Atleti in divisa. Carabinieri, poliziotti, finanzieri, avieri, marinai, solo per citarne alcuni. Nello sport italiano di alto livello la presenza dei corpi armati e delle forze di polizia è massiccia in numerose discipline, tant’è che, analizzando i numeri delle ultime spedizioni olimpiche, gruppi sportivi militari e corpi dello Stato coprono buona parte del contingente azzurro. Ai recenti Giochi estivi di Rio su 314 atleti italiani partecipanti ben 197 erano militari, vale a dire il 63%. Il gruppo più rappresentato era quello delle Fiamme Gialle con 46 atleti, seguito da Fiamme Oro (38), Esercito (29), Aeronautica (23), Fiamme Azzurre (19), Forestale (18), Carabinieri (15) e Marina (9). Estendendo l’analisi anche agli ultimi Giochi invernali di Sochi 2014, la percentuale sale all’86%: in Russia gareggiarono 97 atleti militari su 113 azzurri complessivi. Ovvio quindi che il contributo di questi gruppi sportivi al medagliere azzurro sia notevole. A Rio dei 28 podi italiani (8 ori, 12 argenti e 8 bronzi) ben 27 sono stati calpestati dai militari. Discorso analogo per Sochi, dove gli atleti in divisa si sono messi al collo dieci delle undici medaglie tricolori. Lo sport militare è quindi alla base dei successi a cinque cerchi italiani. D’altronde basta riascoltare le dichiarazioni dei medagliati nelle discipline solitamente etichettate come “minori” - quelle che balzano alle cronache una volta ogni quattro anni - per comprendere come senza il sostegno del gruppo sportivo sia impossibile fare a tempo pieno la vita da atleta.
Eppure sull’utilità dell’impegno militare in campo sportivo ci si continua a interrogare, specie in occasione delle controprestazioni, quando qualche addetto ai lavori solleva il fatidico quesito: «È giusto continuare a pagare lo stipendio a un atleta che non migliora più il proprio personale?». Lo stereotipo della divisa come posto fisso, retribuzione garantita e assenza di stimoli è in voga, ma all’interno dei gruppi sportivi militari la mentalità sta cambiando. Più qualità meno quantità: può essere questo lo slogan per il rilancio. «Se fino a 10-15 anni fa l’arruolamento era visto anche in funzione della retribuzione sicura, ora la permanenza in squadra è principalmente legata ai risultati», spiega il colonnello Vincenzo Parrinello, responsabile delle Fiamme Gialle, il gruppo sportivo della Guardia di Finanza che sia a Rio sia a Sochi ha espresso la maggioranza relativa degli atleti militari, posizionandosi in vetta al medagliere dei gruppi sportivi in entrambe le circostanze. Ampliare l’offerta, mantenendo inalterato l’impegno nell’alto livello. Per farlo occorre muovere dalla cura del vivaio. «Ogni anno entriamo nelle scuole - continua Parrinello - per coinvolgere ragazzi tra i 12 e i 18 anni in atletica, canottaggio e canoa. Così facendo abbiamo individuato sui banchi ragazzi capaci di vincere una medaglia olimpica». Nell’elenco si possono annoverare, tra gli altri, i canottieri Alessio Sartori (oro a Sydney, argento a Londra, bronzo ad Atene) e Matteo Lodo, bronzo a Rio e oro il mese scorso ai Mondiali di Sarasota. «Ad ottobre i nostri tecnici spiegano in aula i diver- si sport. Durante l’anno ci sono competizioni tra istituti e dopo la festa finale selezioniamo una settantina di ragazzi per un campus estivo. A settembre tesseriamo i più bravi introducendoli nel nostro vivaio».
Tesseramento non significa ovviamente arruolamento, perché i ragazzi continuano a essere studenti. Dopo il diploma e il superamento del concorso può cominciare la carriera nell’alto livello. «Oggi i club militari stanno puntando sugli atleti di prima schiera. Più che avere una squadra completa e coprire tutte le specialità, si preferisce concentrarsi sui più forti. Per esempio nell’atletica leggera dodici anni fa gli atleti militari erano 443, adesso sono poco meno di 200», osserva Parrinello che è anche vicepresidente della Fidal. Se il numero dei militari è rimasto costante, a cambiare è stato il mix tra le discipline: «Nelle Fiamme Gialle dodici anni fa non avevamo specialisti del beach volley, oggi ne abbiamo sei, così come il numero dei nuotatori è aumentato di una ventina. Mettendo insieme tutti i gruppi sportivi militari si raggiunge più o meno quota 1200 atleti. I militari danno un supporto fondamentale al sistema Paese, se tale apporto dovesse venir meno ci sarebbero contraccolpi notevoli», confida Parrinello, introducendo il discorso sui criteri di conferma. «Abbiamo la responsabilità di gestire risorse pubbliche, pertanto richiediamo agli atleti risultati minimi come il piazzamento in competizioni internazionali o il posizionamento nei ranking. I criteri sono discrezionali e sul posizionamento dell’asticella si può discutere, ma l’attenzione sul merito c’è comunque». Si può però fare di più, magari specializzandosi per discipline. «In passato chiosa Parrinello - ci furono proposte per suddividere i vari sport tra i gruppi sportivi militari, ma il progetto andò in porto solo parzialmente».
I club in divisa hanno sempre assicurato tante medaglie all'Italia, ma contro la tentazione del posto fisso adesso puntano sulla qualità più che sulla quantità
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