Lo scrittore islandese Jón Kalman Stefánsson - Einar Falur Ingólfsson/Iperborea
Nato a Reykjavík, ex insegnante e bibliotecario, si dedica alla poesia prima di passare alla narrativa, distinguendosi per una lingua di singolare ricchezza evocativa. Si tratta di Jón Kalman Stefánsson, che stasera alle 19.00 a BookCity, nella Sala Weil Weiss del Castello Sforzesco, presenta La tua assenza è tenebra (Iperborea, pagine 608, euro 21,50), il suo nuovo romanzo che racconta due secoli di storia islandese e il potere delle parole di dare corpo ai desideri e decidere destini, nonché di farci affrontare le acque più insidiose della vita.
Come è nata l’idea per questo libro?
Forse volevo allontanarmi da me, dalla mia vita, forse volevo scrivere un romanzo, scrivere storie di persone, avere un autore che non ricordasse una sola cosa della propria vita, e quindi i suoi ricordi non avrebbero colorato il racconto delle vite degli altri. Ho pensato spesso a questo: che è impossibile descrivere altre persone, raccontare le loro storie, senza che la mia vita interiore, i miei ricordi, non influiscano in un modo o nell’altro. Quindi credo che volessi avere un narratore che ci portasse le storie senza che lui le influenzasse; che le ricevesse pure, non adulterate attraverso la narrazione. Naturalmente non ci sono riuscito, per fortuna.
Nel libro fa riferimento al femte minismo islandese. Com’è la situazione in Islanda oggi? Ci sono leggi importanti sull’uguaglianza, ma anche molti casi di violenza domestica.
Penso che, rispetto ad altri Paesi, la situazione sia molto buona, e che sia meraviglioso vedere e sperimentare quanto le giovani donne islandesi siano determinate e forti, e che nella loro men- la parità di diritti sia l’unica cosa accettata; che sia semplicemente stupido non farlo. E sono totalmente d’accordo con loro; tutto ciò che non è parità è stupido. Tuttavia, sebbene la situazione in Islanda sia buona rispetto ad altri Paesi, non è perfetta, stiamo ancora lottando per l’uguaglianza, non abbiamo ancora raggiunto l’obiettivo. E, sì, abbiamo ancora a che fare con casi di violenza domestica, purtroppo.
Nel testo ci sono molti riferimenti culturali, per esempio alla poesia e alla musica.
Sono sempre stato certo che la grande forza risieda nella profondità della cultura, e che essa possa, debba e abbia un ruolo importante da svolgere; sia per noi come individui, sia per le società, e non da ultimo per l’umanità. La musica e la letteratura sono intrise di emozioni e di qualcosa che non comprendiamo appieno. La cultura ha così tanti livelli, che non possiamo mai comprenderla appieno. Tanto meno controllarla. L’obiettivo e lo scopo dell’artista è dire sempre la verità, anche se fa male, anche se offende, descrivendo sempre la nostra vita interiore per arricchire l’umanità.
I personaggi del libro sono uniti dalle prove e dagli errori della vita quotidiana, ma soprattutto dalla ricerca della felicità. Che cos’è la felicità?
Non c’è una risposta semplice a questa domanda, forse la felicità è poter guardare ai giorni della nostra vita ed essere soddi-sfatti, vedere che abbiamo fatto del nostro meglio per essere utili, che siamo stati una luce, un conforto e una gioia per coloro che contano per noi. Perché la felicità non è, o non dovrebbe essere, egocentrica; se coloro che amiamo non sono felici, come potremmo esserlo noi? La risposta più semplice è forse: la felicità è amare ed essere amati, queste due cose dovrebbero andare insieme.
Nel suo libro emergono due grandi temi: l’importanza delle parole e della memoria.
Senza parole siamo quasi persi. Un sorriso può dire molto, uno sguardo, un bacio e un abbraccio possono dire tutto. Ma abbiamo bisogno delle parole per poter tramandare le nostre esperienze, abbiamo bisogno delle parole per catturare il sorriso, lo sguardo, l’abbraccio, in modo che chi verrà dopo di noi possa leggerlo e – se riusciamo a descriverlo bene – viverlo. Le parole possono essere uno strumento meraviglioso per aiutarci a ricordare e a conservare le cose che sono accadute, in modo che possano, in un certo senso, accadere di nuovo.
Che rapporto ha con la spiritualità e la fede?
La fede può essere, ed è sempre stata nella storia dell’umanità, sia una beatitudine, una cosa meravigliosa, sia un terrore. Alcune delle cose più indicibili e orribili sono state fatte in nome di una fede, di una religione. Ma non si può capire la storia dell’umanità senza passare attraverso la storia della fede e della religione, e testi come la Bibbia sono fondamenti della nostra cultura. La fede stessa può essere una cosa meravigliosa, può evocare cose belle dentro di noi, aiutarci a fare i conti con la vita e con noi stessi, può confortarci. Ma, d’altra parte, può anche renderci crudeli.
Uno dei capitoli del libro è intitolato “Ciò che non capiamo rende il mondo più ampio”. La ricerca di ciò che non capiamo è la vera spinta della vita?
Una persona che sostiene di capire il mondo, la vita, può essere pericolosa, perché può finire per essere un fanatico o una specie di mostro politico che impone la sua “comprensione” o le sue opinioni agli altri. Ci sono innumerevoli esempi di questo tipo nella nostra storia; e sono ancora intorno a noi. Coloro che sanno e confessano volentieri di non capire, ma hanno una mente aperta e in cerca, sono proprio le persone di cui possiamo fidarci; coloro che hanno maggiori probabilità di trovare qualcosa di importante per la vita, per il genere umano, e che possono aiutarci ad andare verso un futuro migliore.