undefined - undefined
Un eccessivo ampliamento del perimetro dell’illusione legata al pallone. È quello che sta succedendo nelle scuole calcio italiane per motivi di business sempre più spinto. La dinamica è semplice. I grandi club stanno allargando il numero delle società affiliate per motivi ovviamente relativi all’aumento dei ricavi. Ogni ingresso nella propria rete di squadre satellite vale 15mila euro per la fornitura di materiale tecnico: magliette, tute, borse. I bambini, anche se giocano in una formazione di quartiere di una città di provincia, girano con i colori della grande squadra di Serie A. Questo aumenta chiaramente il livello di esaltazione di tutti: giovani calciatori e relativi genitori. E ovviamente fa impennare la retta di iscrizione. Perché è vero che giocare a calcio costa sempre di più, ma questo discorso vale soprattutto per le scuole calcio. La società dell’oratorio ha ancora prezzi abbordabili anche nelle grandi città, anche al di sotto dei 200 euro all’anno in caso di rinnovo del tesseramento (qualcosa in più per chi è al primo anno e quindi deve comprare anche borsone e kit). Le tariffe sono fuori controllo quando si passa alle scuole calcio dotate di un certo nome e soprattutto affiliate al grande club professionistico: in questo caso è facile viaggiare intorno ai 400-500 euro all'anno. Qui si mette in moto un meccanismo molto sofisticato. La scuola calcio ha centinaia di bambini: si parte dai 6-7 anni. È evidente che un grande club non li può monitorare tutti anche perché ha anche le squadre del suo vivaio dove giocano gli elementi effettivamente più promettenti.
Però, per dare l’illusione che sono tutti nei radar del calcio d'èlite, vengono organizzate settimane oppure giornate di allenamento presso i centri sportivi del grande club. In questo modo anche chi è tesserato nel circuito delle società satellite ha la sensazione per un breve periodo di essere al centro del sistema solare. Questo tiene in piedi l’intera rete che garantisce un giro di affari sempre più ampio perché prevede anche tornei molto frequenti, al di là dei campionati, con biglietti di ingresso per gli spettatori fino a 10 euro (i genitori pagano meno). Per reclutare sempre nuovi iscritti queste scuole calcio mandano in giro osservatori sui campi degli oratori avvicinando i genitori dei bambini più dinamici per convincerli a tesserarsi nella stagione successiva. È una forma di scouting non proprio lineare. Il settore giovanile del grande club di Serie A o B ti avvicina per portarti al suo interno, ma lo fa gratuitamente perché davvero in questo caso c’è la scommessa sul talento a lunga scadenza. E già in questo caso si parla di una possibilità su mille. L’osservatore della scuola calcio ti contatta, ma il passaggio successivo costa centinaia di euro. Con l’arma di persuasione rappresentata dall’affiliazione al grande club. Queste politiche di affiliazione sul territorio, però, sono gestite dagli uffici commerciali delle società di Serie A non dall’area scouting. Questa è la dimostrazione evidente che si tratta di una strategia economica più che sportiva.
Con un corollario: per giustificare le alte rette di iscrizione l’attività è molto intensa. I bambini, anche a 7-8 anni, si allenano almeno tre volte alla settimana e giocano anche due partite il sabato e la domenica. Significa essere occupati cinque giorni su sette. Il rischio è che questi giovani calciatori arrivino a 13-14 anni già usurati, come se avessero alle spalle una mini-carriera da semi-professionisti, non un’attività divertente insieme ai coetanei. In realtà questo aspetto viene considerato positivo anche da chi critica il sistema per i suoi risvolti affaristici perché i bambini e gli adolescenti italiani risultano tra i più sedentari d’Europa. Quindi ben vengano programmi sportivi fitti. Preoccupa di più l’approccio fin troppo fanatico di molti allenatori di queste scuole calcio che scimmiottano troppo i grandi tecnici delle prime squadre. Un altro elemento che finisce per generare illusioni diffuse alimentando un clima troppo professionale in una fase della vita nella quale la pratica sportiva dovrebbe servire soprattutto a divertirsi e stare insieme. Un complesso di circostanza che finisce per creare una valutazione distorta del talento dei figli da parte dei genitori. Fino al punto di lasciarsi convincere a spendere centinaia di euro ascoltando le proposte di osservatori che in realtà operano come rappresentanti di un’azienda.