L'anniversario. Bakhita, maestra per il nostro tempo di schiavitù
Santa Giuseppina Bakhita (1869-1947)
Anno giubilare per Bakhita, la santa africana nata in Darfur nel 1869, schiavizzata dagli ottomani, riscattata da un console italiano e poi madre canossiana in Veneto. Il 2022 segna i 75 anni dalla morte avvenuta a Schio l’8 febbraio del 1947. A causa del Covid le celebrazioni canossiane saranno, almeno per ora, ridotte al minimo. Le madri di Schio, che curano il santuario dove si conservano le sue spoglie, per questa ricorrenza hanno scelto un profilo spirituale e mistico, secondo la cifra della santa, intitolandolo "Bakhita maestra di ascolto". Oltre alla novena, un triduo di adorazione: In ascolto dei prigionieri; In ascolto della speranza; In ascolto della famiglia. Le meditazioni mettono in relazione testimonianze tratte dalla Positio con brani biblici. Così, attingendo dalla novena di domenica 6 febbraio si leggono queste poche righe di una testimone riferite a Bakhita nel convento di Schio: «Quando veniva chiamata in parlatorio si presentava col suo bel sorriso, si lasciava guardare e rideva della meraviglia che destava in alcuni e tutti ascoltava con deferenza». Umiltà e ascolto. Il versetto evangelico posto in dialogo è Mc 1,17: «Venite dietro a me, vi farò pescatori di uomini», le parole che segnano la chiamata di Simone e Andrea. In questo caso Bakhita, chiamata, mette tutta se stessa nella condizione dell’ascolto, spegnendo ogni interferenza, anche le illazioni legate alla razza. Una grande lezione. Il suo cuore si apre agli uomini perché è davvero aperto a Dio. Era la sua vita e, a sentire chi fa riferimento a lei nella preghiera, è tutt’oggi la sua missione: condivide le sofferenze, ascolta e consola, guida al perdono così come aveva perdonato i suoi aguzzini. «Imparate da me che sono mite e umile di cuore», dice il Maestro ai discepoli. Mitezza e umiltà. Questa è l’autorevolezza che ha fatto scegliere a Simone e Andrea di seguirlo e ha consentito alle prime comunità cristiane di espandersi attraverso il Mediterraneo. Oggi mitezza e umiltà appaiono misconosciute, ma più che mai le uniche chiavi in grado di aprire la porta alla soluzione delle grandi crisi che attraversano la società e la Chiesa: «Imparate da me che sono mite e umile di cuore». Bakhita lo ha imparato, ponendosi sulla strada del Maestro, che accoglie, ascolta, consola, apre il cuore al perdono, libera. Questa è la sua autorevolezza: lei donna, nera, schiava, immigrata, sfruttata, semianalfabeta, lei che i massimi incarichi che ha avuto sono stati quelli di cuoca, sagrestana e portinaia... Mitezza e umiltà di cuore. Quanta attualità c’è in questa scelta. Quanta attualità c’è in Bakhita che, da ultima che era, si è meritata da Giovanni Paolo II il titolo di Sorella universale; da schiava che era, vessata da più padroni (uomini e donne), è diventata un simbolo di riscatto al punto che il giorno che celebra la sua santità è diventato la Giornata mondiale di preghiera contro la tratta. Quanta profezia c’è nella scelta di perdonare, lei che per tutta la vita ha portato sul corpo come stigmi i segni delle percosse? Eppure quanta distanza dalle parole del mondo... Bakhita donna libera non lo sarebbe mai stata se la sua umiltà non avesse generato desiderio di accoglienza nel console Calisto Legnani che la riscatta dal generale turco di cui era schiava a Khartoum. Non sarebbe mai stata l’immigrata che attraversa il Mediterraneo e si realizza in Europa se la sua mitezza non avesse spinto Illuminato Checchini, il fattore della casa in cui era a servizio, ad accoglierla e a difenderla come una delle sue figlie. Così come mitezza e umiltà convinsero le canossiane della bontà della sua vocazione, il Procuratore del re a Venezia del suo diritto a essere libera e italiana. Chiamato a vagliare la sua attitudine alla vita religiosa, il patriarca Giuseppe Sarto (futuro san Pio X) ne fu ammirato. Allo stesso modo ne era incantato un vescovo della statura di Elia Dalla Costa, fin dai tempi in cui era parroco a Schio. Sono state mitezza e umiltà a generare ascolto e a spingere questi personaggi, che la vita aveva posto ben davanti, a porsi «dietro» di lei, come migliaia di altre persone in seguito, "pescate" da questa apostola dell’Africa sbarcata in Italia. Ai tempi della canonizzazione si era discusso della possibilità di attribuire a Bakhita il titolo di Dottore della Chiesa, poi il dibattito si è spento. Oggi l’attualità e lo sguardo nel futuro di questa nostra Sorella universale appaiono sempre più evidenti, lei la schiava che scioglie le catene, anche quelle del rancore, in un’epoca in cui a tutte le latitudini aumentano gli oppressi e i soffocati da ogni forma di schiavitù. In Bakhita sembra soffiare lo Spirito del rinnovamento capace di dare risposte alle palesi difficoltà della Chiesa e della società civile, in linea con le istanze di questo pontificato. Forse quel dibattito spento all’epoca della canonizzazione è tempo di riaccenderlo per questa donna laureata all’Università della mitezza e dell’umiltà di cuore.