A Grosseto. Omar Galliani, Blu oltremare, 2018
«Immaginiamo un palco sul quale viene fatta sfilare una serie di personalità della storia culturale dell’Occidente e un presentatore chiede a loro una definizione del “volto”. Il primo è Cicerone che in latino esclama: “ Imago animi vultus”, il viso è uno specchio dell’anima. E aggiunge: “ indices oculi”, cioè gli occhi ne sono lo svelamento. Poco dopo, ecco Plinio ripetere: “ In oculis animus habitat”, e qui non c’è bisogno di traduzione.
È, secoli dopo, Ariosto a sospirare: “Se, come il viso, si mostrasse il core!”. Poi è la volta di un pensatore francese del Seicento, Jean de La Bruyère: “Un bel viso è più affascinante di tutti gli spettacoli”. Un secolo dopo, ecco lo scienziato e scrittore tedesco Georg Christoph Lichtenberg a ribadire che “la più interessante superficie del mondo è quella del volto umano”». Così scrive il cardinale Gianfranco Ravasi nell’editoriale di Luoghi dell’Infinito di ottobre dedicato a «Il tuo volto io cerco», tema della terza edizione della Settimana della Bellezza di Grosseto che si è aperta venerdì 19 ottobre.
Un momento di incontro, di fede, di riflessione, di arte, di musica e di poesia per tutti, in particolare per i giovani. Una festa di popolo che guarda alla sua terra, la Maremma, un tempo maledetta – tra paludi, malaria e briganti – e ora benedetta, per la bellezza dei suoi paesaggi, per un’economia rispettosa del genius loci, per il gusto di vivere, che ancora anima gran parte della sua gente. «Il desiderio di fondo – dice il vescovo di Grosseto, Rodolfo Cetoloni – è di assumere l’invito che più volte il Papa ha rivolto ai cristiani: quello di inforcare lenti nuove con cui guardare all’altro che ci sta di fronte, per assumere uno sguardo più accogliente, più aperto allo stupore della novità che l’altro porta con sé sempre. A partire dalla contemplazione del volto per eccellenza: quello di Dio».
In questa festa, l’arte ha un ruolo importante: quattro le esposizioni, ideate da Fondazione Crocevia. La mostra Omar Galliani. Teofanie, a Clarisse Arte, presenta un percorso di oltre quarant’anni nel segno della bellezza come espressione di un’intensa ricerca spirituale. Percorso che nel volto ha il suo centro e il suo orizzonte. Scrive l’artista emiliano: «Le mie Teofanie alloggiano ovunque, sui volti eterei o sognanti di angeli sospesi tra terra e cielo in attesa di essere riconosciuti, o sui volti non meno velati, distanti o vicini del Salvatore.
Volti tolti dall’oblio del presente e restituiti nell’idealità del trascendente. Anche l’opera disegnata, scolpita, fotografata o dipinta è nel suo manifestarsi “teofania” in quanto manifestazione del sublime. Sublimazione della materia incongrua che prende corpo, forma… anima mundi ». I volti di Galliani sono abitati dal mistero. Nel nome dell’Assoluto le misure delle sue opere diventano smisurate: i suoi volti sono i più grandi mai realizzati nell’arte del disegno. Solo uno sguardo che non conosce limiti è capace di cogliere l’umano. Da qui la vocazione a un disegno infinito, o, come dice lui, «infinitissimo». Nel volto incarna lo spirito e spiritualizza la carne. Così la bellezza sa inabissarsi nel profondo, abita le radici del nostro stesso essere: è l’immagine divina di cui siamo fatti. E le figure di Galliani sospese tra cielo e terra ci ricordano quel che siamo noi, riflettono, come in uno specchio, il nostro essere più intimo e vero.
Al Museo Archeologico e al Museo Diocesano l’esposizione dedicata ad Aurelio Amendola, colui che ha saputo fare della fotografia d’arte l’arte della fotografia. Sessant’anni sono passati da quando Amendola scattò le prime foto alle opere di Giovanni Pisano, quanto basta per affermare che scultura fotografata e Aurelio Amendola sono sinonimi: «Il punto di partenza e il punto di arrivo del mio lavoro è la scultura. E i volti, i corpi di marmo o di bronzo sono per me persone viventi». Nella mostra, quindici fotografie di grande formato permettono di entrare negli sguardi dei grandi capolavori di Michelangelo, Canova e Wildt. Le foto di Amendola raccontano non solo l’arte, ma anche l’empatia, la vicinanza che ha coltivato con i tanti maestri conosciuti. Que- sto gli ha permesso di mostrarci il lato umano dell’opera, il creatore e la creatura insieme, nella continua ricerca dell’incipit e della forza generativa del linguaggio. Ci ha offerto prospettive nuove di lavori così famosi che nella ripetitività della riproduzione avevano finito per diventare stanchi simulacri dell’originale.
I d’après di Piero Vignozzi, pittore fiorentino dalle ottantaquattro primavere, dedicati ai tesori di fede e di arte della diocesi, la Madonna delle Grazie di Matteo di Giovanni e la Madonna delle Ciliegie del Sassetta, saranno esposti nel duomo di Grosseto. Dice Vignozzi: «Io sento i grandi maestri come amici e mi sembra di entrare in bottega da loro come semplice garzone, a volte come aiuto. Riconosco la loro grandezza, spesso la forza della fede che traspare dalla bellezza che hanno saputo creare. Contemplo e mi lascio ispirare. Nei loro confronti ho un forte senso di gratitudine. Non posso mettermi a pari con loro. Semplicemente, anche da vecchio qual sono, cerco di essere un bravo studente e non mi stanco di andare a scuola». Infine, nell’episcopio, la mostra fotografica “Quattr’occhi sul mondo” di Max Laudadio, inviato di Striscia, un racconto fotografico in giro per il mondo cominciato dieci anni fa... Le mostre di Galliani e Amendola resteranno aperte fino al 7 dicembre, quelle di Vignozzi e di Laudadio fino al 18 novembre. Info: fondazionecrocevia.it