Oney Tapia, 48enne di origine cubana in Italia dal 2002, ha vinto ieri la gara del lancio del disco F11 - Cip/Pavia
Il danzatore sui generis che incantava a Ballando con le stelle ha flirtato in modo magico con la pedana bagnata dentro la gabbia dello Stade de France, imitando il discobolo di Mirone. Un gesto armonico compiuto indossando una maschera che, oltre a coprirgli le iridi prive di vita, ha trasmesso al mondo un messaggio preciso: pace. Come le quattro lettere che Oney Tapia ha voluto scrivere sui suoi occhi, mentre lui lanciava al buio e il mondo lo osservava con gioia. Nessuno nella finale del disco F11 è stato capace di lanciare l’attrezzo da 2 chili più lontano rispetto all’azzurro, che così a 48 anni ha completato la sua collezione di medaglie marchiate con i tre agitos. Era stato argento a Rio e bronzo a Tokyo (quando fu terzo anche nel getto del peso), adesso ha scalato il gradino mancante, dimostrando come il settore dei lanci sia il piatto forte dell’atletica paralimpica tricolore e il disco sia l’oggetto preferito dai nostri. Dopo i successi di Rigivan Ganeshamoorthy nella prova riservata agli atleti seduti e l’argento di Assunta Legnante nella gara per ipovedenti, ecco la terza medaglia nel disco per i colori azzurri con Tapia che si laurea il migliore tra i non vedenti. Era il più forte, non ha tradito le attese, nonostante un temporale che ha inondato le strade di St. Denis e reso scivoloso il manto viola. Aveva il secondo personale di accredito e il miglior stagionale, quindi le attenzioni erano tutte su di lui, un gigante abituato a ballare, che non si è fatto quindi impressionare dalla pedana scivolosa. Un trionfo che certifica la grandezza del ragazzo nato a L’Avana, tesserato per le Fiamme Azzurre, per nulla sotto pressione dopo la controprestazione nella finale del peso, il cui settimo posto aveva lasciato tanto amaro in bocca. «Sono davvero contento, nella gara precedente abbiamo sofferto tantissimo e invece nella seconda finale ci siamo fatti forza e finalmente ci siamo presi la vittoria che ci mancava», racconta. Uno sportivo a tutto tondo che ama lanciare come amava coltivare i fiori e le piante nella sua precedenza vita da giardiniere: « Lo sport è questo: si cade, si piange, ci si rialza e alla fine ci si diverte. E nella finale del disco mi sono proprio divertito». Per superare la concorrenza ha messo a referto la misura di 41 metri e 92 centimetri, appena 17 centimetri in più rispetto all’iraniano Hassam Bajoulvand, argento con 41,75. bronzo allo spagnolo Alvaro del Amo Cano con 39.15. L’asiatico si era portato avanti al secondo lancio, l’azzurro ha compiuto il sorpasso al quinto tentativo. « Purtroppo con la pioggia faccio molta fatica, quindi a inizio gara ho faticato, ma grazie alle indicazioni del mio assistente in pedana ho trovato le misure giuste ed è arrivato l’oro paralimpico che era ciò che mancava nel mio palmarès. Ora la mia bacheca conta un oro, un argento e due bronzi e questo mi riempie di gioia». Ed è stato proprio col suo assistente che Tapia ha scambiato il primo abbraccio, per poi estendere le dediche nella zona intervista. «Questa vittoria è per le mie figlie che dopo la gara nel getto del peso hanno pianto e invece adesso possono gioire con me. Ma è anche un titolo per ispirare tutti i giovani, che sono fragili e si abbattono. Da risultati come questo possono imparare che nella vita tutto è possibile e sono loro i padroni del proprio destino». E poi come sua abitudine ha festeggiato cantando: questa volta, Io vagabondo dei Nomadi Ha perso la vista a 35 anni per un incidente sul lavoro. A quel punto lo sport è diventato un punto fermo della sua esistenza, svolgendo l’attività su qualsiasi campo di gara. Sembrava aver trovato la propria pace nel goalball, ma evidentemente di stare seduto per terra in attesa di parare il pallone con i sonagli non gli andava a genio, così ha scoperto l’atletica leggera, dove in poco tempo è diventato uno degli uomini da battere nel getto del peso e nel lancio del disco. Per far ciò si è lasciato ispirare dai propri avi, in quanto proveniente da una famiglia di lanciatori. « Mia madre era una tiratrice del giavellotto e mi ha trasmesso tanta forza di volontà». Così facendo ha ridato un senso alla sua vita, «imparando a dare un verso contrario alle giornate storte, cercando soluzioni ai problemi con il sorriso, esercitando la curiosità necessaria a crescere ». L’approdo nel mondo dello spettacolo e la presenza in tv nel sabato sera di Rai 1 gli ha fatto « provare delle sensazioni diverse che mi piacerebbe continuare». A ispirarlo prima della gara è la meditazione silenziosa che si conclude sempre con un sorriso: « Nello zaino come portafortuna metto le immagini delle mie tre figlie. Le medaglie vinte alle Paralimpiadi di Tokyo le avevo dedicate a mio fratello Nelson, scomparso due anni fa, queste sono per le bimbe. Ci tenevo tantissimo a questo traguardo, mi sono impegnando duramente. Ho dato il tutto per tutto, godendomi ogni lancio». Un gesto indimenticabile anche per chi non lo ha potuto vedere, ma soltanto immaginare. Che ha portato come un frutto un pezzo d’oro brillante sul petto.