«Siamo o non siamo su un’invisibile trottola, cui fa da sferza un fil di sole, su un granellino di sabbia impazzito che gira e gira e gira, senza saper perché, senza pervenire mai a destino, come se ci provasse gusto a girare così, per farci sentire ora un po’ più di caldo, ora un po’ più di freddo, e per farci morire - spesso con la coscienza d’aver commesso una sequela di piccole sciocchezze - dopo cinquanta o sessanta giri? Copernico, Copernico, don Eligio mio ha rovinato l’umanità, irrimediabilmente » scrive Luigi Pirandello in Il fu Mattia Pascal. Non si tratta di rovina ma certo di spaesamento. Le righe dello scrittore sono forse solo l’eco lontana di quanto avevano ammonito, pur con toni, diversi Montaigne e Blaise Pascal.
La rivoluzione astronomica e la cosiddetta scoperta delle Americhe privano l’uomo delle certezze fino ad allora godute. Non solo egli non vive più al centro dell’universo ma scopre popoli che per millenni ha ignorato con costumi e abitudini inimmaginabili. Oltre allo stupore per la scoperta delle nuove realtà cresce nell’essere umano un forte disorientamento. E se i punti saldi vacillano vacilla anche il 'conosci te stesso', il motto che sta al cuore dell’avventura umana. Tanto caro agli Antichi, l’insegnamento socratico da cui derivano le meraviglie della vita rischia di diventare causa di perdizione anziché di libertà. Esso vale in un cosmo tutto ordinato dove ogni essere dispone di un suo definito posto e riconosce i limiti che gli sono concessi. Quando invece i riferimenti caracollano conoscere se stessi rischia di precipitare l’uomo nella desolazione. Senza un centro di gravità, porsi alla ricerca di sé, equivale a perdersi nei meandri della propria anima. Si finisce col vagolare senza ordine e guida scambiando le illusioni per conoscenza.
In un mondo senza orizzonti, il 'conosci te stesso' riprende vigore se ancorato all’Eterno, se rinviene una stella polare che orienti la contemplazione della via maestra. Qui sta la forza della ricerca di santa Teresa d’Ávila di cui l’editore Bompiani pubblica, il prossimo 5 settembre, una nuova edizione completamente rivista a corretta di Tutte le opere (pagine 2.310, euro 65,00) con la curatela di Massimo Bettetini. Oltre a La vita, Il Castello interiore, Le Fondazioni, Il Cammino di perfezione e le Poesie nella corposa raccolta compaiono anche le fatiche meno note ma non per questo minori. Non si deve essere indotti a leggere le pagine della Santa e dottore della Chiesa in chiave «umana troppo umana » ritenendo si tratti di una semplice ricerca di sé. Si dimenticherebbe che al cuore del suo cammino sta Dio.
«Torniamo al nostro Castello dalle molte dimore – esorta Teresa d’Ávila – non dovete pensare a queste stanze una di seguito all’altra, come in fila; concentratevi su quella centrale, l’appartamento, o dimora, abitata dal Re». Occorre certo la conoscenza di sé ribadisce la Santa spagnola ma senza perdere il centro che irradia la luce. Il cammino di quête, tanto per ricordare la predilezione giovanile di Teresa per la letteratura cavalleresca, o la subida, per non lasciare nell’ombra il suo sodale in spirito san Giovanni della Croce, non può prescindere dalla ricerca di sé benché essa si slanci verso la perfezione. Il monito «conoscetevi!» offerto dalla Santa alle sorelle del Carmelo ne è la prova evidente. «Lascia, dunque, volare l’anima per le stanze dell’anima, in alto, in basso, ai lati: Dio le ha concesso sufficiente dignità. Non si strugga, l’anima, a restare in una sola stanza» annota la mistica spagnola nel Castello interiore, scritto tra giugno e novembre del 1577, in obbedienza a quanto richiesto dai superiori. Il Castello, «tutto fatto d’un diamante o di un limpido cristallo dove ci siano molte dimore», non è altro che l’immagine dell’anima. E in esso non si può non entrare. Epperò accade anche di indugiare all’esterno senza essere sospinti oltre il portone.
«Molte anime girano attorno al Castello – riconosce santa Teresa – mirandolo e rimirandolo, disinteressate a entrarvi, senza sapere chi e cosa ci sia all’interno di quel prezioso luogo, né quali siano le sue dimore». Così facendo gli uomini si riducono però a delle «statue di sale» ghermiti dal loro corpo. Una volta varcata la soglia però non si può pensare di giungere subito al cuore del Castello. Occorre visitare l’anima in tutte le sue parti senza lasciarsi intimorire. Deve essere lasciata correre e spostarsi liberamente da un luogo all’altro. «Lasciala, dunque, volare per queste stanze – consiglia alle consorelle – in alto, in basso, ai lati: Dio le ha concesso sufficiente dignità» anche perché il sole riverbera la sua luce in ogni canto del maniero. Si tratta però solo del primo passaggio e non senza difficoltà. Ma non bisogna lasciarsi scoraggiare dalle ombre che si incontreranno. Come recitano eloquentemente i suoi versi, «Nulla ti turbi, / nulla ti spaventi: / tutto passa. / Dio non muta. / Tutto ottiene / la pazienza; / a chi Dio possiede / nulla manca. / Dio solo basta».