Il poeta Rocco Scotellaro - Elaborazione grafica di Massimo Dezzani
Nel 2023 si è festeggiato il centenario della nascita di Rocco Scotellaro, poeta e politico lucano scomparso a soli trent’anni. Sindaco di Tricarico, suo paese di origine, dal 1946 al 1950, giornalista, antropologo e prosatore ( L’uva puttanella è il suo romanzo autobiografico incompiuto), paladino dei braccianti del Sud ispirato da Manlio Rossi-Doria e Carlo Levi, Scotellaro è stato l’«intellettuale di tipo nuovo», impegnato contemporaneamente «sul fronte più avanzato della lotta sociale e sul piano più qualificato della cultura letteraria nazionale» (parola di Italo Calvino). Nel 2019 è uscito per Mondadori l’Oscar Baobab (a cura di Franco Vitelli, Giulia Dell’Aquila, Sebastiano Martelli) che raccoglie tutte le opere di un autore in cui Eugenio Montale ha scorto, non a caso, il felice «impasto tra la vena internazionale e la vena popolare».
Per Interno Poesia è ora disponibile una ricca antologia di versi, Tu sola sei vera. Poesie scelte (pagine 148, euro 15,00), curata da Franco Arminio, già voce narrante nel podcast, prodotto da Chora Media per la Fondazione Matera Basilicata 2019 e dedicato proprio a Scotellaro, Un filo d’erba. « Io sono un filo d’erba / un filo d’erba che trema. / E la mia Patria è dove l’erba trema. / Un alito può trapiantare / il mio seme lontano». La mia bella patria è una delle liriche più note e intense del «ragazzo di Tricarico» e in essa, così come in molti altri testi, si può notare quanto egli sia davvero «un poeta naturale», primitivo: secondo Arminio, Scotellaro « non sa mai di libri, ma di terra, la sua poesia non è colta e non è neppure semplice, ingenua, è una poesia che ha la grazia delle anime che tengono assieme inquietudine e generosità, la spina del proprio dolore e lo sguardo sempre rivolto ai luoghi, alle persone». I santi contadini di Matera (« E voi date una mano / perché l’avranno interrata profonda / la pupa della fattucchiera / nella Gravina che circonda / i santi contadini di Matera!»), Mietitori, La pace dei poveri, Terronia, La felicità, Solitaria natura, I pastori di Calabria, Suonano mattutino, Sempre nuova è l’alba, È fatto giorno («Sappiamo tutti la tua vera gloria / Signore della Croce»): simili ai quadri di Jean-François Millet, le ambientazioni di Scotellaro mescolano sindacalismo ed elegia, meridionalismo e metafisica, purezza contadina ed escatologia. Si pensi a una lirica di sicura icasticità come Gli abigeatari: «Chi non dorme nel mare sonnolento / delle ristoppie unite, sulle spoglie / dei calanchi, gli abigeatari. / Scansàti alle tamerici, / sulla sabbia accolta del fiume, / gettano i mantelli neri, / amano il loro mestiere, / uomini sono gli abigeatari, / spiriti pellegrini della notte, / si cibano all’alba». Il tono è sempre misurato, scultoreo, ma la scelta del lessico conferisce al dettato un’asprezza e un’austerità dinamica, quasi cinematografica, da film neorealista. Così in Paese d’inverno: «Casuccie folte / di comignoli arroventati / e le focagne attizzate dalle donne. / E l’uomo fuori nel lato pastrano / chiamava la mulattiera insonne / alla zolla da districare». Ancora immagini lievi eppure arcigne, di una quotidianità soffusa di selci e lucore. Scotellaro, osserva ancora Arminio, «è dalla parte della verità e del coraggio, è uno che ha lavorato con gli altri e per gli altri pur avendo una malattia implacabile, la malattia della poesia. Il suo piccolo miracolo è aver tradotto ogni respiro in parola, ogni gesto in missione politica e poetica».
In effetti, decisivi nella sua opera letteraria, oltre alle presenze familiari (« Mamma, tu sola sei vera. / E non muori perché sei sicura»), al fervore per il Meridione e a un sincero impegno per il corretto rapporto tra l’uomo e la natura, sono proprio gli “altri”, fatti «di tanta luce»: « Io e gli altri: / questo è l’amore e l’odio / aspettare la condanna di vivere insieme / eternamente con chi dà fastidio / o volere la condanna con chi dà pace. / Ma quando nessuno può salvarti / è venuta l’ora dell’amore e della morte».