Il cantautore brasiliano Toquinho (foto Marcos Hermes)
La voce inconfondibile del Brasile festeggia 50 anni di carriera in concerto in Italia. Toquinho (al secolo Antonio Pecci Filho, nonni materni e paterni italiani) chiude stasera il festival Vocalia giunto alla sua 15ma edizione sul palco del Teatro Verdi di Maniago (Pordenone). Toquinho, o “Toco”, come amava chiamarlo Vinicius De Moraes, a 76 anni portati con la vitalità di un ragazzino è l’espressione più pura e veritiera della forza e della storia musicale del Brasile. Con il suo timbro caldo e quel tocco delicato sulla chitarra, Toquinho, insieme alla splendida voce della brasiliana Camilla Faustino, Dudu Penz al basso e Mauro Martins alla batteria, sarà protagonista di uno spettacolo di grande fascino che restituisce la “saudade” di Tom Jobim e del suo grande amico e collaboratore Vinicius de Moraes, di Baden Powell, Carlos Lyra, Chico Buarque, Menescal e tanti altri. Un concerto che entra direttamente in quell'anima poetica della bossa nova e nella magia inconfondibile degli “Afro Sambas” e ripercorre i brani che hanno fatto innamorare il pubblico di tutto il mondo: dalle melodie di La voglia e la pazzia, l’incoscienza e l’allegria, Senza paura, Samba della benedizione, Samba per Vinicius fino ad Acquarello (che festeggia i 40 anni dal successo in Italia), per citare soltanto alcune delle canzoni legate alla carriera di grandi successi dell’artista. Toquinho, che sta preparando anche un disco di duetti contenete 20 suoi grandi successi reinterpretati insieme alle voci migliori del Brasile, racconta ad Avvenire la sua carriera e il suo speciale rapporto con l’Italia.
Maestro Toquino, lei sarà in concerto a Vocalia, uno dei tanti concerti che ha tenuto nel nostro Paese da cui viene molto amato. Ci racconta questo amore reciproco per l’Italia?
Ho una vera e propria relazione d'amore con l’Italia, che deriva sia dalle mie radici sia dal calore e dall’affetto che ho sempre ricevuto, sin da giovanissimo, quando sono arrivato nel vostro Paese con Chico Buarque. Negli anni trascorsi in Italia ho avuto la fortuna di collaborare con moltissimi grandi musicisti italiani e parte di questo lavoro ha avuto il suo culmine con il disco realizzato nel 1976 con Ornella Vanoni e Vinicius de Moraes, La voglia la pazzia l’incoscienza l’allegria prodotto da Sergio Bardotti e qualche anno dopo con Acquarello che è stato un grande successo non solo in Italia e che festeggia i 40 anni dall’uscita.
Questo brano resta tuttora un evergreen.
Mi sorprende sempre vedere a distanza di tanto tempo che sono ancora molti quello che lo amano e allo stesso tempo quelli che lo scoprono come se fosse stato scritta ieri. Il tour che ho fatto quest’estate in Italia e la possibilità di poter cantare ancora quella canzone in italiano mi ha dato tante emozioni ed è stata una conferma di quello che mi lega all’Italia, mia seconda patria.
Come accennava, lei ha avuto collaborazioni con i più grandi nomi italiani, da Ungaretti a Endrigo, Bardotti, Vanoni. Che esperienze sono state?
Con Ornella ci siamo conosciuti quasi 50 anni fa tramite Sergio Bardotti e abbiamo lavorato a lungo e con molta tranquillità all’album La voglia la pazzia l’incoscienza l’allegria. Abbiamo vissuto quel periodo con grande sintonia rafforzando la nostra amicizia oltre che il rapporto professionale. Ornella ha un carisma enorme e un timbro vocale fantastico. All’origine di tutto c’è Bardotti, è stato lui il “cervello” perché Ungaretti era da una parte, Vinicius da un’altra io chissà dove e Endrigo a casa sua: è stato Bardotti che ha unito tutti con l’idea di partire dai testi di due grandi poeti come Vinicius e Ungaretti e farli diventare il disco La vita, amico, è l’arte dell’incontro. Mi piacerebbe ripetere un’esperienza del genere ma credo non ci sia più il materiale umano e poetico per poterla ripetere.
E la sua lunga collaborazione con Vinicius De Moraes?
Lavorare con lui è stato un continuo apprendimento sia sul lato professionale che su quello personale. È stato uno scambio di esperienze a cui io ho contribuito con la mia giovinezza e lui con la sua indiscutibile maturità poetica e umana. Grazie a lui sono cresciuto molto come musicista e ho acquisito fiducia nelle mie capacità di artista.
Lei e gli altri musicisti del suo Paese avete sviluppato e esportato nel mondo uno stile amatissimo e sempreverde. Si può dire la stessa cosa per i musicisti brasiliani di oggi ?
Ne conosco molti, tutti bravissimi ma li vedo sparsi, quindi non penso si possa parlare di un movimento specifico di musicisti brasiliani come per la mia generazione, figlia della bossanova, un movimento che è stata fondamentale: c’è una musica brasiliana prima e una dopo la bossanova.
Ci racconta del suo ultimo disco A arte de viver che è stato realizzato a distanza nel 2020?
Il disco è nato – con il poeta Paulo César Pinheiro – all’inizio senza un preciso obiettivo, lavorando brano dopo brano, finché non abbiamo raggiunto un numero di canzoni che esprimessero il nostro Dna. Non c’era un progetto discografico, ci concentravamo sulle singole composizioni. Il legame per farne un disco è stata la mia chitarra. Devo dire che i testi non c’era bisogno di ritoccarli, si adattavano perfettamente alle melodie e anche le canzoni nascevano già perfette sia melodicamente che armonicamente, Paulinho è un grande poeta con grande tecnica, non ho nemmeno mai avuto bisogno di spiegargli gli argomenti, abbiamo un gusto molto simile: entrambi amiamo la musica brasiliana.