Luigi Vanvitelli, "Autoritratto" - archivio
Poco si è scritto della religiosità di Luigi Vanvitelli, il genio dell’architettura del diciottesimo secolo, progettista della celebre Reggia di Caserta. Che pure fu profonda e riservata. «La sua fede non ebbe un carattere eroico - dice lo storico Giuseppe de Nitto, che terrà la relazione centrale del convegno promosso dalla diocesi di Caserta domani e dopodomani su “Luigi Vanvitelli, l’uomo, l’architetto, il cristiano”. - Fu un sentimento vissuto intensamente nella pratica quotidiana, con semplicità, con serenità; quella serenità che lo caratterizzò sempre, anche nei momenti difficili della vita. Luigi visse per la famiglia e per il lavoro, lasciandosi guidare sempre da una viva fede religiosa: in essa trovò sostegno e incoraggiamento per affrontare i “massimi impegni” che fu chiamato a realizzare, in Roma e in tutto lo Stato Pontificio, e infine, dopo il 1751, a Napoli e soprattutto a Caserta, dove creò il suo capolavoro. In essa trovò conforto per il dolore della perdita della figlioletta di quattro anni, Anna Maria, e della sorella Petronilla. Costantemente nelle sue lettere scriveva: Fiat voluntas tua, Domine».
Relativamente poco si è scritto altresì della pittura di Vanvitelli, e in particolare di quella di soggetto sacro, che riguardò gli anni giovanili e di fatto fu marginale nella storia artistica dell’architetto, e che pure, a rileggerla nel quadro d’assieme della sua personalità, può rivelare autentiche sorprese. Vanvitelli pittore e disegnatore si formò in parte alla scuola del padre, Gaspare van Wittel, il famoso vedutista. Per l’esercizio del disegno fu essenziale l’esempio di Filippo Juvarra, ma la suggestioni maggiori gli derivarono dal pittore Sebastiano Conca, di una ventina d’anni più anziano, di cui Luigi ammirava l’estro compositivo, l’interpretazione passionale dei soggetti, sapientemente dosata in un quadro figurativo di grande intensità e raffinato equilibrio tra classico e barocco. Anche Carlo Maratta lo impressionò, figura cardine della pittura romana tra Seicento e Settecento. È il dipinto I santi martiri Cecilia e Valeriano, realizzato tra il 1725 e il 1726, commissionato dal cardinale Francesco Acquaviva d’Aragona, pala d’altare della Cappella delle Reliquie della Chiesa di Santa Cecilia in Trastevere a Roma (in cui dipinse a fresco anche parte della volta con angeli musicanti, e dove lo stesso Conca aveva lavorato ad una Gloria di Santa Cecilia nel 1724), l’opera che maggiormente rappresenta la sua giovane carriera di pittore. Il dipinto è notevole, per dimensioni e impianto scenico. Illustra il ritorno di Valeriano, sposo della santa vergine, dopo il battesimo ricevuto da Urbano, ispirandosi alla descrizione che dell’episodio aveva fatto il poeta e agiografo medievale Jacopo da Varagine. Una certa rigidità caratterizza le figure, sebbene trapeli una fresca soavità nel volto di santa Cecilia e un sincero, emozionante stupore in quello del consorte Valeriano. Nell’armonica struttura dell’insieme si palesa del resto lo spirito del futuro architetto, il suo dono di contestualizzare lo spazio e articolarlo con nettezza e armonia. Ma sono i disegni preparatori dell’opera la vera rivelazione, assolutamente diversi dai dipinti, non tanto compositivamente quanto ispirativamente. In essi si colgono i segni di una fresca e quasi impulsiva intuizione, lo slancio di una passionale limpidità. Il segno è dinamico, interpreta nel registro tutta l’eccezionalità dell’evento, così come narrato dalla tradizione. La santa che nel dipinto è tutto sommato composta, presa e quasi astratta nella divina grazia, nel bozzetto è come colta da un rapimento d’estasi. L’angelo precipita sugli astanti e Valeriano rivela il suo stupore non tanto con l’espressione del viso quanto con la sua flessuosa postura. L’interpretazione di Luigi della scena è insomma nei disegni più emotiva, sentita con slancio, testimoniando al di là del soggetto un segno libero e personale.
