martedì 30 luglio 2024
Ventinove anni in due per le giapponesi che hanno vinto oro e argento nello skateboard E in gara c’era Zheng Haohao, che di anni ne ha 11: un fenomeno che fa riflettere
Skateboard femminile a Place de la Concorde

Skateboard femminile a Place de la Concorde - Reuters/Pilar Olivares

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La strada come stadio, una ringhiera come traguardo, e un muretto di cemento come asse di equilibrio. Anche mentale, anzi, soprattutto. Difficile dire se questo sia vero sport o piuttosto un modo di intendere la vita. Ma il futuro è già presente: dobbiamo abituarci. E farcene una ragione. Perché non è un film, anche se loro si chiamano Coco e Liz, nomi da cartone animato. Sono bambine con le rotelle, e le medaglie che si mettono al collo quasi sfiorano l’asfalto come le maniche di Cucciolo. Coco Yoshizawa e Liz Akama, giapponesi, 29 anni in due: domenica hanno saltato con la loro tavola sulla ringhiera di una scala, restando in equilibrio il tempo di capire che questa volta non si sarebbero sbucciate i gomiti. E atterrando senza cadere, circostanza che non capita sempre. Barbie girls: stanno contribuendo a cambiare lo sport mondiale. Probabilmente non lo sanno, e comunque se ne fregano, perché è un concetto più alto di loro. Hanno vinto la medaglia d’oro e d’argento alle Olimpiadi di Parigi nello skateboard, specialità Street. Un gioco da ragazzi, o meglio: da bambini. Un simbolo di libertà che adesso fa quasi paura. Perché in gara con loro c’era anche Zheng Haohao: cinese, 11 anni e 11 mesi, 12 li compirà il giorno della cerimonia di chiusura dell’Olimpiade. Pochi, pochissimi. Non esiste un limite minimo per partecipare ai Giochi che sia uguale per tutti: ogni federazione e ogni sport indica i suoi. E quello dello skateboard ha consentito che Zheng fosse la più giovane atleta dell’intera edizione di questi Giochi, anche se non in assoluto. Risulta che Dimitrios Loundras, ginnasta greco, nel 1896 ad Atene avesse 10 anni 218 giorni, e vinse il bronzo a squadre. Ma era un altro mondo, non c’era la sensazione forte di adesso. Quella di essere entrati in un’altra dimensione. Zheng a meno di 12 anni è già la numero 20 della classifica internazionale. E l’altro giorno ha concluso al 15esimo posto. Una settimana fa era in classe a disegnare. Scuola elementare. Il suo profilo Instagram è pieno di topolini, gattini e cuoricini. Glielo cura la mamma. Lei pensa solo alla sua tavola con le rotelle sotto. «Vado in skatebord da quando avevo 7 anni – racconta - . Qualcuno mi ha detto che lo skate era divertente, e così ho chiesto ai miei genitori che me ne comprassero uno. Quando vado sulla tavola, sento che mi sto davvero divertendo. Vorrei spaccare il mondo: partecipare alle Olimpiadi significa che più persone mi conosceranno. E a me piace fare nuove amicizie». Zheng come Coco. E come Liz. Faccine da bambole in Place de la Concorde, che nel secolo della ghigliottina era la piazza della rivoluzione e vedeva scorrere il sangue. Ora fa girare le rotelle nel tentativo di creare un universo parallelo. Urbano e molto “street” come piace dire adesso, un luogo insofferente alle regole, e amante dell’improvvisazione. Sport da strada, trasandato ma libero. Un’idea che qualcosa lascia e qualcosa si porta via. Non è solo per l’età, per quelle facce pre-brufoli, i pantaloni rimboccati, le movenze di chi è abituato ad abitare il cemento e l’aria aperta. E neppure per quello che fanno, che per qualcuno non è agonismo ma solo evoluzione, performance e ribellione. Il fatto è che Zheng, Coco e Liz sono figlie di una generazione piatta che sfreccia in equilibrio, sale e scende, si piega e non si spezza. Cadono e si rialzano, infilano le cuffie nelle orecchie, mettono a palla la colonna sonora della loro vita. Che è sempre un salto, un atterraggio, una curva su due piedi. Vanno a scuola, tornano a casa sfrecciando con un piede sopra e l’altro che mulina, si allenano, studiano i movimenti, affilano i tempi. Poi vanno ai Giochi e vincono, battendo la terza classificata, Raissa Leal, brasiliana, 16 anni, un’anziana. Sono diventate adulte, indipendenti, sembra che non abbiano bisogno di altro. Sembrano normali ma non lo sono. O forse non lo eravamo noi alla loro età, perché ci interessavano solo le figurine dei calciatori e i trucchi per gli occhi, e a fare lo sport ci portavano mamma o papà in macchina. Niente bambole qui. Presto queste Barbie girls saranno professioniste bambine, sotto contratto per milioni di dollari con le multinazionali dell'abbigliamento sportivo. Ma già oggi sono idoli globali dei teenagers. Le invitavano già prima di Parigi nei programmi tivù, figuriamoci adesso. Vantano tra 800 mila e 1,3 milioni di followers a testa sui social, con decine di milioni di visualizzazioni su YouTube, da cui scaricano i video per studiare evoluzioni e avversarie. Sognano gli skatepark di Venice Beach in California, ma con un orso di peluche in mano, come quello che Coco si è portata qui nel borsone. Era già diventata grande, ma non lo sapeva, è arrivata prima, e con un oro al collo a 14 anni ha già raggiunto il sogno più alto che uno sportivo possa immaginare. Cosa le resta ora, sarà un traguardo difficile da immaginare. Tornando indietro magari, e riavvolgendo le rotelle sotto una tavola.

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