giovedì 12 ottobre 2023
Si tratta della plumbonacrite: la stessa miscela è stata rintracciata anche nell'"Ultima cena" e nelle opere di Rembrandt
Leonardo da Vinci, "La Gioconda", 1503. Parigi, museo del Louvre (particolare)

Leonardo da Vinci, "La Gioconda", 1503. Parigi, museo del Louvre (particolare) - WikiCommons

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La Gioconda di Leonardo da Vinci custodisce numerosi segreti, enigmi che diventano oggetto di studio per scienziati, storici dell’arte e appassionati. Un gruppo di esperti del Centro nazionale della ricerca scientifica francese (Cnrs) ha analizzato il dipinto realizzato dall'artista rinascimentale nel 1503 e conservato al museo del Louvre di Parigi. Attraverso lo European synchrotron radiation facility (Esrf), un acceleratore di particelle che permette di studiare la struttura della materia, i ricercatori hanno esaminato ai raggi X un campione microscopico dello strato preparatorio che ricopre la tavola in legno di pioppo su cui la Gioconda fu dipinta. I risultati, pubblicati sulla rivista scientifica Journal of the American Chemical Society, rivelano che la Monna Lisa ha una firma chimica distintiva: la plumbonacrite, un sottoprodotto dell’ossido di piombo. Tracce dello stesso composto, raro e stabile soltanto in un ambiente alcalino, sono state trovate anche nell’Ultima cena, realizzata tra il 1495 e il 1498 a Milano.

La scoperta confermerebbe l’ipotesi secondo cui Leonardo avrebbe utilizzato l’ossido di piombo in polvere per addensare la pittura e farla seccare. In particolare, avrebbe sciolto il composto, di colore arancione, in olio di semi di lino o di noce, per poi riscaldarlo ottenendo una miscela spessa e ad asciugatura rapida.

Leonardo «amava sperimentare e ogni suo dipinto è tecnicamente diverso dagli altri - ha spiegato all’"Associated Press" Victor Gonzalez, il principale autore dello studio e chimico del Cnrs. - In questo caso, è interessante notare l’esistenza di una specifica tecnica per lo strato di fondo». Oltre a essere un abile innovatore, l’artista fu un anticipatore: la plumbonacrite fu utilizzata nel Seicento dal pittore olandese Rembrandt e si diffuse maggiormente verso fine Ottocento.

Per comprendere e approfondire il modo in cui Leonardo impiegava la plumbonacrite, gli esperti hanno esaminato anche i suoi manoscritti, sia gli originali che le traduzioni, ma il risultato è ambiguo: «le parole usate da Leonardo sono molto diverse dalla terminologia attuale», ha spiegato Marine Cotte dell’Esrf, sottolineando che il significato dello stesso termine può cambiare a seconda dell’ambito in cui è inserito. I ricercatori, infatti, hanno trovato un riferimento a un particolare composto chimico in un testo di farmacia, ma è possibile che fosse impiegato anche per la realizzazione dei dipinti.

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