Luca Signorelli, “Annunciazione”, 1491 (particolare). Volterra, Parrocchia Basilica Cattedrale presso Pinacoteca Civica di Volterra - Esposto nella mostra “Signorelli. Maestro Luca da Cortona, pittore di luce e poesia” a Cortona
Quando nel 2012 si tenne la grande mostra dedicata a Luca Signorelli fra Perugia, Città di Castello e Orvieto, feci cenno a un particolare notevole che figura nell’Annunciazione di Volterra. Era il pavimento a lastre marmoree policrome, che davano prova delle doti coloristiche del pittore cortonese, di solito ricordato per le sue figure nerborute, scultoree, quasi maninichi anatomici frutto anche della sua palestra nella bottega del Verrocchio dove, come si sa, i cadaveri da scorticare per motivi di studio erano spesso trafugati nonostante i divieti imposti dalla Chiesa alle pratiche “necrofile” e “negromantiche”. Oggi Tom Henry, eminente studioso di Signorelli e del Rinascimento italiano, che figurava già tra i curatori della mostra del 2012, ha deciso una volta per tutte di prendere il toro per le corna stilando un indice fondamentale delle opere di Luca pittore e ordinando la mostra per il quinto centenario della morte per dare prova anzitutto del talento coloristico del cortonese.
Con alcune scelte drastiche fin dall’inizio: soltanto 28 opere esposte, nessun disegno (e questo è certamente motivo di stupore se non di sconcerto, tessendo Luca uno dei grandi artefici del disegno rinascimentale, sebbene ci restino di lui meno di cinquanta fogli attribuiti), la definizione di un itinerario nei luoghi dove il pittore dallo “spirto pelegrino” (si dotò di cavalcatura muovendosi per molti anni da un posto all’altro, su strade non sempre facili e tranquille, e facendo preferibilmente ritorno a Cortona, dov’era nato, per l’esecuzione delle opere). Oggi la sua città gli rende omaggio con una mostra allestita in due gradi sale del Maec, il Museo dell’Accademia etrusca di Cortona dov’è conservata anche la bella raccolta di un altro cortonese eccellente, Gino Severini, uno dei grandi pittori novecenteschi (“Signorelli. Maestro Luca da Cortona, pittore di luce e poesia” fino all’8 ottobre).
Tom Henry ha definito dunque il piano di una mostra che aderisce alla figura di “pittore itinerante” che fu Luca da Cortona, così si preferisce chiamarlo oggi per sottolineare col nome proprio, come si fa per tutti i più grandi, la sua statura artistica straordinario. Di certo a lui guardarono Raffaello e Michelangelo, ma lo stesso Luca ebbe i rudimenti nella bottega di un altro gigante, Piero della Francesca, dove volume, sentimento plastico e colore si sposano in un nuovo e rivoluzionario linguaggio. Nel catalogo edito da Skira figura anche un saggio molto preciso e dettagliato di Claire Van Cleave sulle doti e il genio di Signorelli nel disegno. La scelta di Henry di rinunciare alle opere grafiche, mentre scrive però che «una mostra dei disegni di Signorelli sarebbe un evento di grande impatto», è dunque una decisione dolorosa ma finalizzata a mostrare la «sua maestria quale pittore», che talvolta sembra ancora restare in ombra a vantaggio della sua spiccata sensibilità per i corpi e le forme plastiche che diventano, proprio in virtù dell’elemento grafico-costruttivo, figure scultoree. Tornerò fra poco sulla decisione ad excludendum di Henry.
Va subito ricordato che la mostra ha fra i suoi pregi non da poco di riunire per la prima volta tutti i frammenti della Pala di Matelica, smembrata in varie parti per lo più disperse. L’opera rappresenta la storia della Passione e Resurrezione di Cristo. Si tratta della Pala d’altare che Luca dipinse tra il 1504 e il 1505 per l’altare maggiore di Sant’Agostino a Matelica, nelle Marche. Eseguì questa grande opera su incarico di un medico di Matelica che aveva sposato una donna di Cortona, il quale gli chiese di dipingere qualcosa di simile alla Pala terminata nel 1502 per la Chiesa di Santa Margherita a Cortona, il Compianto sul Cristo morto oggi conservato nel Museo Diocesano della città, dove sono esposte altre importanti opere di Luca che completano la mostra del Maec. Il Compianto cortonese fu definito da Vasari «cosa bellissima e di gran lode».
