Paolo Ricca lo ripete da tempo: l’ecumenismo non è una questione di galateo fra le Chiese. «E il modo in cui ci accingiamo a ricordare il quinto centenario della Riforma lo dimostra nel modo migliore», aggiunge. Teologo valdese, da sempre attento al dialogo con il cattolicesimo e autore di numerosi studi sulla storia del cristianesimo in età moderna, Ricca guarda con molto interesse alle novità che stanno affiorando in questo periodo, tra il viaggio di papa Francesco in Svezia delle scorse settimane e l’ormai imminente ricorrenza del 2017, che segna il mezzo millennio esatto dalla pubblicazione delle 95 tesi sulle indulgenze da parte di Martin Lutero. «In passato – ricorda Ricca – questo genere di celebrazione era un fatto abbastanza solitario, nel quale erano coinvolti solamente i figli della Riforma. Adesso c’è una coralità concreta, che accomuna protestanti e cattolici nel riconoscimento del carattere sostanzialmente positivo della svolta avvenuta del XVI secolo all’interno della cristianità. Lo considero un passo decisivo, anche se il cammino resta lungo».
Che cosa manca, secondo lei?
«Partirei da quello che abbiamo guadagnato, intanto. Con il Concilio Vaticano II, in primo luogo, è caduta la definizione di “eretici” precedentemente destinata ai protestanti. Da lì in poi si è sviluppata una corrente di riflessioni e approfondimenti che hanno riportato alla luce la correlazione strettissima tra la Riforma e l’azione riformatrice attuata dalla Chiesa cattolica attraverso il Concilio di Trento. Che condannava Lutero, certo, ma ne faceva proprie molte istanze, sia pure rielaborandole in altra forma. La Riforma, alla fine, non ha solo creato un nuovo modello di Chiesa, ma ha anche portato al ripensamento profondo della già esistente».
A prezzo di una divisione, però.
«Oggi sempre meno avvertita. Non mi fraintenda: le differenze esistono ancora, ma pesano molto meno rispetto al passato, anche grazie ai contatti personali tra i cristiani delle varie confessioni, grazie alla consuetudine amichevole che trova particolare espressione nella Settimana di preghiera per l’unità. I frutti più signifi- cativi sono sul piano spirituale, in una sorta di meticciato che riguarda sì il rapporto fra una Chiesa e l’altra, ma anche il modo in cui in ciascuna comunità si prega, si legge la Parola di Dio, la si studia e commenta. È un risultato importante, rispetto al quale non si potrà più tornare indietro. Anche perché non c’è alcuna intenzione di farlo, per fortuna».
La valorizzazione del comune Battesimo è la via su cui proseguire?
«In senso assoluto sì, per quanto ci siano aspetti delicati, da non sottovalutare. La questione del Battesimo dei neonati, sollevata nel Cinquecento dal movimento anabattista, non è ancora stata discussa nelle sue implicazioni, che restano tutt’altro che irrilevanti. Se ci atteniamo alla testimonianze più antiche, ci rendiamo conto di come a essere battezzati fossero sempre adulti che, consapevoli della propria fede, richiedevano espressamente di diventare cristiani. Il Battesimo dei neonati non risponde a questa logica e richiederebbe, se non altro, un supplemento di riflessione condivisa. L’obiettivo non è necessariamente quello di accogliere la tesi anabattista, per la quale il Battesimo amministrato agli infanti è da considerarsi nullo. A dover essere chiarite sono semmai le implicazioni teologiche del Battesimo, anche in rapporto alla dottrina sul peccato originale».
Quali altri elementi andrebbero affrontati, a suo avviso?
«Senza dubbio quello relativo alla Cena del Signore. Com’è noto, la celebrazione dell’Eucaristia ha suscitato differenze e perfino divisioni nello stesso ambito protestante. La posizione di Lutero, nella fattispecie, era del tutto antitetica rispetto a quella espressa da Zwingli e il contrasto non è stato superato fino al 1973, anno in cui fu sottoscritta la Concordia di Leuenberg tra luterani e riformati».
In che cosa consiste, da ultimo, il contributo di Lutero al cristianesimo?
«Nel pieno riconoscimento del valore della libertà umana e, insieme, nell’accoglimento della Grazia incondizionata. Un tema, quest’ultimo, che può essere declinato in molti modi, compreso quello della misericordia da cui è stato caratterizzato il Giubileo appena concluso. Prima della Riforma, la predicazione della Chiesa insisteva sulla nozione di Grazia condizionata, per accedere alla quale sono necessarie forme di mediazione più o meno articolate. Con Lutero Grazia e libertà si ritrovano a convergere nel solus Christus, in una visione radicalmente cristocentrica che pure non ha nulla di esclusivo o, peggio, di esclusivista. Più semplicemente, affermare la centralità di Cristo significa riconoscere che in lui si trova tutto quello che è necessario alla nostra salvezza».
E dal punto di vista storico?
«Nel profondo Lutero è sempre rimasto un credente medievale, che però ha colto nella sua vicenda personale i primi lampi della modernità. Trovo molto toccanti, oltre che rivelatrici, le parole che gli vengono attribuite in punto di morte: “Siamo mendicanti, questo è vero”. È la preghiera dell’uomo medievale, che cerca Dio con tutto se stesso, senza mai smettere di invocarlo. Detto questo, andrà ammesso che in Lutero non sono mancate le contraddizioni, specie nel corso degli anni Trenta, quando il Riformatore invoca l’intervento dell’autorità politica per reprimere gli anabattisti e per mettere fine alla Guerra dei contadini. Sono scelte che segnano un punto critico e che oggi possiamo provare a spiegare in sede storica, a patto di non voler misurare il XVI secolo sulla base della nostra contemporaneità. Eppure, nonostante tutto, è innegabile che Lutero abbia immesso nella coscienza moderna la mina della libertà del cristiano, che si costituisce come soggetto dell’Evangelo in quanto oggetto della Grazia».
Ma Lutero aveva messo in conto lo scisma?
«Le sue intenzioni iniziali andavano nella direzione di un emendamento della dottrina sulle indulgenze: la rivoluzione del quadro ecclesiale non era assolutamente prevista, né voluta. Forse, se papa Leone X avesse letto il trattato Sulla libertà del cristiano che Lutero gli aveva devotamente dedicato, gli eventi avrebbero preso un altro corso. Fu la scomunica, purtroppo, a determinare il sorgere di un movimento autonomo e alternativo alla Chiesa di Roma».