lunedì 2 febbraio 2015
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​Il sismografo lessicale e semantico della politologia è in fibrillazione. Destra/sinistra, post-sinistra, iperdemocrazia, post-democrazia, democrazia ibrida, populismo, antipolitica, impoliticità sono alcune delle categorie che rimettono in discussione il pensiero politico sul duplice versante ideologico-filosofico ed empirico-sociologico. La globalizzazione ha fatto cadere lo spazio pubblico e ha messo in crisi la politica  tradizionale con i propri soggetti, valori, forme, princìpi costitutivi. Come dimostra Francesco Giacomantonio nel suo acuto e ben documentato lavoro Sociologia dell’agire politico. Bauman, Habermas, Žižek  (Studium, pagine 122, euro 10,00), i processi di globalizzazione hanno indebolito le relazioni tra i cittadini, da una parte, e le istituzioni e i partiti, dall’altra, questo perché «i primi hanno dovuto prendere atto che i secondi non sono in grado di rispondere alle domande sociali: il grado di legittimazione delle istituzioni pubbliche è stato ulteriormente abbassato dal ruolo crescente che attori non istituzionalizzati sono venuti ad assumere nel contesto della globalizzazione. La crisi di legittimità, del welfare, l’affermazione dell’individualismo e il declino delle ideologie hanno determinato, nel corso dei decenni, la crescita dei movimenti sociali a scapito dei partiti, poiché la progressiva rilevanza che i primi assumono è connessa alle difficoltà che i secondi via via attraversano, in seguito alla decadenza ideologica e alla mancanza di fiducia nei contesti istituzionali e organizzativi della politica».
Comprendere l’agire politico oggi più che mai è complesso, perché è una delle forme dell’agire sociale non riducibile né alla pura logica della razionalità né alla mera passionalità e irrazionalità emotiva. Giacomantonio delinea una sociologia dell’agire politico, utilizzando il contributo di tre grandi sociologi e pensatori contemporanei: Bauman, Habermas, Žižek.Malgrado la libertà individuale sia aumentata, paradossalmente è aumentata anche l’insicurezza collettiva come mancanza di tre forme di sicurezza: quella esistenziale, quella della certezza, quella personale. Nella società liquida il cittadino globale, ha dimostrato Bauman, vive sia una condizione diffusa di solitudine e di «sfiducia tormentosa», sia «la consapevolezza dell’incontrollabilità delle scelte e la correlata tendenza a sfuggire le responsabilità, sia una forte difficoltà nella costruzione dell’identità personale a causa delle molteplicità dei ruoli che gli individui sono costretti a svolgere nella società contemporanea».Una corretta impostazione dell’agire politico, per Habermas, richiede simultaneamente inclusione, confronto, dialettica. In tale prospettiva viene restituito «un contegno intellettuale» alla politica e all’agire politico. Quello di Habermas si può configurare come un «illuminismo politologico, in cui il ruolo chiave è giocato dall’elemento della comunicazione e da quello del diritto».
Žižek recupera alcune categorie della psicoanalisi e del marxismo e propone una lettura della società contemporanea, in cui si diagnostica l’insostenibilità del sistema capitalistico e la necessità di ripensare orizzonti ideali e politici alternativi. La “fine dell’ideologia” ha determinato la depoliticizzazione della sfera economica, che viene accettata come uno stato oggettivo e immodificabile delle cose. La necessità di un pensiero alternativo è un attacco alla paralisi politica, irretita nelle logiche di potere, e restituisce un’idea di agire politico «coraggioso, propositivo, attivamente attento e aperto al confronto e alla discussione, che la fase storica attuale sembra, da tempo, aver generalmente rimosso».Tutte queste problematiche sono state accompagnate a partire dal 2008 dalla profonda crisi finanziaria che il mondo sta ancora attraversando. Essa è «la spia di una nuova dimensione politico-sociale-esistenziale, in cui la centralità dell’elemento economico travalica definitivamente i confini del politico, del culturale, dell’estetica, del sociale e rende difficilissimo pensare al di là della produzione, dell’apparenza, della libertà assoluta. È come se elementi di totalitarismo e liberismo si fossero paradossalmente fusi e sperimentassimo in molti ambiti delle società avanzate una sorta di spettro inquietante, il “totaliberismo”. Non si tratta solo del fatto che l’economia sia divenuta potenzialmente “totalitaria”, ma che sia divenuta “totalitaria” una certa idea di libertà, non autenticamente umana, la libertà senza autonomia».
Una libertà senza autonomia è una libertà puramente economica, che determina una società non tanto di cittadini, quanto di semplici consumatori. Sempre più i cittadini diventano clienti. Sono stati demoliti molti impedimenti sostanziali che ostacolavano le scelte umane.  Gli uomini sono sempre più svincolati da legami familiari, religiosi, politici, territoriali. Eppure tutte queste libertà non determinano necessariamente autonomia, ovvero capacità di aver cura e buon governo di sé e di autodeterminarsi in conformità di una “legislazione universale” (Kant). Sono le scelte che ci determinano e ci inseriscono in percorsi che ci danno identità ma non soggettività, che comporta autodeterminazione e quindi responsabilità.Economia e libertà si trovano ora in un rapporto ambiguo. Il totaliberismo è «il loro frutto velenoso». Dalla sua infezione, ci suggerisce Giacomantonio, non si guarisce rinnegando libertà e capitalismo o rimpiangendo il vetero-marxismo. «Certamente un buon punto di partenza potrebbe consistere nello svincolarsi dall’egocentrismo e dall’utilitarismo, il che significa imparare a essere migliori più che ad avere il meglio».Per un’autentica cultura politica, indispensabile per l’agire politico, oltre al recupero della responsabilità morale, è fondamentale la categoria dell’immaginazione sociale e politica (C. Wright Mills). Una buona immaginazione permette agli uomini di progettare e modificare positivamente la realtà.
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