sabato 15 dicembre 2012
COMMENTA E CONDIVIDI
​Questa volta, nella barca, di uomini ce n’è uno soltanto. Per non parlare della tigre. Hanno fatto naufragio, sono in mezzo al Pacifico e lottano per sopravvivere. Ciascuno con le loro armi: per il sedicenne indiano Pi, quelle della speranza; per Richard Parker, il famelico felino del Bengala, l’istinto. Ma tra i due si crea una vera alchimia che sfocerà nella più incredibile delle avventure e delle esperienze. Non è un romanzo di formazione qualsiasi Vita di Pi di Yann Martell (pubblicato nel 2001, un caso letterario mondiale, il personaggio di Pi avvicinato al Piccolo Principe di Saint-Exupéry), al quale si ispira fedelmente l’eclettico Ang Lee (Oscar, Leoni e Orsi d’Oro tra i tanti premi ricevuti) per l’ultimo suo film in uscita il 20 dicembre in uno splendido e luminoso 3D. Attraverso l’affabulazione spirituale di una storia impossibile, le pagine, e di conseguenza le immagini raffinate e bellissime del regista taiwanese, distillano per un pubblico vasto e eterogeneo la questione di Dio e l’ancoraggio a una vita di fede, quando tutto, perché si è alla deriva, senza cibo e in mezzo a mille pericoli, sembra davvero perduto.Pi (così si chiama perché il suo vero nome per intero fa riferimento alla passione del padre, il nuoto e le piscine, e per questo viene deriso dai compagni di scuola) inizia la sua vita serena e brillante in India – la famiglia è proprietaria di uno zoo –, ma il padre decide di trasferirsi in Occidente e per questo carica tutti gli animali su un bastimento-arca giapponese. Una tempesta in cui tutto farà naufragio cambierà per sempre le sue certezze, le sue attese, infrante dopo una attraversata delle acque durata 227 giorni, a contatto con la natura. Approderà, esausto e dimagrito, in Messico; trasferitosi in Canada, conseguita una laurea in teologia e zoologia, trovati un lavoro e una brava moglie, avrà anche la forza di ricordare i fatti. E di dirci chi veramente sia la tigre. Mentre chi veramente sia Pi, spetta a Ang Lee farlo: «È un adolescente alla ricerca di se stesso, grazie all’incredibile avventura che è costretto a vivere gli si rivelano sentimenti ed emozioni in precedenza solo sfiorati. I pericoli fronteggiati gli insegnano che la fede è importante per superare qualsiasi ostacolo. Infatti Pi a un certo punto smette di essere razionale e accetta di farsi guidare da qualcosa che va oltre ciò che è spiegabile in termini razionali. Ed è in quel momento che scopre quanto grande sia la sua fede». La curiosità dell’adolescenza marca il suo avvicinamento ad alcune religioni tradizionali, in tutta la prima parte del film, quella sulla terraferma: «Pi all’inizio si apre agli insegnamenti di diverse religioni e incontra quella cattolica, con la figura di un sacerdote, quella islamica, nella moschea, e l’induismo, con le sue tradizioni, opponendosi così al razionalismo del padre. Non deve sorprendere, perché in India tutte queste religioni convivono, quindi per il ragazzo è naturale provare il desiderio di conoscerle tutte. Una volta solo, in mezzo al mare e in costante pericolo di vita, si aggrappa agli insegnamenti ricevuti invocando un Dio assoluto, non riconducibile a una religione particolare». Ang Lee schiva il sincretismo spiegando quali sono le ragioni profonde della sua scelta: «Credo che il mio film sia perfetto per un pubblico di giovani. Non che agli adulti non possa piacere, ma oltre al divertimento i ragazzi potranno scoprirvi la forza dei valori che sono alla base dell’esistenza umana». Pi li sperimenta su una scialuppa, prima con cinque animali, poi solo con la tigre, attorniato da una fauna marina fantastica, talvolta ostile, e da creazioni del suo immaginario, ove tutto rimanda sempre al trascendente. «Quando cominciò la mia solitudine – ricorda alla fine del suo racconto il bravissimo Suraj Sharma, scelto tra tremila aspiranti, 17 chili persi nel corso delle riprese, mentre le tigri sono quattro e nei momenti più difficili elaborate digitalmente – mi rivolsi a Dio. E sopravvissi».Ma si scopre anche, senza nemmeno un sospetto e un indizio, che le storie forse sono due, una buona e una cattiva, una con gli animali e una senza. Una che rende più consapevoli e puri, l’altra più colpevoli e malvagi. La prima è quella che più piace a chi l’ascolta, «e così è anche per Dio», sancisce Pi ai suoi interlocutori. La seconda, capita il più delle volte nella realtà. E non vorremmo proprio sentirla.
© Riproduzione riservata
COMMENTA E CONDIVIDI

ARGOMENTI: