sabato 4 maggio 2024
Oggi il via a una gara che ci permette di scorpire aspetti del nostro Paese che magari non conosciamo o abbiamo dimenticato. Un'esperienza sui pedali che ogni volta è unica
Lo sloveno Pogacar è il favorito di questa edizione

Lo sloveno Pogacar è il favorito di questa edizione - Ansa

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Inizia oggi il Giro d’Italia, ed è un’emozione sicura. Perché le storie degli sport di fatica come il ciclismo sono quelle che straripano di crema più delle altre. Il serpente dei corridori, i colori delle loro maglie, le gambe abbronzate dal ginocchio in giù, le facce di chi suda davvero, l’ultimo della fila bello come il primo. Ma la corsa più emozionante è sempre l’attesa, il rumore dell’aria che si sposta e annuncia il gruppo in fondo alla strada. Quanta bellezza, specchio della vita e di un’Italia di provincia, fiera e resistente che insieme al passaggio del Giro ancora aspetta un futuro migliore, o un futuro comunque.
C’è una scritta, disarmante e apparentemente banale come sono tutte le cose più belle, che compare spesso sulla strada quando passa la corsa: “Viva il Giro”. La si trova in ogni edizione, pitturata di bianco sulla coscienza asfaltata dello sport che non vuole arrendersi. È l’inno ufficiale della rifondazione pedalistica, partito senza minoranze, carico di elettori convinti che al fruscio delle ruote che girano non vogliono rinunciare mai. Ma anche di astenuti sospettosi, che sanno di non potersi fidare del tutto. Perché il Giro d’Italia è sempre un enorme bivio: deve regalare emozioni pulite per cancellare la lebbra dei suoi scandali antichi e recenti.
La gente dietro al paracarro però non ci pensa troppo: ha occhi solo per gli operai della pedivella che in tre settimane si sciroppano migliaia di chilometri con la sola (si spera) forza delle gambe, sotto il sole a picco e la pioggia, sfiorando la neve e forando l’afa, arrancando su salite che fondono i motori e picchiando in discese da far chiudere gli occhi. Fatica inimmaginabile, totale. «Vado così forte in montagna solo per abbreviare la mia agonia...», diceva Marco Pantani. Uno dei più grandi, per sempre e a prescindere.
Ma anche per noi atleti da divano e sportivi del telecomando, la corsa è una speranza di freschezza da gustare sulle curve, insieme all’atlante visivo di un Paese da riscoprire. Quest’anno tocca San Francesco al Campo, Rapolano Terme, Prati di Tivo, Cusano Mutri, Foiano di Val Fortore, Manerba del Garda: arriva e parte dove forse non andremmo mai se non ci portasse il Giro, meravigliosa agenzia di viaggi gratis per tutti.
L’Italia in questi giorni si apparecchia per lasciarlo passare: trova gli spazi per la carovana nei suoi centri storici, mette le sedie fuori dalla porta, aspetta sul ciglio della strada, applaude e si sbraccia. Provincia, campagna, frazioni sconosciute che inorgogliscono per essersi fatte toccare. Fazzoletti al vento e campi di papaveri, folla davanti ai bar, con un bicchiere in mano e la voglia di riempirsi gli occhi di ruote e volate. Altro che disaffezione: solo il ciclismo regala ancora quadri così. Che riconciliano con questa nazione che non conosciamo mai abbastanza. E ci spiegano perché, alla fine, l’Italia sia il peggior Paese del mondo dove vivere, esclusi tutti gli altri.
Mentre passano le bici pensi che non è poi male nemmeno la gente che la abita, meno rassegnata e apatica di quello che si creda. Capace di emozionarsi ancora: sintomo di vitalità, rivoluzione di sentimenti. Per questo al Giro non si può non voler bene, per questo non potranno mai cancellarlo come un pezzo d’antiquariato. Anche per lui purtroppo l’Italia finisce appena sotto la metà della nazione. Spesso non c’è Sud nel suo percorso: ragioni di soldi, di tempo e di logistica. Come nella vita, fa un giro largo ma non lungo, nel senso che non arriva in profondità.
È un Giro che non ha mai tempo, come noi. Ma che piace lo stesso alla gente. Quella semplice, che si piazza sul marciapiede e batte le mani quando arriva il gruppo. O che scala i tornanti dalla sera prima riuscendo a non sentirsi stupida per aver atteso per ore il soffio di una sfilata che dura tre secondi. Tranne che sullo Stelvio, è sempre la faccenda di un amen. Hai il tempo di dire: arrivano, e già li vedi di schiena. È il mistero infinito di una passione senza logica, la sua forza imbattibile. La forza del Giro.

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