Bruno Sammartino, in una foto del 2000, ricorda i suoi successi sul ring (Ansa)
È scomparso a 82 anni la leggenda del wrestling Bruno Sammartino. Il campione è morto a Pittsburgh, sua città di adozione dall’età di 15 anni. Sammartino era nato nel 1935 a Pizzoferrato, in provincia di Chieti, e si era trasferito negli Stati Uniti. La federazione mondiale del wrestling lo ha ricordato come una persona senza risorse economiche, capace di trovare il successo e imporsi come «il primo vero supereroe buonò della storia della Wwe». Detiene tuttora il record da campione del mondo più lungo di sempre, dal 1963 al 1971. In Usa era conosciuto come “The Italian Strongman” (l’italiano forzuto) e la leggenda vivente del wrestling. Suo anche il record del tutto esaurito per ben 188 volte al Madison Square Garden. Nel 2013 è stato introdotto anche nella Wwe Hall of Fame.
Riproponiamo un articolo di Massimilano Castellani a lui dedicato, uscito su Avvenire il 22 settembre 2017
Sammartino, il re del wrestling
Duro come la pietra della natia Pizzoferrato, inossidabile come l'acciaio di Pittsburgh (Pennsylvania), la città in cui è cresciuto e dove per difendersi dalla violenza della strada il giovane italoamericano decise di entrare in palestra e diventare un campione di
wrestling. Questo è il profilo di Bruno Sammartino. La leggenda della lotta "professional" a stelle e strisce arriva da Pizzoferrato (Chieti). Il paesino, dove è nato nel 1935, conta poco più di mille anime, ed è situato appena qualche collina più in là da Ripa Teatina: il comune d'origine della la famiglia Marcheggiano, il ceppo italico dell'altrettanto leggendario campione dei pesi massimi, il pugile Rocky Marciano. Siamo davvero nel cuore dei "borghi dei campioni".
Storie di uomini dalle spalle larghe e un cuore grande come la speranza in un futuro migliore. Partiti dall'entroterra abruzzese con in dote la sola valigia di cartone hanno attraversato l'Oceano viaggiando in terza classe e una volta sbarcati nel Nuovo Mondo hanno dovuto affrontare la vita a muso duro. Esistenze migranti, come quelle raccontate da John Fante ("figlio" anche lui della teatina Torricella Peligna). «Lo zio di Bruno, don Vincenzo Sammartino, era un prete illuminato e imprenditoriale: aveva acquistato le terre della Valle del Sole per l'attività delle "cacerie" sulla montagna di san Domenico... Ma la pastorizia non dava sufficiente guadagno a tutti i Sammartino e il papà di Bruno decise di emigrare in America, assieme a tanti altri paesani», racconta il primo cittadino di
Pizzoferrato, il sindaco Palmerino Fagnilli che ha da poco riabbracciato il genius loci Bruno Sammartino.
«Il 4 agosto, giorno della festa patronale di san Domenico, Bruno è tornato in paese: gli abbiamo voluto dedicare una statua». Appena 48 ore tra la sua gente per il campione che ha voluto esserci ad ogni costo, mettendo a repentaglio anche la propria vita. «Appena tornato a Pittsburgh l'hanno dovuto ricoverare e fargli due trasfusioni di sangue», dice il sindaco. Ma la "Roccia di Pizzoferrato", così come lo presentavano gli speaker americani ogni volta che saliva sul ring, è indistruttibile. «Alla sua età ogni giorno fa ancora 4-5 miglia di corsa e un po' di ginnastica in casa per mantenersi in forma», spiega Michele Posa, giornalista di Sky e "bibbia" italiana del wrestling (è autore di nove saggi sull'argomento) che avvalendosi delle cifre ricorda la grandezza di Sammartino: «Una leggenda. Un wrestler che a partire dal 1963 ha detenuto il titolo dell'allora World Wide Wrestling Federation per 2.803 giorni consecutivi e, dopo averlo riconquistato, per altri 1.237 giorni, per un totale di 4.040. Un'eternità, basti pensare che un campionissimo come Hulk Hogan ha conservato la corona per 1.474 giorni».
La prima sconfitta della "Roccia di Pizzoferrato", il 17 gennaio 1971, contro Ivan il Terribile Koloff, è ancora scolpita nella memoria dei fedelissimi del Madison Square Garden, il teatro dello sport newyorkese colmo come un catino (22mila spettatori) quando lottava «Bruno l'italiano». Sammartino è riuscito a riempirlo fino all'orlo con le sue energiche e spettacolari esibizioni per ben 187 volte.
Un record, anche questo, inavvicinabile. La Roccia ha lottato fino all'età dei nostri pensionati italiani. E lo ha fatto da protagonista nel circo più agonistico e meno teatrale del wrestling anni '60-'70, recitando fino all'ultimo atto «il ruolo del campione per antonomasia e mai quello dello sconfitto», sottolinea Posa.
