«Nell’impegnarmi a difesa dell’ecologia e di un corretto rapporto con l’ambiente – sostiene Paolo Portoghesi, insigne architetto, docente di Geoarchitettura alla Sapienza di Roma – mi sono reso conto di quanto, tra coloro che condividono questa preoccupazione, pesasse il pregiudizio avverso alla tradizione ebraico-cristiana. L’idea cioè, che il comandamento biblico di 'dominare la terra' fosse alla radice dell’uso indiscriminato delle risorse. Allora ho cominciato a raccogliere testi che dimostrano esattamente il contrario: in tutta la storia del pensiero cristiano si ritrovano autori che parlano della bellezza del creato e della necessità di custodirlo». Così ha preso forma
Il sorriso di tenerezza. Letture sulla custodia del creato (Libreria Editrice Vaticana, euro 26), un libro che, come scrive nelle pagine di apertura il cardinale Raffaele Farina, «offre le prove che non è stato lo spirito ebraico- cristiano a guidare l’umanità verso l’attuale rapporto conflittuale con la natura, ma piuttosto l’oblio di una tradizione religiosa che vedeva, nei beni della terra, doni da usare con senso della misura e non da devastare o sprecare». Ed ecco che dal libro della Genesi a sant’Agostino, da Basilio il Grande a Ildegarda di Bingen, da San Francesco a Romano Guardini, da Teresa d’Avila a Teilhard de Chardin, dall’abate Sugero a Vladimir Solov’ev, da Pico della Mirandola a Gianfranco Ravasi, a Simone Weil, Hans Urs von Balthasar, a tutto il magistero attuale della Chiesa, sono centinaia gli autori che mostrano nell’ispirazione cristiana il presidio all’armonia del creato. Raccolti e ampiamente citati a dimostrazione che l’interesse per l’ambiente è costante nel cristianesimo dalle origini ai nostri giorni. «D’altro canto l’interesse della Chiesa per l’ambiente – insiste Portoghesi – non è riduttivo né a-problematico, non è improntato a una certa semplificazione, come quella che abbracciano coloro che presentano i pellerossa quali paradigma di rapporto equilibrato con la natura. Perché il discorso ambientalista cristiano è improntato non alla sottomissione, ma alla responsabilizzazione».
Ma c’è il problema della centralità dell’essere umano. Simone Weil, da lei citata, richiede di "rinunciare a immaginare di essere il centro del creato, riconoscere che tutti i punti del mondo sono altrettanti centri allo stesso titolo...". «L’uomo è parte del creato ma, unico tra le creature, gli è lasciata la libertà. Questa lo mette in una condizione particolare, unica. Che comporta anche la responsabilità. Tale condizione di privilegio non implica una visione antropocentrica del mondo; il cristianesimo infatti si fonda su un concetto teocentrico. Nella sua condizione di responsabilità l’uomo ha anche la capacità di intervenire per continuare l’opera di creazione: in questo consiste la sua creatività. E, come nel caso della costruzione del tempio, è guidato dalla mano di Dio: la sua capacità di azione consiste proprio nel sottomettersi alla legge divina. Questo costituisce un atteggiamento fondamentale nella disciplina architettonica, nella quale l’amministrazione delle risorse è rilevante per ottenere come risultato la bellezza».
La bellezza è collegata all’impulso alla trascendenza: nel volume si cita Sugero e la sua abbazia di St. Denis, alla base del gotico con le sue ampie vetrate. Nel XX secolo il razionalismo ha rivalutato la luce come materia costruttiva... «Eccetto che il razionalismo non ha inteso luce e colore quali espressioni simboliche: si è trattato di uno stratagemma, non di un’ispirazione. Mentre per Sugero erano veicoli di significato teologico, autentica espressione di trascendenza. Il concetto di spazio e di luce nel razionalismo rimane invece freddo, nella sua immanenza. Perché la materia, se presa come fatto in sé, è sorda, mentre invece alla luce della visione cristiana assume un significato».
La geometria è intesa quale linguaggio della natura, ed è anche mezzo per interpretarla... «La stessa parola si riferisce al concetto di misura, che è strumento conoscitivo fondamentale. La geometria mette in relazione la natura e la mente, consentendo a quest’ultima di acquisire un concetto semplice della straordinaria complessità della prima. Come architetto rifiuto l’idea dell’imitazione della natura in quanto tale, mentre invece trovo che abbia senso seguire le leggi che dalla natura provengono: e queste sono espresse proprio nel linguaggio geometrico».
Oltre alle tante citazioni di scritti autorevoli, nel libro vi sono tante fotografie... «Le ho scattate nel corso di anni. Foto di prati, cieli, fiori, rugiada, foglie... servono per richiamare l’emozione che provoca in noi la natura. E per mostrare cose che spesso passano inosservate, perché piccole, nascoste, lontane. Sono aspetti della natura che mi hanno colpito. Li presento un po’ come una confessione. Rispecchiano stati d’animo, e sono espressioni del creato».
Sono immagini che volgono alla tenerezza, come è detto nel titolo... «Ho scelto un’espressione usata da papa Francesco: tenerezza è la chiave del rapporto tra essere umano e natura. Si riferisce a un atteggiamento che è anzitutto denso di rispetto. E che porta a sentirsi partecipi. E a prendersi cura della natura».