Franco Roccella (1924-1992) - archivio
Le saghe familiari sono una costante nella letteratura a ogni latitudine. Di recente ne sono uscite anche di ambientazione siciliana, come quella sugli industriali Florio. Quella che con Una famiglia radicale (Rubbettino, pagine 190, euro 16,00) propone ora Eugenia Roccella - giornalista e parlamentare esperta di temi sanitari, sociali, bioetici e attuale ministro per la Famiglia, la natalità e le pari opportunità del governo Meloni - è peculiare per due motivi. Il primo tocca la forma scelta per la narrazione, che si dichiara romanzo (nel filone oggi molto gettonato dell’autofiction) ma assume più che altro i toni del memoir biografico e generazionale. Il secondo riguarda i cerchi concentrici della narrazione che vanno a dare un respiro nazionale e storico alla narrazione delle vicende di un nucleo familiare, espandendosi dall’Io narrante dell’autrice alla famiglia siciliana paterna, alla Bologna materna, alla Roma dell’infanzia e della giovinezza della narratrice, negli anni Settanta, con le lotte per i diritti civili dovute alla militanza di papà Franco, mamma Wanda e di Eugenia stessa nel partito radicale. Su questa formazione politica negli ultimi anni sono usciti diversi libri di carattere storico e saggistico ad opera di suoi militanti storici - da Gianfranco Spadaccia a Massimo Teodori, Giovanni Negri e Valter Vecellio – nonché di recente una docu-fiction di Mimmo Calopresti, Romanzo radicale, incentrata sulla figura di Marc o Pannella. In questo libro, che narra di un’educazione sentimentale alla libertà e alla laicità, il leader ha un posto sì rilevante, ma di riflesso rispetto alla figura di Franco Roccella, distintosi nel secondo Dopoguerra come leader dell’Ugi (l’Unione goliardica degli universitari che sotto la sua guida conobbe notevoli successi) e cofondatore del partito radicale. Tanto che Pannella lo trattava, pur nell’accesa dialettica e le molte diversità di vedute, con rispetto quasi filiale. La storia inizia da Riesi, provincia di Caltanissetta, luogo di origine dalla famiglia di Franco, dove Eugenia, nata nel 1953, cresce dai sei mesi ai cinque anni. Franco la porta a Sarina, sorella “signorina” che si occuperà da vicino della bimba fino alla partenza per Roma. Ben più tragico sarà il destino di una sorellina minore, Simonetta, che – nata prematura a Palermo tre anni dopo Eugenia - sarà poi abbandonata in ospedale e vi morirà. Una ferita che Roccella evoca con accenti commossi. «Le rare volte in cui il nome di Simonetta usciva nelle discussioni familiari – successe in due o tre occasioni – lo psicodramma era inevitabile. Tutti accusavano tutti», ricorda. Tra le figure emblematiche di questo mondo isolano c’è anche lo zio Enzo, avvocato senza arte né parte, perso dietro alle donno ne e al gioco. Vizio che causa più di un grattacapo economico a nonno Eugenio, notaio originario della vicina Piazza Armerina, che a confronto di Riesi appare una città moderna (contrariamente a Wanda, che lo detestava, Eugenia ha difeso sempre a spada tratta il luogo della sua infanzia felice, dove spesso tornava). Anche Franco, detto Cicciuzzo, dà una scossa ai bilanci familiari con la passione per la politica e le campagne elettorali fallimentari. Nonno Eugenio e papà Franco sono gli esempi di un elemento maschile attento alle esigenze di libertà ed emancipazione delle donne. Mosche bianche in una Sicilia patriarcale e in un’Italia non ancora attraversata dai fermenti dei Sessanta e Settanta. Un aneddoto siciliano dà bene conto, infine, dell’indistinguibile intreccio nelle pagine tra realtà e racconto romanzato (come so- spesso le memorie di famiglia). La quattrenne Eugenia sente di dover proteggere l’amato nonno dalle insolenze di un mafioso, apre un cassetto e tira fuori la pistola detenuta da Eugenio per precauzione, puntandola all’uomo e zittendolo. Tornata a Roma a fine anni Cinquanta la bimba viene dapprima iscritta alle elementari in una scuola americana. Poi alle medie scopre la fede religiosa. A quattro anni era stata battezzata a Riesi più che altro per accontentare la zia (padrino Sergio Stanzani, «noto ateo mangiapreti»). Ora è lei stessa a chiedere alla famiglia di fare la prima comunione e la cresima (anche qui ad accompagnarla una non credente, Liliana Pannella, sorella di Marco). «Non conoscevo preghiere, nessuno me le aveva mai insegnate, nemmeno la zia, per non dispiacere troppo a papà». Che anche in questo caso, però accondiscende. Non l’ha neppure esonerata dall’ora di religione: «Pur convintamente ateo e anticlericale, non era nemico del cattolicesimo, essendo un liberale di matrice crociana, educato in un collegio salesiano di cui raccontava con rispetto». Anche riguardo all’aborto Franco manifesterà dubbi, ritenendolo (come Pasolini) un omicidio. Posizione contraria a quella della moglie Wanda (e di Pannella) che sarà, insieme alla figlia, convinta femminista nel Movimento di liberazione della donna. Nel periodo in cui si fa più sentire l’influsso dei compagni di lotte e degli amici di famiglia – tra i quali Dacia Maraini e Pier Paolo Pasolini - «la fede era, più che un ostacolo, un oggetto incongruo e fuori posto, che era meglio riporre in un angolo. Ero già abituata al segreto, ma il mio silenzio cambiò qualità, divenne più simile a una menzogna. A quella menzogna finii per credere anch’io», scrive Roccella. La fede verrà riscoperta quando nel 1981 Wanda sarà colpita da un ictus da cui uscirà a fatica, per poi morire nel 2005 (in uno stato di incoscienza simile a Terri Schiavo, vicenda degli stessi giorni su cui Roccella affiderà una riflessione a “Il Foglio”). Tredici anni prima era morto Franco, segnato negli ultimi anni dai debiti. Con Pannella che in quell’occasione non si comportò da amico, anzi - racconta Eugenia - gli ingiunse di pagare lo stesso il contributo al partito. O dimettersi. Fu «la fine di un’illusione, e lo fu anche per me. Ero cresciuta nell’ammirazione per quel gruppo così unito e libero. Era la mia rete di parentela allargata. Non mi aspettavo di assistere al suo sfaldamento, e di dover ammettere che avevo assorbito e alimentato una mitologia precaria», conclude Eugenia. Vicende personali che si fanno politiche come si diceva un tempo. Merito del libro è raccontare con occhio partecipe, ma allo stesso tempo disincantato, un microcosmo che è divenuto un pezzo di storia italiana.