Un ricordo della prima Comunione, collage di pasta d’ostia, Francia
I santini? Una storia che può riguardare credenti e non, fede e antropologia, catechesi e propaganda, religiosità popolare e appartenenza geografica…, la devozione o il culto come l’iconografia o la stampa. In ogni caso tutt’altro che pezzi di carta – o di pergamena se antichi – i santini, nel tempo, hanno sostenuto e continuano a farlo, immaginazione e sentimenti, diventando per qualcuno sostegno nelle prove della vita, per altri passione da collezionista, o magari le due cose. Senza dimenticare che, dimensioni ultramondane a parte, queste immagini rispondono agli imperativi tuttora vigenti del “qui e ora”. Stando un po’ sgualcite nel portafoglio come una volta nelle bisacce dei pellegrini… Ma pure all’ingresso di chiese e santuari o dimenticate nei comodini. Carte d’identità visibili di persone non più visibili. Ed ecco che vi è chi continua a baciarle, a toccarle, confidando in poteri miracolosi. E chi fatica a liberarsene: se necessario – ammonivano gli avi – bruciandole, mai stracciandole e buttandole.
Ora questo universo di volti da guardare e dai quali sentirsi guardati, è il tema del volume Santi e santini curato da Ino Cardinale (primo di tre annunciati, pubblicato dall’associazione culturale di cui è presidente "Così, per... passione!"), che ha saputo valorizzare una mostra tenutasi a Terrasini due anni fa su cinque secoli di “santuzzi” e “santine” (come li si chiama in Sicilia).
Una parte di quella rassegna – inventario di un patrimonio dilatatosi dal ’500 a oggi, con raffigurazioni su pergamena e poi su carta o stoffe con ogni tecnica (xilografia, calcografia, litografia, incisione, merletti…), con schiere di santi e beati e martiri preceduti da Gesù e dalla Vergine e seguiti da simboli e allegorie – viene infatti qui corredata da saggi introduttivi e riflessioni legate alle collezioni presentate, specchio di una lunga tradizione. Sino ad assumere la veste del catalogo-itinerario di un viaggio singolare come dimostrano i vari contributi: identitario, ma non solo.
Ricorda qui Sebastiano Tusa (l’assessore regionale ai Beni culturali e identità Siciliana tra le vittime del disastro aereo in Etiopia nel marzo scorso) che i santini hanno accomunato nella forma cattolici e protestanti, raffigurando ovviamente questi ultimi non i santi, bensì scene della Scrittura. Di certo hanno accomunato discipline diversamente interessate al rapporto tra il devoto e l’immagine: «Santini come storie vissute, memorie condivise, concrete esperienze che da singole, particolari, individuali, si fanno ben presto comunitarie…», continua il testo di Tusa.
Mentre è il cardinale Angelo Becciu a ricordare che «nell’immagine dei Santi troviamo espresso non solo un volto o una serie di simboli, ma un mondo di valori: i valori della fede e dell’autentico umanesimo ». Ed è sempre il prefetto della Congregazione delle Cause dei Santi, a descrivere i santini – dopo una carrellata sui capolavori di artisti dedicati ai santi – «i fratelli minori» di questi «colossi». «Minori, ma non meno efficaci. Anzi, non di rado, la possibilità di essere tenuti in tasca o in un portafogli o in un libro facilita la loro fruizione: possiamo guardarli e ammirarli e aprire il nostro cuore a invocare e imitare coloro che le immaginette raffigurano», continua Becciu. Con un’avvertenza: «mentre noi guardiamo le immagini dei Santi, non dimentichiamo che i Santi ci invitano a guardare la nostra vita con i loro occhi».
“Santi della Porta accanto”, è invece il titolo del contributo dell’arcivescovo di Monreale Michele Pennisi che, dopo cenni alla storia della raffigurazione dei santi (comprese le guerre iconoclastiche e il II Concilio di Nicea che nel 787 stabilì la liceità della loro rappresentazione e quella di Gesù, Maria, e degli Angeli), scrive che «questo volume può aiutarci a riscoprire tante figure di santi anche “della porta accanto” per dirla con Papa Francesco…».
Per tutti questi uomini, siciliani e non, vissuti rivolti verso Dio e ora faccia a faccia con lui, sottolinea don Giuseppe Ruggirello non si tratta «di una mera raccolta di immagini devozionali », ma «di una sfida che interpella la Chiesa communio, perché attingendo alla sua viva e perenne Tradizione, trovi forme nuove per mostrare che la vita dei santi, discepoli del Signore, è una vita realizzata». “Santuzzi” e “santine” servono anche a questo? Chissà. Appellarsi a loro, riconosce l’antropologa Orietta Sorgi, «nasce dal bisogno di ricomporre un equilibrio che si è infranto, affidandosi a facoltà che la prassi umana non è in grado di esercitare».
Sopra, un santino stampato dai carmelitani scalzi di Milano alla fine dell’Ottocento Sotto, “Gesù lavoratore”, siderografia con fondo traforato a merletto con motivi floreali, Francia A destra, un ricordo della prima Comunione, collage di pasta d’ostia, Francia