Luca Signorelli, “Cristo in casa di Simone il Fariseo”, 1488–1489. Dublino, National Gallery of Ireland - Esposto nella mostra “Signorelli. Maestro Luca da Cortona, pittore di luce e poesia” a Cortona
Come era solito fare, Signorelli dipinse la Pala a Cortona e poi la fece trasportare a Matelica (non è così strana questa consuetudine se si pensa che il pittore ebbe a lungo incarichi pubblici a Cortona e che le sue proprietà immobiliari e fondiarie erano consistenti: alla sua morte risultarono terreni estesi per molte decine di ettari. L’attaccamento alla sua città era senza dubbio un radicamento sia sentimentale che pratico, altrimenti non si capirebbe nemmeno questa sua natura itinerante per far fronte alle commissioni assunte, che rappresentano oggi una rete storica e geografica dove le sue opere diventano una mostra sul territorio di durata permanente). La Pala di Matelica restò a Sant’Agostino finché i frati la vendettero a un cittadino del luogo per pagarsi i lavori di ristrutturazione della chiesa. Forse fu smembrata tra fine Settecento e inizio Ottocento, certo è che oggi restano soltanto sette frammenti conosciuti, uno riapparso quattro anni fa in un’asta a Bruxelles – che raffigura la testa della Madonna prostrata a terra mentre tiene il corpo del figlio appoggiato sul proprio grembo – che è stato prontamente identificato dallo storico Andrea De Marchi, ritrovamento già presentato ai Musei Capitolini nel 2019 nella mostra Signorelli a Roma.
La ricomposizione che si può osservare in mostra a Cortona - manca il settimo frammento con la Resurrezione le cui ultime tracce rimandano a una collezione genovese , è certamente il fuoco dell’intera esposizione, “caso storico-critico” che tuttavia non sposta il baricentro della mostra dalla questione del colore posta da Henry. E qui torno sulle osservazioni dello storico già ricordate, il quale scrive: «Lo straordinario talento di Signorelli quale colorista si manifesta il quadri come il Cristo in casa di Simeone il fariseo o l’Annunciazione di Volterra, ma emerge con forza anche in dipinti molto più tardi: la Flagrellazione della Ca’ d’Oro o la Comunione degli apostoli di Cortona ». Henry non svaluta le qualità “plastiche” di Luca, che anzi ritiene un frutto della vicinanza col Verrocchio e con Francesco di Giorgio Martini, con Desiderio da Settiniano e Luca della Robbia. Ma sembra, in qualche modo, andare oltre la celebre disputa vasariana fra disegno (toscano) e colore (veneto) in una nuova sintesi che è forse da assegnare anche alle esperienze romane di Signorelli. Si deve però ricordare che a Orvieto, negli affreschi per la Cappella Nova nel Duomo, il cortonese assunse l’incarico nel 1499 di completare un’opera che era stata iniziata da Beato Angelico con «le storie della fine del mondo» popolate di «ignudi, scorti e molte belle figure, immaginandosi il terrore che sarà in quello estremo e tremendo giorno », scriverà con viva drammaticità Vasari.
Luca Signorelli, “Annunciazione”, 1491. Volterra, Parrocchia Basilica Cattedrale presso Pinacoteca Civica di Volterra - Esposto nella mostra “Signorelli. Maestro Luca da Cortona, pittore di luce e poesia” a Cortona
Come ho ricordato all’inizio, in occasione della mostra del 2012 avevo osservato che il pavimento dell’Annunciazione di Volterra sembra testimoniare una versatilità cromatica, con una libera rappresentazione della superficie marmorea policroma, che figura anche in alcuni riquadri dipinti dall’Angelico nel convento di San Marco a Firenze, una virtuosa esecuzione che, come già aveva intuito Georges Didi-Hubermann due decenni fa, celavano nell’opera di Angelico significati spirituali nascosti (una sorta di astrattismo dai valori teologici). Una lirica e misteriosa bellezza viene raggiunta anche da Signorelli nel pavimento dell’Annunciazione, come nella Comunione degli apostoli di Cortona, e così pure nella Presentazione al Tempio al Museo Diocesano con il fronte marmoreo dell’altare che sembra un tumultuoso rivolgimento cosmico (in mostra è esposta, invece, una versione che sembra attribuibile al nipote del pittore, Francesco Signorelli, di collezione privata), ma questa magmaticità allegorica del colore che imita il marmo e cela significati segreti si può forse già intuire, ancora quieta, nel pavimento della Madonna col Bambino Jacquemart-André del 1485 c.
Non voglio certamente sostenere che questi particolari in alcuni dipinti di Signorelli siano la prova schiacciante delle sue doti coloristiche, semmai sottolineo il senso profondo che si può inferire riguardo al colore in dettagli così singolari; certamente, come scrive Henry, il talento pittorico di Luca è evidente già dalla deliziosa piccola tavola di Dublino dedicata a Cristo in casa di Simeone il fariseo, sempre degli anni Ottanta del Quattrocento, come nella Madonna col Bambino anch’essa del Museo Jacquemart-André (anni Novanta), o nella tempera su tavola della Santa Maria Maddalena di Orvieto del 1504, o ancora nel tondo della Madonna col Bambino di Cortona del 1510-12, fino alla Pala della Madonna col Bambino e i Santi di Arezzo dipinta negli ultimi anni di vita. Tutto questo aggiunge eventualmente conferme a una idea “profonda” della maniera pittorica di Signorelli, a partire dalla quale occorrerà forse riconsiderare anche la funzione del colore negli affreschi che lo hanno reso celebre e hanno ispirato artisti come Raffaello e Michelangelo, forse più per le invenzioni formali che per i retropensieri allegorici o simbolici.