L'ultima delle sue oltre duecento sfide fu nel 1987, alla soglia dei 62 anni. Dopo aver fatto coppia con suo figlio David, chiuse una carriera da libro d'oro in tandem con Hulk Hogan sconfissero One Man Gang e King Kong Buddy. Quest'ultimo, era simile allo "scimmione" («un vero orangotango») contro il quale da ragazzo Sammartino accettò di lottare e vinse, al solo scopo di «guadagnare 50 dollari. Da carpentiere me ne davano 2 al giorno». Favole di un mondo che appena lasciato non sentiva più suo. Del wrestling di fine secolo scorso ha denunciato l'eccesso di spettacolarizzazione. Vero che questa lotta ha origini circensi, ma per
Sammartino la preparazione fisica e il culto del corpo atletico, senza additivi né conservanti («il mio no durissimo a tutti gli steroidi e anabolizzanti») e la componente agonistica dovevano annientare e sbattere al tappeto «le disgustose storyline» che invece tanto piacciono al popolino amante delle "faide" da ring. La purezza dell'uomo refrattario alla pubblicità e al patinato star-system lo aveva relegato al margine dello showbusiness dei wrestler.
«Sammartino ha sempre predicato un wrestling educativo – dice Posa – che è scomparso per un po' ma oggi sta tornando in voga. Questo sport ha ritrovato campioni impegnati nel sociale, nella lotta al bullismo e all'abbandono scolastico». Punti di forza della filosofia del primo "italian stallion" meritatamente inserito dal 2013 nella W.W. E. Hall of Fame su espressa richiesta del suo amico fraterno Arnold Schwarzenegger. «Una gioia immensa per me. Ogni volta che la gente comprende quanto ho lottato per
entrare nella Hall of Fame io mi sento realizzato», disse visibilmente emozionato il giorno in cui gli venne conferito il giusto tributo dalla Compagnia del wrestling.
Quella stessa Compagnia che ogni anno mostra ai milioni di tifosi americani i cinque campionissimi" omaggiati di statua. Quella di Sammartino figura al fianco delle sculture di The Ultimate Warrior, Ric Flair, Dusty Rhodes e Andre the Giant.
Ma il "secondo monumento" personale, che si osserva passando da Pizzoferrato, è quello che ha fatto piangere di gioia la "Roccia". In paese tutti stanno già aspettando il ritorno di Sammartino. «Appuntamento fissato al prossimo agosto, quando alla sua presenza vorremmo organizzare la prima edizione del "Premio Sammartino"; lo assegneremo a un wrestler o un uomo di sport che va nella stessa direzione del nostro Bruno», dice entusiasta il sindaco Fagnilli, che tempo fa fece visita a Sammartino a Pittsburgh e rimase colpito da una parete del salotto.
«Appese al muro c'erano le chiavi delle città di Tokyo, San Francisco e Auckland che l'hanno riconosciuto cittadino onorario. Ma fra quelle spiccava la nostra chiave, quella di Pizzoferrato». Bruno è rimasto uno di loro. L'italiano ha ripreso a masticarlo dopo l'ultimo abbraccio caldo dei pizzoferratesi, ma si arrangia benissimo con il dialetto che ha appreso in casa e che parlava anche nel quartiere in cui visse il papà della Pop Art Andy Warhol, nato a Pittsburgh nel 1928. Nella città d'acciaio gli appassionati e non del
wrestling fermano ancora Sammartino per l'autografo e la foto ricordo.
«Negli States è ancora una celebrity – continua Posa –. Negli anni in cui lottava era diventato un punto di riferimento non solo per gli italoamericani ma per tutte le comunità povere d'America che lo amavano per il fatto di essere un giovane partito dal basso e che ce l'aveva fatta».
Il produttore Peter Hernandez, papà della pop star Bruno Mars, ha chiamato così il figlio in onore di Bruno Sammartino. Bruce Springsteen dal palco di un concerto ha salutato il campione di Pizzoferrato, che non è la sola gloria americana del paese del sindaco Fagnilli. «Daniel Constantine, alias "Dan" Marino Jr., ha radici pizzoferratesi. E anche il quarterback dei Miami Dolphins,
è una leggenda della Nfl, la lega del football americano. E da qui è partito per il Belgio anche il campione di full contact Frederic Aerts. In più sono nostri compaesani il campione azzurro di endurance Jacopo di Matteo e suo padre, il ct Federico». Sammartino è il suo profeta, ma Pizzoferrato è una piccola grande capitale dello sport migrante e d'esportazione internazionale. E la conferma arriva anche da Milano: "A' Riccione", lo storico locale di pesce ritrovo degli Amici del giovedì di Gianni Brera, ha il suo timoniere
in Dante Di Paolo, pizzoferratese doc, come un Montepulciano d'Abruzzo.