giovedì 24 novembre 2016
Da alcuni considerato il «Virgilio dantesco» perché appassionato commentatore della Divina Commedia e protagonista negli anni di centinaia di letture pubbliche del capolavoro dantesco.
Addio a Vittorio Sermonti, la voce dei classici
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La voce profonda di Vittorio Sermonti risuonava per le navate di Santa Maria delle Grazie a Milano e arrivava anche oltre, grazie agli altoparlanti sul sagrato antistante, dove nelle sere di settembre, dal 2001 al 2004, si affollavano gli spettatori per sentirlo leggere Dante. Il suo commento, quasi una riscrittura, alle tre cantiche della Commedia dapprima trasmesso alla radio e poi pubblicato da Rizzoli, era pieno del suo amore per il padre della nostra letteratura, faceva rivivere il poeta di Firenze in tutte le sue sfumature. Anche con ironia. Sempre con grande passione.

Sermonti si è spento la sera di mercoledì 23 novembre a Roma. Aveva da poco annunciato su Facebook e Twitter che si sarebbe preso «qualche giorno di riposo», invitando gli amici a «fargli compagnia» con i loro commenti. Si era adeguato in anni recenti, con un certo divertimento, all’uso dei social network. Il suo è il riposo di una vita dedicata alla letteratura, alla poesia (Ho bevuto e visto il ragno. Cento pezzi facili, Il Saggiatore 1999), alla narrativa, con romanzi e racconti eleganti e suggestivi, tra cui sono da ricordare Il tempo tra cane e lupo(Bompiani 1980 e poi Rizzoli 1989), e il finalista al Premio Strega di quest’anno Se avessero (Garzanti 2016), una prova narrativa di grande intensità, che rielabora molti ricordi personali, dall’infanzia all’età matura, intorno a un episodio mai chiarito del secondo dopoguerra.

Soprattutto, Sermonti ha dato nuova voce ai grandi classici, di cui si era fatto interprete con tutto se stesso, anche con la sua presenza scenica e la sua bellissima voce: seguitissime e ormai celebri le letture dantesche nella basilica di San Francesco a Ravenna, poi ai Mercati Traianei e al Pantheon a Roma, al Cenacolo di Santa Croce a Firenze, e appunto a Milano a Santa Maria delle Grazie. Aveva messo al servizio dei classici la sua grande esperienza di uomo di teatro: era stato docente di tecnica del verso teatrale all’Accademia Nazionale di Arte Drammatica, direttore del centro studi del Teatro Stabile di Torino, e regista radiofonico a Radio Rai, un’esperienza questa lunga più di vent’anni, che gli aveva permesso di dirigere grandi attori, tra cui Vittorio Gassman, e di fare alcune celebri "interviste impossibili" a personaggi della storia.



Dopo Dante, il suo primo amore, la sua attenzione si era spostata su Virgilio, del resto scelto dallo stesso autore della Commedia come sua guida, a cui aveva dedicato una nuova traduzione dell’Eneide (Rizzoli 2007), e poi sulle Metamorfosi di Ovidio (Rizzoli 2014), un altro grande poeta amato dallo stesso Dante e spesso rievocato nel poema sacro, dedicando anche a queste traduzioni nuovi cicli di letture. Ma prima ancora, aveva ripensato in termini narrativi i melodrammi di Giuseppe Verdi nel volume Sempreverdi nel 2002.

Di Dante, come degli altri classici, sapeva mettere in luce la natura profonda, in cui splende una vocazione narrativa che anticipa la scrittura moderna. Trasmetteva con la lettura quanto fossero centrali nella sua opera i personaggi, per la sua capacità unica di esprimere in poesia concetti propri della filosofia e della scienza, attraverso la creazione di figure statuarie, eppure autentiche, scolpite nella storia prima che nei suoi versi. E, poi, fatto non meno importante, aveva saputo mettere in luce come l’eternità dei personaggi danteschi nasca da una vicinanza d’anima con l’umanità dei giorni nostri.

L’amore per Dante gli era stato probabilmente instillato per la prima volta da Natalino Sapegno, uno dei più memorabili commentatori della Divina Commedia, che era stato suo relatore di laurea all’Università di Roma; e poi era stato rafforzato da intellettuali come i filologi Gianfranco Contini e Cesare Segre, che hanno fatto da supervisori rispettivamente ai suoi commenti all’Inferno e al Purgatorio (Rizzoli 1988 e 1990) e al Paradiso di Dante (Rizzoli 1993).



Comunque Sermonti era nato in una famiglia in cui si respirava cultura, ed era stato fin dalla giovinezza a contatto con notevoli personalità letterarie e teatrali, tra cui Luigi Pirandello. Il suo interesse per la letteratura si era concretizzato presto: il celebre storico dell’arte Roberto Longhi lo aveva scelto per la redazione della celebre rivista «Paragone» già nel 1954, prima ancora che si laureasse, dando vita a una duratura collaborazione.

L’incontro con Contini era stato poi decisivo per la sua scelta di dedicare a Dante un ciclo di trasmissioni radiofoniche, per la prima volta trasmesse a Radio Rai 3 dal 1987 al 1992. In un’intervista per “Avvenire” del 2001, che anticipava il primo ciclo delle sue letture dantesche a Santa Maria delle Grazie, mi raccontò come Contini al loro primo incontro lo avesse messo alla prova sedendosi davanti a lui e dicendogli semplicemente: «Mi foni». Contini, come Sermonti, era ben consapevole di quanto fosse importante la voce umana come canale privilegiato per trasmettere la letteratura, e specialmente la poesia.

Sermonti sposò in seconde nozze, nel 1992, la poetessa e drammaturga Ludovica Ripa di Meana, con cui aveva intrecciato negli ultimi decenni della sua vita un sodalizio affettivo e professionale insieme: lei stessa ha curato fra il 2009 e il 2012 la regia della versione definitiva di tutte le sue letture dantesche, virgiliane e ovidiane. Con lei accanto, la sua attività di lettore aveva spiccato il volo.

Quando muore un personaggio che ha lasciato il segno, si ricordano i suoi successi professionali, la sua immagine pubblica. Di Vittorio Sermonti, oltre allo smalto brillante di scrittore e interprete dei classici, è bello riscoprire il lato burlone: gli piaceva fare garbate battute, sciogliendo tensioni, scherzando con leggerezza anche sugli argomenti più tragici, persino sulla morte. I familiari e gli amici sentiranno la mancanza anche di questo suo lato giocoso, che lo ha accompagnato fino alla fine; come a tutti mancherà la sua testimonianza intelligente e singolare di un’età di giganti della nostra letteratura.

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