Questo registro, di intima e sincera partecipazione, in realtà caratterizza tutti i disegni di figura sacra del giovane Vanvitelli, relativi agli anni venti e ai primi trenta del Settecento. Poi Luigi rivolse il disegno quasi totalmente al servizio della progettazione architettonica, con quella raffinatezza stilistica coniugata con una incredibile lucidità illustrativa che è stata genialmente sua. Nella Maddalena Penitente, ad esempio, disegno del 1730 circa, custodito nella Reggia casertana, la postura della santa, seduta su di una pietra, presso l’apertura di una grotta, è sottolineata in modo poco comune dalla posizione del braccio e della mano su cui poggia il capo dolente e soprattutto dal gioco di ombre addensate nel volto ed incline ad una sensibilità tormentata, introversa e pensosa. In Cristo e la Samaritana, anch’esso degli anni trenta, nel singolare impianto seicentesco si legge un sincero dialogo tra i personaggi, quasi un afflato, una comunicazione profonda. E’ il momento dell’ “acqua viva”, della parola battesimale. Cristo appare incorniciato sullo sfondo dell’edicola della fontana e quasi vi si inserisce graficamente. Il tratto dei volti si addensa nello sguardo e sottolinea l’intensità spirituale e rivelativa del momento. Nel quadro di una rappresentazione che potrebbe definirsi scenografica, Vanvitelli anticipa quel suo bisogno di equilibrio tra espressione e composizione e che qui, in un soggetto religioso, acquista quasi un valore simbolico. Ma, al tempo stesso, manifesta, nel segno e nella sua espressione, un sincero bisogno interpretativo del tema. Altri lavori potrebbero citarsi, sotto questo profilo, da La messa di San Basilio, forse del 1929, a Sant’Orsola, realizzato probabilmente prima del 1733, alla Presentazione di Gesù al tempio, alle figure di santi. Vanvitelli giovane testimoniò insomma, soprattutto nei disegni, una sensibilità colma di passione e di intima religiosità. Che poi seppe conservare nel privato di una fede autentica, che alimentò nel profondo del suo genio nobile ed equilibrato.
Luigi Vanvitelli, "I santi martiri Cecilia e Valeriano" - foto Benedettine Basilica di Santa Cecilia
A Caserta tre giornate di studi
Luigi Vanvitelli, tra i grandi protagonisti dell’architettura settecentesca, sarà al centro del convegno promosso dalla Diocesi e dal Comune di Caserta nei giorni 9 e 10 novembre. “Dalla lettura dell’epistolario di Luigi Vanvitelli al fratello Urbano, canonico in Roma, protrattasi dal 1751 al 1767 – afferma il vescovo monsignor Pietro Lagnese – emerge una forte dimensione spirituale e soprattutto una vita cristiana impegnata, su cui si è poco approfondito. Ecco il motivo del presente convegno nel 250° anniversario della morte”. L’elemento religioso è dunque al centro delle giornate di studi. Ventidue relatori, docenti universitari e personalità del mondo culturale, approfondiranno, presso la Biblioteca Diocesana, la figura di Vanvitelli architetto e artista attraverso cinque sezioni: la personalità umana e religiosa, l’opera, il contesto storico-culturale e la sua influenza nell’Italia e nel mondo.
La direzione scientifica è affidata al professore Giuseppe de Nitto, la cui relazione verterà sul “Sentimento religioso di Vanvitelli”, e al critico d’arte Giorgio Agnisola, il cui intervento sarà dedicato a “La pittura e il disegno di soggetto religioso” dell’architetto (che anticipiamo in parte in questa pagina). Il dipartimento di Lettere e Beni culturali dell’Università degli Studi della Campania “Luigi Vanvitelli”, coordinati dal direttore Giulio Sodano, e il soprintendente Gennaro Leva – area Archeologia, Belle Arti e Paesaggio per le province di Caserta e Benevento – che terrà una relazione su “La Cappella Palatina della Reggia di Caserta”, forniranno il supporto scientifico alle cinque sezioni del Convegno. La due giorni si conclude, presso il Teatro Comunale “Parravano”, con una lectio magistralis sul tema “La bellezza come speranza” di Giovanni Gazzaneo, critico d’arte e ideatore di “Luoghi dell’infinito”, il mensile di itinerari arte e cultura di “Avvenire”.
Il convegno vede il coinvolgimento istituzionale della Regione e della Provincia, nonché il patrocinio del Fai Campania, del Club Unesco di Caserta e di Fondazione Crocevia. Gli atti confluiranno in una specifica pubblicazione.