Il saluto di due bimbi in Cambogia - WikiCommons
Tra i compiti dei genitori è insegnare a salutare. Tutto comincia all’alba della vita, quando il bambino ricambia il primo saluto ricevuto: il sorriso della mamma. È il passaggio del fuoco da una candela accesa ad un’altra ancora spenta; la combustione di un’anima ancora inerte, ma già pronta ad infiammarsi. Nei mesi successivi, i saluti del bimbo si espandono, coinvolgendo le mani che si aprono e chiudono, echeggiando il gesto dei genitori. Dapprima tutto è riservato all’intimità familiare; poi arriva il momento dell’uscita di casa. Papà e mamma sanno che il saluto agli estranei è l’ingresso ufficiale del loro bambino nell’umana famiglia: «Fa’ un bel sorriso!», «Fa’ “ciao” con la manina!». Si celebra il riconoscimento reciproco tra il piccolo e gli altri abitanti del mondo. Salutare è un gesto originario e intenso, un luogo di emersione dell’umanità dell’uomo. Nel 1977, si lanciarono le sonde Voyager 1 e 2, verso lo spazio profondo, anche nella speranza d’incontrare una civiltà aliena. Ai due apparecchi si applicò un disco rivestito d’oro, una sorta di presentazione estremamente sintetica e accessibile dell’umanità terrestre. Insieme a immagini, suoni naturali, musica, testi letterari, e informazioni scientifiche, i due dischi, ormai al confine del sistema solare, riportano i saluti in una sessantina di lingue (comprese sumero, greco antico, accadico, ittita e latino…). Non solo: nelle figure immediatamente comprensibili all’eventuale extraterrestre stanno un uomo e una donna nudi, in piedi, col volto pacifico; l’uomo alza la mano in segno di saluto. La prima cosa da fare incontrando chissà chi è salutare, in ogni caso. Il semplice catalogo dei saluti di una singola cultura e delle culture tutte è un patrimonio dell’umanità. Era certamente la convinzione di chi progettò le due sonde. “Salutando” si augura “salute”, pienezza di vita (anche nel cinese mandarino Ni hao). Si “augura”, appunto. “Augurare” deriva dal latino “ augere”, cioè “accrescere”, “aumentare”; sicché il sacerdote/profeta etrusco e latino, detto “ augure”, è colui che “fa crescere”, annunciando la possibile buona riuscita del giorno (“Buon giorno!”), della sera (“Buona sera!”), della notte (“Buona notte!”). Salutare è una funzione sacerdotale e profetica in forza della speranza infusa, grazie al presagio della riuscita. Che dire del più famoso saluto italiano: “Ciao”? Probabilmente deriva dal veneto “ s’ciao”, a sua volta proveniente dal latino “ sclavus”, cioè “schiavo”, “servo”. Salutando così (come nel tedesco “ Servus”), si dichiara la disponibilità a servire chi si incontra: “al tuo servizio”. Nell’interlocutore è scorta una signorilità meritevole di sollecitudine operosa. E lo splendido primo saluto francese: “ Enchanté”? Letteralmente significa: “sono incantato davanti a te”. Esprime l’incanto di una persona incontrata per la prima volta, il suo canto, la sua magia. I saluti introducono e sigillano, aprono e chiudono un incontro, secondo ritualità antiche e precise. Il loro mancato rispetto estromette dai margini che ogni popolo si dà. Tant’è che non salutare, non rispondere ai saluti, salutare in modo scomposto, togliere il saluto è tra i gesti più gravi ed emblematici. I saluti di congedo mostrano che gli incontri sono a portata di mano; la loro tempistica è gestibile: “A domani”, “Arrivederci”, “A presto”. Tuttavia, essi ritengono che gli incontri siano ben più misteriosi delle capaci e fragili mani umane; perciò, meglio raccomandarli a Dio: “Addio”, come se Dio fosse il Signore degli incontri, dei saluti e del loro ultimo destino. Una decina d’anni fa, il mondo sorrise alle prime parole dell’appena eletto papa Francesco: «Fratelli e sorelle, buonasera». Un gesto semplice, pieno di senso e di speranza, capace di raccogliere tutta l’umanità (cristiani e non, credenti e non) in una piazza. Un esordio apparentemente inusuale; in realtà non così nuovo. Infatti, una sera di circa duemila anni fa, un ebreo andò a trovare i suoi amici. Inatteso, arrivò in casa e salutò come tutti gli ebrei fanno: “ Shalom!”. Data l’ora, era come se avesse detto: “Una sera piena di pace!”, “Buona sera!” (Gv 20,19). Quell’ebreo era appena risuscitato dai morti. Eccome se era buona quella sera!