’oro nella prova a squadre dopo il bronzo di Rio e l’argento di Tokyo. « Può sembrare assurdo, ma vincere il bronzo nel fioretto a squadre a Rio è stata finora la soddisfazione più bella della carriera. Il giorno precedente, avevo vinto l’oro individuale, ma ciò che vivi nella competizione a squadre è una cosa completamente diversa. Sei lì con la tua squadra, sono le persone con cui vivi, ti alleni, le ami, sono parte della tua famiglia. La nostra squadra non si aspettava mai di salire sul podio. Quando abbiamo conquistato il terzo posto, abbiamo iniziato a piangere e a baciarci e abbracciarci e poi abbiamo cantato canzoni italiane. È stato grandioso». Per colorare d’oro la sua avventura ha inserito nel bagaglio Squacchero, l’animaletto di peluche portafortuna della sua carriera in carrozzina: assalti attaccati a un telaio che la divertono di più di quelli tradizionali. « Ho capito che mi piaceva molto di più la scherma in carrozzina che quella in piedi. Nella scherma normale se hai paura puoi scappare in fondo alla pedana, mentre da seduta sei bloccata lì. Non puoi scappare. Non puoi avere paura». Nel 2009 lei e i suoi genitori hanno fondato Art4sport, un’organizzazione che si propone di supportare le persone con disabilità attraverso lo sport. « In Italia c’è poco supporto da parte del sistema sanitario per quanto riguarda le protesi sportive, che sono così costose. Art4sport progetta, studia e finanzia protesi sportive e promuove la conoscenza del mondo paralimpico ». Gli atleti e le atlete che hanno preso ispirazione da lei aumentano di anno in anno. « È stupendo constatare la crescita. A Rio eravamo tre, a Tokyo sette, qui otto. E in più anche i non qualificati sono venuti, vivendo in un’unica casa e sperimentando l’emozione paralimpica seppur fuori competizione». È apparsa in documentari, ha lavorato come speaker motivazionale, modella e conduttrice televisiva, ha scritto libri ed è stata coinvolta in numerose campagne pubblicitarie. Adesso però tutto passa in secondo piano, conta tornare a essere un’atleta e tentare il terzo all’assalto al metallo pesante: « Rio è stata la prima, provavo le emozioni dell’esordio, Tokyo era la rinascita di tutto il Paese e io venivo da un brutto infortunio, era stato un miracolo esserci. Qui arrivo con un’altra testa, il villaggio è pieno di gente e gli stadi sono colmi. Il mondo paralimpico è cambiato tanto in otto anni, la comunicazione è diversa. Oggi i bambini parlano di sport e disabilità a scuola, fanno i giocattoli con le protesi o le carrozzine e noi non siamo più eroi». Di Parigi 2024 sta apprezzando la spontaneità degli atleti e il fatto che la disabilità «sia stata normalizzata e non sia più un tabù poterne parlare». Territori esplorati grazie al suo impegno da pioniera e oggi divenuti terreni di conquista.