La formazione del Genoa al tempo del contestato scudetto del 1914-’15
Sospensione ab libitum per ragion di Stato, anacronistica anomalia all’italiana: scudetto a tavolino per il Genoa nell’unico torneo mai concluso nella storia del calcio. I fatti risalgono al 23 maggio 1915, l’ingresso nella Grande Guerra, la chiamata in trincea a 90 minuti dal termine parziale, coi rossoblù capoclassifica (girone Nord) insieme a Lazio (Centro) e l’estinto Internazionale Napoli (Sud). Ultimati i raggruppamenti nelle tre fasi eliminatorie, il regolamento prevedeva poi semifinali e doppia finale nazionale. Ma a differenza di podismo, ciclismo e ippica, l’idea di riprenderlo silenziate sul fronte armi e cannoni spinse al blocco la Figc presieduta dall’aristocratico Carlo Montù, consegnando agli storici l’onore della prova per l’assegnazione del podio più ambito. Non solo, perché l’enigma sta pure nel momento del conferimento postumo: la prima versione rimanda al 1919 l’iscrizione del tricolore all’Albo, quando un giovane Vittorio Pozzo (epurato trainer del Torino) s’oppose al Settimo Sigillo grifone: «Se noi avessimo battuto il Genoa anche nella partita di ritorno - puntando sul mancato scontro diretto, ricorderà l’iridato allenatore dei Mondiali ’34 e ’38 - il Torino sarebbe passato in testa e il campionato sarebbe stato nostro». La seconda tesi, suffragata da onorificenze e festeggiamenti, rinvia invece al 1921 l’ascrizione per tabulas genoana. Però ancora tra le proteste, perché negli archivi di Via Allegri non c’è traccia della delibera federale e la storia della Lazio, adesso, rivendica equità nel verdetto. Più che ingiusto, arbitrario.
Oltre la cabala nel pronostico delle gare mancanti (se nella rivendicazione del girone campano l’Internazionale è senza legittimi eredi, al Centro la Lazio era sicura del primo posto in classifica mentre nel rush finale del girone Nord sia Torino che Inter potevano riagganciare in testa il Genoa, differendo l’esito in un probabilistico spareggio a tre), l’inedito vizio è un clamoroso conflitto d’interessi sulla coscienza del club tra i pionieri d’Italia, indiscutibilmente il più forte sul campo, ma non senza peccati né macchia. Nella stagione 1921/22, quando si ritiene finì d’ufficio lo scudetto al Genoa, il calcio italiano era infatti nel mezzo del più grosso scisma della sua storia, culminato nella scissione tra la Figc di Luigi Bozino e la Confederazione calcistica italiana (Cci).
I riformisti dell’ala oltranzista (con loro i transfughi di Pro Vercelli, Juventus, Torino, Casale, Genoa, Milan, Inter e Lazio: seppur delegittimati dalla Fifa, organizzarono un campionato scissionista) erano guidati da Edoardo “Dadin” Pasteur, figura di livello tra i proto-pionieri del calcio, nel 1898 tra i padri costituenti dell’originaria Federazione Italiana Football, ma soprattutto socio, direttore, segretario e per molti anni pure presidente del Genoa di Ponte Carrega. La faziosa lotta Figc-Cci montò in un’aspra battaglia condotta a suon di mozioni e regolamenti rivoluzionari, pensati per stravolgere la formulazione del torneo, con l’obiettivo di renderlo più godibile e praticabile ai maggiori club (si pensava a 24 squadre invece di 50 o 72): già il 20 novembre del 1921 nella sede de La Gazzetta della Sport di Emilio Colombo (sua una commissione paritetica di conciliazione) e poi il 7 dicembre 1921 a Brusnengo nella villa di Enrico Olivetti (capo fila Figc per la Lega Nord), si raggiunse un’intesa tra i due gruppi, culminata il 26 Giugno 1922 nel cosiddetto Compromesso Colombo (dal nome di Emilio, giornalista e arbitro della contesa), in cui la linea dura dei separatisti Cci prevalse sui conservatori Figc: ritrovata l’unità, rientrò l’emorragia dei fuoriusciti. Ebbene, stando proprio alla ricostruzione della Fondazione Genoa 1893 (ente di memoria storica rossoblù), proprio alla fine del 1921, cioè nel mezzo dell’arbitrato, la Figc di Bozino consegnò al Genoa il titolo di Prima Categoria 1914/15, festeggiato nel Restaurant Francia la sera dell’11 dicembre 1921. La cosa, per quanto finora sottaciuta, avvenne in parallelo all’accordo di Brusnengo, raggiunta la riconciliazione tra l’ala di Bozino (Figc) e gli innovatori di Pasteur (Cci). Da qui la domanda nel sospetto se non sia riduttivo, come perseverano gli statistici, limitarsi ad investigare solo sulla probabilità nell’intreccio dei mancati risultati in campo, sviando l’atipica coincidenza “scissione/scudetto”, forse il cuore dell’accordo per lo scudetto: si nasconde qui il segreto di un tacito do ut des escogitato dai vertici federali per addolcire i ribelli?
Non stupisca la tesi del complotto: al campionato del 1915 ambiva talmente il creativo imprenditore George Davidson (presidente dei grifoni, ma pure della Federazione Ciclistica) che le provò davvero tutte pur di primeggiare. Processato per lesa sportività, quel Genoa rischiò la radiazione aggirato il regolamento negli scandali per la compravendita al mercato nero. Strappò al Milan il “figlio di Dio” Renzo De Vecchi per la cifra record di 24mila lire e, staccati in gran segreto due assegni da 1.600 lire ciascuno, prelevò dall’Andrea Doria Santamaria e Sardi, rescissa la clausola tra dilettanti. Sull’onda di un’iniziativa dei tifosi laziali, nel Centenario della Grande Guerra la Figc ha così riaperto il caso, come la Germania nel 2007 ( Viktoria Berlino-Hanau, rivista 113 anni dopo). Una commissione di cinque saggi nominata dall’ex presidente Tavecchio, nel 2016 ha riesaminato la rivendicazione: «L’unica soluzione per rimediare alle evidenti omissioni commesse dalla Federazione nell’assegnazione del titolo di campione d’Italia 1915 al Genoa rimane quella di attribuire ex aequo alla Lazio il medesimo titolo per quell’anno. Pertanto al momento della sospensione del campionato la Lazio si trovava in una posizione addirittura migliore del Genoa». Silente il Consiglio Federale, da oltre un secolo la vicenda resta però insoluta. Bacheche alla mano, i laziali perseverano nel reclamo e i genoani pare acconsentano puntando al baratto nel revisionismo di un altro scudetto scomodo: Stella sul petto, passeranno all’incasso dopo lo scippo bolognese del 1925. Un altro buco nero. Ci penserà Gravina a rimettere le cose in ordine?