domenica 2 luglio 2023
Parla la cantautrice, candidata al Premio Tenco con il suo album ispirato a Joni Mitchell: «Io sono una nota dissonante per l’industria. A teatro rinasco, la tv è divertente. Il jazz? È casa»
Rossana Casale

Rossana Casale - Viviana Falcioni

COMMENTA E CONDIVIDI

Rossana Casale per tutti è sinonimo di eleganza vocale sotto una cascata di riccioli biondi. Una voce da usignolo formatasi al Conservatorio di Milano capace di fare il grande salto da vocalist delle star della musica italiana negli anni 70 (per Bennato, Cocciante, Mina, Al Bano e Romina, Mia Martini e Loredana Berté) a cantante di successo negli anni 80 con tante partecipazioni a Sanremo e un primo album prodotto dalla Pfm. Per allontanarsi poi dal mainstream e diventare cantautrice, virando sempre più verso il jazz, con omaggi eleganti a Billie Holiday, Giorgio Gaber, Jacque Brel e Joni Mitchell, cui ha dedicato un album appena uscito, Joni (Incipit Records), candidato al Premio Tenco 2023. Passando anche per l’esperienza di attrice di musical per proseguire con l’insegnamento. Non solo coach per 7 anni a X Factor, ma la signora Casale, oggi splendida 63enne, è docente del Corso di canto pop rock del Conservatorio “Arrigo Boito” di Parma.

Rossana Casale, lei si sente una “irregolare” della musica?

Io so di essere totalmente una nota dissonante per l’industria. Mi sono fermata tante volte a chiedermi se era il caso di continuare con la musica. Quando gli amici ti chiedono “perché non fai un bel successo che ti sentiamo per radio?”. Io non mi sono mai fatta guidare da certi ragionamenti. A un certo punto ho capito che dovevo fare una scelta definitiva, altrimenti avrei dovuto accettare dei compromessi che avrebbero retto per poco.

Quindi cosa ha scelto di fare?

Sono felice di cantare cose che mi piacciono, come Gaber, o cose scritte con le mie amiche Mariella Nava e Grazia Di Michele con cui abbiamo pubblicato l’anno scorso l’album Trialogo (Cantautrici). Io quando scendo dal palco sono felice di fare il mio mestiere, e anche se ho davanti 800 o 400 persone, so che portano a casa il massimo di me e sono felice.

Lei però è molto stimata nell’ambiente musicale.

L’ho visto in questi giorni, quando è uscita la mia candidatura al Tenco. Mi sono commossa. A volte fai il viaggio da sola, come ho fatto il cammino di Santiago di Compostela, ed è faticoso non cadere mai in tentazione. La tua vita economica è diversa, paghi un prezzo. Chissà se verrò ripagata di questo mio stare sulla mia parte del fiume.

Cosa l’ha spinta ad intraprendere il Cammino di Santiago?

Qualche anno fa ero in tournée e mi ero resa conto che non era quello che volevo e mi sono fermata. Allora vivevo a Roma, ho dovuto tirare su un figlio da sola perché il papà di Sebastiano è morto in un incidente stradale 22 anni fa, quando lui aveva 3 anni. La mia vita è stata frenetica fra tate e tournée. Mi sono detta che dovevo fare delle scelte insieme a mio figlio, con cui ho un rapporto meraviglioso. Così ho intrapreso il Cammino di 507 chilometri da Burgos a Santiago, anche con delle salite faticose. Là ho deciso di cambiare città, da 4 anni vivo a Viareggio una vita più sana, al mare. Ho deciso di togliere molte persone dalla mia vita e tante cose tossiche. Certo, il Cammino era faticoso e a un certo punto avevo bisogno di una ragione più forte per andare avanti: così ho deciso di camminare pregando per le persone che conoscevo, amici o parenti, malate.

Lei è credente?

Sono cristiana, credo fortemente, anche se non vado in chiesa la domenica. Cerco il silenzio, che mi ha salvato da certi momenti di dolore come la perdita del mio compagno, che è stato uno choc terribile. Anche la musica mi ha salvato.

Lei è una delle prime cantautrici italiane. Quanto è stato difficile?

