domenica 10 ottobre 2010
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Protagonisti delle fiction televisive "grandi ascolti", invitati nei programmi di intrattenimento più seguiti, oggetto di prime pagine di autorevoli quotidiani: tanto clamore certo, eppure chi siano e come lavorino resta, se non proprio segreto, sicuramente avvolto nel mistero. Siamo a Parma, città-set d’ambientazione degli episodi nel mondo di Ris – Delitti imperfetti e, nella realtà delle cose, un’effettiva sede dei Reparti Investigativi Scientifici oltre a Roma, Messina e Cagliari. Varcato l’ingresso di Palazzo Ducale, il capitano Marchetti, fisico milanese del laboratorio impronte, ci guida lungo i corridoi sui quali si affacciano i numerosi uffici: l’atmosfera è meno formale del previsto, si ha l’impressione di un ambiente in cui l’elemento prevalente sia l’essenzialità piuttosto che l’austerità. In quanto polizia giudiziaria, il Ris interviene solo a seguito del reato sulla scena del crimine, dove sono direttamente riscontrabili tutti gli elementi utili all’indagine (tracce di sangue, bossoli di proiettili, mozziconi di sigarette). Sia la sede di Roma che le tre periferiche sono organizzate in cinque sezioni operative: Biologia, Impronte, Balistica, Chimica (comprendente Tossicologia, Merceologia, Esplosivi e infiammabili) e, infine, Grafica, fonica e videofotografica. Le prime due sembrano contenere le maggiori potenzialità di sviluppo per le prospettive di studio nelle scienze forensi.La sezione Biologia concentra la maggior parte delle proprie risorse professionali e tecnologiche – senza trascurare le indagini non genetiche riguardanti le tecniche di ematologia tradizionale e di microscopia ottica ed elettronica – nelle analisi genetiche a scopo identificativo: l’identificazione risulta certa grazie alla scoperta dei polimorfismi del Dna. Diversi casi giudiziari sono stati risolti grazie a queste analisi, condotte su tracce biologiche come macchie di sangue, frammenti di pelle, capelli o su effetti personali rinvenuti sulla scena del delitto. Lo studio del Dna mitocondriale e dei polimorfismi del cromosoma Y con la tecnica del sequenziatore automatico basato sul metodo delle molecole fluorescenti rappresenta il livello scientificamente più avanzato attualmente in adozione. Con tali supporti è possibile ricostruire i profili genetici degli individui, garantendo l’identificazione con margini di errore infinitamente piccoli. La dattiloscopia viene generalmente fatta risalire alla pubblicazione, avvenuta a Londra nel 1686, di uno scritto di Malpighi dal titolo De externo tactus organo nel quale lo scienziato esponeva i risultati degli studi compiuti sulle funzioni fisiologiche della pelle umana, da lui differenziata in una parte superficiale, l’epidermide, e in una sottostante, il derma.In una struttura di investigazione scientifica immancabile è sicuramente il laboratorio di dattiloscopia, tradizionalmente riservato al confronto o all’identificazione di impronte digitali, palmari e plantari, definite "creste papillari" e note sin dall’antichità, di orecchie e labbra. La sezione dispone inoltre di terminali di accesso al sistema informatizzato del Casellario centrale d’identità (Afis) per il confronto di impronte trovate sul luogo del reato con quelle presenti nella banca dati: infatti solo agli inizi del XIX secolo, con il nascere delle scienze criminalistiche, si impose l’esigenza di inglobare tra le impronte i segnalati delle forze di polizia. Il personale di laboratorio è spesso impegnato in attività di sopralluogo e di ricerca sul luogo del reato, momento cruciale e delicatissimo per l’indagine nelle più diverse tipologie di crimini. Proprio nella fase di ricerca e di esaltazione dell’impronta latente si applicano le metodologie chimico-fisiche più sofisticate e si giunge all’identificazione sulla base dei principi di immutabilità e variabilità delle creste papillari: le impronte, cioè, non subiscono modificazioni morfologiche dalla vita intrauterina nella quale si formano fino ai fenomeni degenerativi post mortem e sono sempre diverse l’una dall’altra, anche se dello stesso individuo. La probabilità che due individui presentino identici disegni papillari ha un dato valore statistico (probabilità di errore d’identificazione), che diminuisce all’aumentare delle particolarità esaminate: si parla d’identificazione quando tale probabilità è infinitesimale per cui si può verificare l’errore su una popolazione decine di volte superiore a quella mondiale.Rimane tuttavia questione dibattuta il numero minimo di particolarità nella comparazione tra porzioni d’impronte rilevate sul luogo del reato con quelle di un indiziato per cui si abbia certezza d’identità. La giurisdizione italiana, ispirandosi ad una formula matematica dei primi del Novecento, ritiene sostanzialmente certa l’attribuzione d’identità (probabilità di osservare la stessa combinazione di minuzie e di errore è circa 1 su 4.294.967.296) in corrispondenza di almeno sedici punti caratteristici uguali per forma e posizione. In altri Paesi, invece, la tendenza ricorrente non si basa tanto sul dato quantitativo, ma qualitativo, che si fonda sulla rarità delle minuzie: nel 1973, l’Iai (International Association for Identification) accettò la seguente risoluzione: «Non esiste ai giorni nostri alcuna base legale per esigere un numero minimo di punti di riscontro per stabilire un’identificazione positiva».
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