venerdì 21 luglio 2023
Il direttore sportivo di lungo corso si racconta in una autobiografia, "Il mio calcio furioso e solitario", in cui ricorda i successi e confessa fragilità e passioni di una vita, come i libri
Il direttore sportivo di lungo corso Walter Sabatini, 68 anni

Il direttore sportivo di lungo corso Walter Sabatini, 68 anni

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I libri sul calcio nostrano, il più delle volte sono deludenti, non superano gli esami di maturità. Questo invece, posso assicurarvi che è un gran bel libro. Parliamo de Il mio calcio furioso e solitario (Piemme. Pagine 158. Euro 18,50) , l’autobiografia senza sconti, specie a se stesso, di Walter Sabatini. Un uomo, difficile, complesso, ma che con queste confessioni semplici e sincere, narrate in pagine di sorprendente letteratura si riabilita pienamente e conquista la laurea dell’hombre vertical. Un libro che sarebbe tanto piaciuto a Flavio Falzetti, un angelo del pallone, un amico che è volato via troppo in fretta, nel 2013, quando aveva soli 41 anni. Flavio, umbro di Norcia, adorava il “direttore” Sabatini, umbro di Marsciano, classe 1955, e se da Lassù gli avessero concesso almeno i tempi supplementari gli sarebbe piaciuto lavorare con lui, nel mondo del calcio. Un mondo, nel quale il direttore sportivodilungocorsoc’èpraticamentedasempre. E per questo sport, si è speso anima e corpo. In apertura del suo personale biopic confessa di non «aver mai ceduto al nichilismo, eccetto che verso il mio corpo, che ho trasformato in campo di battaglia». Osservo da anni con marcatura rigorosamente a zona l’operato e le idee di questo signore del pallone, apparentemente burbero, avvolto da sempre in una fitta coltre di mistero che nel periodo di massimo tabagismo si confondeva con quella nuvola di fumo che aleggiava sopra la sua testa: le sigarette lo avevano portato alla soglia record, quanto perniciosa, delle 60 al giorno. QuestoaspettosabatinianoeracondivisodaGianni Mura, che stramalediva e trovava un atto di inciviltà l’abolizione del fumo nei locali, minacciando l’esilio nella più liberale Francia. Anche Mura se fosse qui sarebbe felicemente sorpreso dal Sabatini scrittore. Che fosse un lettore forte («non ho mai concepito un letto, prima di addormentarmi, e anche al risveglio, senza il conforto di una coperta di libri») ci aveva informati Paolo Sollier, suo compagno di squadra al tempo del Perugia ,metà anni ‘70, il rivoluzionario dello spogliatoio con il vizio di donare libri. A Sabatini all’epoca aveva regalato Cent’anni di solitudine di Gabriel Garcia Marquez e Sollier nell’ultima chiacchierata disse: «Mi piace pensare che Walter abbia chiamato suo figlio Santiago dopo aver letto anche Cronaca di una morte annunciata ». Ne Il mio calcio furioso e solitario, titolo in stile Osvaldo Soriano, Sabatini non lo dice, mentre è chiara la dedica al figlio Santiago, la sua principale ragione di vita. Marquez compare già in esergo: «La vita non è quella che si è vissuta, ma quella che si ricorda e come la si ricorda per raccontarla». I ricordi e i dolori del giovane Walter sono stati leniti in parte dal calcio, il suoeternorifugiocon«lesuetraiettorie,isuoidribbling e l’emozione incontaminata della gente». Sabatini è stato un calciatore estemporaneo, nella stagione perugina 1974-’75 venne convocato in Nazionale B insieme a un altro angelo volato via a 24 anni, Renato Curi. Un piccolo eroe esemplare cadutosulcampo(durantePerugia-Juventusdel 30 ottobre 1977) che l’autore ricorda come uno deirarimomentidiaperturaemotivaallasua«inadempienza morale, mai un abbraccio a mia madre, mai una carezza a mio padre». Per la morte di Curi, Sabatini ha pianto disperatamente e si è ubriacato di whisky nel tentativo di dimenticare quella tragedia e spazzare via come un pallone in tribuna il senso di colpa del sopravvissuto, mentre «Renatoeramortoconlafacciaaffondatainuna pozzanghera, a Pian di Massiano». Piccolo inciso, quel giorno in cui sotto ill cielo di Perugia piovevano lacrime gelate, io ero lì a Pian di Massiano (oggi stadio Renato Curi) con mio padre Mario, e anche a lui sono sicuro che questo libro sarebbe piaciuto. Perché del Sabatini maestro del frenetico e mercantile ruolo del ds sì sa quasi tutto, mentre dell’uomo Walter , prima di questa sua opera prima non avevamo che indizi sommari. Chi del pallone si intende, sa dei suoi tanti acquisti azzeccati che ha scoperto decine di campioni e scovato intere squadre di talenti , alcuni nevroromantici votati al fallimento. Ha fatto le fortune di allenatori e presidenti di una mezza dozzina di club, conpuntemassimeraggiuntenelPalermodelvulcanico “mangiallenatori” Maurizio Zamparini e poi in quella che considera la sua seconda ragione di vita, la Roma. A Trigoria c’ha lasciato il cuore e ha finito di devastare quei polmoni che lo hanno portato al limite dell’area di rigore della morte. È stato in coma e ha visto santi e angeli, anche quelli dalla faccia sporca che affollano sempre più il gran bazar del calcio. «Paradossalmente questa morte è stata un supplemento di vita», può raccontare Sabatini che, una volta ristabilitosi, è tornato al suo posto. Ha provato a ripetere gli splendori romanisti nell’Inter dei cinesi, ma qualcosa non ha funzionato. Meglio ripartire dalla provincia, prima Bologna e poi lo sbarco di salvataggio a Sud. La sua ultima geniale intuizione è stata la Salernitana. Una salvezza impossibile ottenuta con acquisti volanti che sono andati a comporre il mosaico di quello che ha battezzato l’«istant team». Un’autentica impresa che reca la sua firma e quella dell’allenatore, Davide Nicola, altro hombre vertical che ha conosciuto il dolore atroce della morte di un figlio e la parziale rinascita, anche lui, grazie al calcio. E al calcio Sabatini forse tornerà, ma solo se un club gli garantirà di fare il suo mestiere senza rinunciare all’unico potere che reclama: quello all’immaginazione. Dopo questo libro è un uomo nuovo e quella poesia «scritta e dispersa» nei giorni della perdita del fraterno Renato Curi, l’ha riscritta tutta d’un fiato nel memoir che , forse, gli aprirà una nuova stagione da autentico pensatore con i piedi.

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