Grazia Di Michele ha iniziato prima di me, è stata una eroina, ha combattuto contro tutto e tutti. Io ho preso coraggio piano piano partendo dai testi scritti con Maurizio Fabrizio. Per la mia testardaggine le difficoltà non le ho neanche ascoltate. Ma c’è ancora molto maschilismo nel mondo della musica. Faccio le mie battaglie perché noi donne dobbiamo combattere tutta la vita.

Joni Mitchell è stata una delle prime cantautrici: è un suo modello?

Joni Mitchell ha fatto parte dei miei momenti di crescita. Quello che cerco di portare ai miei allievi è la consapevolezza che la cultura è importante per la loro musica, per quello che faranno. Il sapere rende liberi. Questo disco è nato proprio grazie all’incontro coi miei allievi che di Joni Mitchell si innamorano sempre.

Presto la sentiremo anche dal vivo in tournée coi brani di Joni.

Io ho dovuto trovare me stessa dentro di lei, è uno dei miei lavori più importanti. Lei è capace di scrivere dentro e fuori dalle righe, ed è uno stile che ho ereditato. Anche le immagini sono importanti. Mio padre Giac Casale era un grande fotografo e mi ha insegnato a guardare. La sua frase ricorrente quando ci portava in viaggio in auto era “bambini, guardate”. Anche guardare salva l’anima. Ci sono momenti in cui il bello intorno a noi consola.

Lei che è stata anche coach a X Factor cosa pensa della musica di oggi?

Vedo costruire più che creare. Quello che scrivono i giovani non è tutto bruttissimo, magari è un po’ povero nel linguaggio. Con l’elettronica accedi a basi già create, puoi cantarci su una melodia. Una cosa che nasce e poi muore e non crea dei veri musicisti. Tanti hanno un successo pazzesco, vedi Lazza, ma se ascolti Fossati è un’altra cosa. Ogni musica fa parte del suo tempo. E questo è un tempo malato, i ragazzi stanno male, ci sono tanti suicidi, i giovanissimi hanno difficoltà a credere nella vita. Questa musica leggera è la medicina di cui hanno bisogno, hanno bisogno di non impegnarsi anche in quello. Va bene così.

Però si creano tanti fenomeni musicali usa e getta…

Ti spiace che ragazzi che hanno avuto grande successo, già li vedi che stanno svanendo nel nulla. Noi alla loro età avevamo più possibilità di crearci una carriera, di fare due o tre album per poi camminare da soli. Oggi hanno l’illusione magari uscendo da Amici, di essere arrivati. X Factor è stata per me una esperienza bellissima, mi ha fatto scoprire che fare la tv è importante anche per lasciarla.

Rossana Casale ha avuto anche una bella o parentesi come attrice

Quando nel 1983 uscì il successo di Didin Pupi Avati mi chiamò per un ruolo in Una gita scolastica dove ho cantato: fu una esperienza pazzesca, di cui all’epoca non capivo appieno l’importanza. Poi negli anni 90 arrivarono i musical. Il mio amico Raffaele Paganini mi coinvolse nel suo Un americano a Parigi nel 1995. Gershwin per me è tutto, è il ponte fra la classica e il jazz. Poi ebbi anche successo con A qualcuno piace caldo nel ruolo di Zucchero, accanto a Gianmarco Tognazzi e Alessandro Gassmann, due maestri incredibili come pure il regista Saverio Marconi. A segnalarmi fu il grande Vittorio Gassman che mi aveva ospitata nel suo programma Il mattatore. Per me è stato un momento importante: cambiava la musica, arrivava Tiziano Ferro e io ero fuori. Fare teatro è stato prendermi una pausa.

Lei però non ha mai lasciato il jazz.

Sono stata fortunata perché avevo un padre che mi ha fatto ascoltare tanto jazz a casa. Quando mi sono fermata mi sono detta: voglio tornare alle mie radici. Il jazz sempre una casa cui torno. Ora ho un album di inediti nel cassetto, se ci sono orecchie per ascoltarmi. È un album dove racconto dei momenti di me, della mia vita, delle persone importanti, attraverso i libri che ho letto e che mi hanno formato. E ora me li sto rileggendo tutti.

© Riproduzione riservata
COMMENTA E CONDIVIDI

ARGOMENTI: