Friedrich Schleiermacher - archivio
Educato grazie al padre pastore della Chiesa riformata in una comunità pietistica herrnhuteriana, Friedrich Schleiermacher (1768-1834) presto diverrà anch’egli pastore e predicatore, poi professore di filosofia, teologia ed ermeneutica nelle università di Halle prima e infine di Berlino, di cui sarà rettore. Primo traduttore in lingua tedesca dell’intero corpus dei dialoghi di Platone, divenne presto notissimo per due opere emblematiche nella cerchia romantica, di cui egli stesso fece parte: i discorsi Sulla religione e i Monologhi, usciti nel 1799 e nel 1800 rispettivamente. Entrambi vengono riproposti in una nuova edizione italiana, con testo originale tedesco a fronte, assieme ad altri due significativi scritti, Il valore della vita e La festa di Natale, per la collana 'Il Pensiero occidentale' di Bompiani curata da Davide Bondì: Scritti di filosofia e religione 1792-1806 (pagine 768, euro 35). All’origine dell’ermeneutica filosofica contemporanea e della più aperta filosofia della religione, il pensiero di Schleiermacher è oggi attualissimo per affrontare i problemi del pluralismo veritativo e religioso, dell’insufficienza del razionalismo metafisico hegeliano e dei suoi epigoni ideologici e totalitari, della violenza professata e praticata dai settarismi pseudoreligiosi, fanatici, idolatrici. Le riflessioni di Schleiermacher sulla religione (trasmesse con entusiasmo e vivacità in forma di dialogo interiore, quasi un flusso di coscienza devota, o di dialogo interrogativo con i lettori, o infine di vero e proprio dialogo inscenato fra più personaggi, sentimenti, voci, comprese quelle infantili in occasione della festa di Natale) contribuirono in maniera decisiva nella fecondissima svolta fra secolo XVIII e XIX a rimettere al centro dell’umanità il sentire religioso, liberandolo dalle critiche illuministiche e dai formalismi kantiani, dalle riduzioni etiche o metafisiche. Per Schleiermacher la religione è «intuizione», «sentimento e gusto per l’infinito», colto nell’universo intero: sia nella nostra intimità dell’anima, ma anche in ogni singola cosa finita, compresa nel suo essere ritagliata da un infinito inesauribile. Ogni diversità e individualità non è che finito simbolo dell’infinito, sua vivente incarnazione e sentimentale ricerca e intuizione. È un 'realismo superiore' quello di Schleiermacher, che non ferma lo sguardo al finito, pur riconoscendone la sua imprescindibilità e validità, bensì lo intuisce sentimentalmente, non intellettualmente, come trasparente l’infinito. Il punto di vista finito, umano, l’orizzonte del singolo uomo interpretante, non può essere del tutto abbandonato, è la base di lancio per uno slancio verso l’infinito, il quale quindi comprende, contempla ed esige molteplici punti di vista, variegate proprie interpretazioni, svariate visioni, anche e soprattutto religiose. Certo, una soltanto è «l’eterna e infinita religione » dell’umanità, la quale tuttavia si presenta nel finito in diverse forme, nelle tante «religioni positive», auspicabilmente unite e in dialogo verso la comune e suprema unità, l’infinito. Non che ciascuna religione sia solo una limitata parte dell’infinito, lo è tutto, ma nel suo indipendente punto di visione, di sentimento, di intuizione, valido e prezioso parimenti a ogni altro punto di vista di tutte le altre autentiche religioni positive, se consapevoli della propria finitezza, trasparente l’infinito. L’intuizione e il sentimento dell’infinito non è una questione quantitativa, di chi ne abbia di più o di meno, bensì di qualità. Chi pretende di avere più quantità e possesso che non altri di ciò ch’è intuito nella religione, dell’infinito, invero s’illude e con settarismo separa violentemente da esso la propria superstiziosità: base di ogni egoismo, uniformazione, violenza, idolatria. Per Schleiermacher, invece, «già ora» è possibile attingere l’infinito accessibile attraverso l’immediatezza del sentimento religioso, fonte di amore fraterno e familiare, comunitario ed ecclesiale proprio a un’epoca da venire, libera e felice: attraverso un attingere nel profondo di se stessi la comune umanità, in raccoglimento interiore, ridiventando bambini, la cui innocente fiducia e vitalità gli Evangelisti narrarono dando rilievo all’infanzia di Gesù, la cui verità e via il Cristo stesso esaltò al di sopra di ogni altra terrena virtù come divina, celestiale.