domenica 19 marzo 2023
Applaudito al Piccolo di Milano con "Ritratto di artista da morto" di Carnevali. «Storia di due musicisti scomparsi nell’Argentina del ‘78 e durante il nazismo. Al cinema la mia prima regia sull'Ilva»
L'attore Michele Riondino in scena al Piccolo di Milano

L'attore Michele Riondino in scena al Piccolo di Milano - Foto Masiar Pasquali

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Il giovane Montalbano indaga sulla sparizione di un dissidente politico durante la dittatura militare del 1978 e su quella di un pianista ebreo nell’Italia del 1941. Non si tratta di un nuovo romanzo di Andrea Camilleri, ma di un’interessantissima operazione teatrale che mescola verità e fiction, autobiografia e storia con protagonista un attore di talento e dal forte impegno politico come Michele Riondino. Ritratto dell’artista da morto (Italia ’41 e- Argentina ’78), che ha appena debuttato in prima nazionale al Piccolo Teatro Melato di Milano, è la nuova produzione del Piccolo insieme alla Comedie di Caén – Cdn de Normandie e Centre dramatique Na-National de Reims, Theatre de Liège.

Scritto e diretto da Davide Carnevali, artista associato del Piccolo, il lavoro viene ritagliato dall’autore ogni volta su misura dell’attore protagonista del monologo che inserisce episodi reali della propria vita nel meccanismo ora in voga dell’autofinzione. Così il 44enne Michele Riondino, che si presenta al pubblico come attore lanciato dalla fiction Il giovane Montalbano, direttore artistico del Primo Maggio di Taranto e impegnato da anni coi comitati dei suoi concittadini, si ritrova a raccontare, come se fosse veramente sua, l’indagine di un attore/ commissario nell’Argentina di oggi alla ricerca di un passato scomodo su cui girare un documentario. Si racconta dell’apertura di un caso giudiziario riguardante un appartamento di Buenos Aires, acquistato da un presunto parente dell’attore nel 1978 ma espropriato a un dissidente politico durante la dittatura militare, motivo per cui la famiglia della vittima ne chiede oggi la riassegnazione. Riondino quindi vola in Argentina e scopre che l’appartamento apparteneva a un compositore argentino, che al momento della sparizione, stava lavorando sulle partiture incomplete di un compositore ebreo di cui sono perse le tracce durante la seconda Guerra Mondiale. Un viaggio sempre più coinvolgente e commovente, grazie anche a un applauditissimo Riondino, che ci conduce a una riflessione sul pericolo del totalitarismo.

«Mi piace pensare che Davide Carnevali mi possa avere scelto per il mio impegno politico, oltreché per il fatto di avere interpretato il giovane Montalbano ruolo che ho amato moltissimo – ci racconta Riondino -. Con l’autore c’è stata una bella fase di preparazione del testo con gli elementi miei biografici, materiale legato alla mia esperienza tv e due libri che ho scritto intorno all’Ilva di Taranto». In scena Riondino ha la capacità di farci vivere dall’interno l’esperienza di un desaparecido. «La riflessione di questo spettacolo da attore è molto precisa – aggiunge -. Noi non abbiamo vissuto queste epoche, il dramma del dovere nascondersi, la tragedia dei fascismi e dei totalitarismi, però facciamo parte di un contesto storico che viene da quei fatti. Inevitabilmente ne siamo anche il risultato. Noi siamo tenuti a ragionare su queste forme storiche e lo dobbiamo fare in maniera vuota di retorica, al di là della divisione fra buoni e cattivi».

Un’urgenza dettata anche dalla situazione internazionale, a partire dalla guerra tra Russia e Ucraina, aggiunge Riondino, che non nasconde di essere preoccupato anche per il futuro delle sue bimbe di nove e tre anni. «Bisogna tenere gli occhi aperti, purtroppo noi persone comuni non abbiamo tanta libertà di manovra quando entrano in campo i carri armati e le testate nucleari. Come artisti possiamo occuparci della cosa pubblica, che è cosa nostra. Chi ha una funzione creativa nello spettacolo vive la libertà di metterci la faccia o no». E Riondino è uno che la faccia ce la mette eccome: è il promotore e direttore artistico (insieme a Diodato e Roy Paci) di Uno maggio Taranto libero e pensante, il concerto del Primo Maggio di Taranto che quest’anno compie dieci anni. «Grazie a tanti artisti, al Comitato Cittadini liberi e pensanti e a Friday for Future siamo siamo riusciti a delineare all’interno del perimetro della questione tarantina una tela bianca sulla quale poter lavorare. Anche quest’anno – anticipa – cercheremo di dedicarci, oltre alla musica, alle questioni politiche, ai dibattiti e confronti su temi reali».

Un destino, quello del lavoro in acciaieria, cui sembrava destinato anche il giovane Michele, il cui padre, lo zio e il fratello lavorano tutti all’ex Ilva. «A noi tarantini ci preparano già dalla scuola a entrare in fabbrica – ricorda -, A chi come me ha frequentato gli istituti tecnici industriali, per prima cosa insegnano ciclo dell’acciaio. Se mio padre fosse andato in prepensionamento, avrebbero assunto me che ero il primogenito, cosa che mio padre fortemente desiderava. Questa logica non mi è andata giù, ho cominciato a fare teatro a Taranto a 15 anni e poi sono andato a Roma a studiare all’Accademia nazionale di arte drammatica».

Presto vedremo Riondino in tv nei panni dell’imprenditore Vincenzo Florio ne I Leoni di Sicilia, la saga familiare con la regia di Paolo Genovese prodotta da Disney. Mentre l’attore ha appena completato la sua prima regia, il film Palazzina Laf di cui è protagonista insieme ad Elio Germano. Palazzina Laf (Laminatoio a freddo) venticinque anni fa rappresentò un vero scandalo che finì in un processo che condannò i Riva e altri dirigenti dell’Ilva. «E’ una questione di mobbing collettivo. In quell’edificio venivano confinati e pagati per non fare nulla coloro i quali, da impiegati e magazzinieri, non accettavano il declassamento del loro contratto a quello di operaio. E pensare che agli occhi di mio padre e dei miei zii questi erano dei lavativi. Ho lavorato su questo forte contrasto tra lavoratori, una guerra fra poveri».

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