Francesco Repice, re dei radiocronisti
Tra il re dei cantautori Lucio Dalla e il principe dei narratori radiofonici di Tutto il calcio minuto per minuto Francesco Repice, passano esattamente vent’anni: Dalla 4 marzo ’43, Repice 4 marzo ’63. Accostamento non solo anagrafico, perché in Tempo, Dalla canta «sembra solo ieri che la domenica ci si chiudeva in casa con la radio vedevamo le partite contro il muro non allo stadio». E Repice, appartiene a quella generazione, cresciuta con gli spari sopra degli “Anni di piombo”, che le partite, «prima il rito era solo alla domenica», le ha guardate contro il muro e poi allo stadio: da ultrà della Roma («Certo c’erano le “puncicate”, ma era un mondo riconoscibile quello degli ultrà che non è sinonimo di delinquenza, ma di spirito di appartenenza e difesa civile di un’identità tifosa») sintonizzato sulla trasmissione che poi è diventata una seconda famiglia. La sua famiglia naturale invece, era arrivata a Roma dalla Calabria dello zio Rocco, il “Principe” (partigiano cattolico fucilato dai fascisti a Cuneo) «elegantissimo, il mio idolo, anche se non l’ho mai conosciuto se non nei racconti di papà Salvatore, piccolo dirigente della Singer che poi a Luzzi (Cosenza) aprì un calzaturificio d’alta qualità: vendeva alla Casa Bianca, il presidente Bill Clinton mandava i pullmini a prendere le scarpe da far volare fino a Washington... Mamma Maria era cosentina e ogni estate da quando sono nato l’ho passata a Tropea, a pescare in barca con i miei amici fraterni».
Sassuolo-Milan, l’ultima delle 100 battaglie stagionali
Il mare di Tropea per il riposo del guerriero, dopo le 100 battaglie stagionali. E Repice è pronto per l’ultima di domenica: il matchball scudetto del Milan a Reggio Emilia, al Mapei Stadium, contro il Sassuolo. «Il campionato più avvincente e incerto da quando faccio radiocronache. La Serie A non vale la Premier? Io questa genoflessione verso il calcio inglese non la tollero più. Lì ci sono due squadre marziane, Manchester City e Liverpool che dispongono di miliardi e quindi comprano il meglio, ma poi dalla metà classifica in giù sono club normali, alla portata perfino delle nostre signore provinciali. Il Var ha deciso lo scudetto? Non credo, anche se il Var a me non piace: non concepisco la ricerca spasmodica della giustizia terrena applicata al calcio. Il Var è una forma di deresponsabilizzazione, un parafulmine che non funziona e poi quest’anno ha fatto disastri ». Parola di un osservatore attento dall’alto della sua postazione di Radio Rai Sport, di cui è l’ultimo capitano di lungo corso. «Vado per i trent’anni di militanza. Nazionale compresa, passo almeno 150 giorni lontano da casa per raccontare le partite agli italiani, una fatica che comincia a pesare, ma riconosco che è anche la mia grande fortuna, un lungo viaggio da privilegiato, che prosegue».
La grande scuola di “Tutto il calcio...”
Un ragazzo fortunato Francesco “the voice” Repice – cito il collega e amico del “Giornale” Massimo M. Veronese – ultimo epigono dell’alta scuola dei radiocronisti iniziata da Carosio, proseguita con i duellanti Ameri e Ciotti, fino al serafico Cucchi e sua sobrietà Gentili, con il quale (da bordocampista in uno Juventus- Roma) è cominciata questa lunga “era repiciana”. L’unico fuoriclasse dei radiocronisti italiani, conosciuto e salutato come un idolo negli stadi anche dai più giovani, venne lanciato come seconda voce di Tutto il calcio dall’impareggiabile Ezio Luzzi «che a 88 anni va ancora in diretta sull’emittente di “casa”, ElleRadio».
Il ragazzo di Calabria e la formazione cristiana
Ma prima del calcio e della radio, per il ragazzo di Calabria c’è stata la formazione «cristiana», al Liceo del Collegio Arcivescovile di Cosenza. «Anni importanti con preside e padre spirituale don Angelo Chiatto: un sacerdote severo ma affettuoso che conosceva la vita, mi ha insegnato tanto». Insegnamenti scaturiti nella passione teologica. «Ho studiato teologia da autodidatta. Fondamentale è stata la scoperta dei precetti di monsignor Samuel Ruiz Garcia, il vescovo del Chiapas, a san Cristobal de Las Casas. La “teologia della liberazione” mi ha guidato fin qui e portato dritto da papa Francesco. Papa Bergoglio è un faro e non sopporto che spesso il suo pensiero venga strumentalizzato, c’è chi ogni giorno lo tira per la tunica solo per giustificare interessi di parte. L’ho incontrato? Mai. Certo mi piacerebbe moltissimo confrontarmi con il Papa, ma a me basta già sapere che c’è e vive a un passo da casa mia».
Gli esordi a “Il Popolo” con Mattarella direttore
Presenza rassicurante quella del Santo Padre oggi, così come in passato è stata fondamentale nel praticantato giornalistico quella dell’attuale Presidente della Repubblica. «Ho avuto la fortuna di avere Sergio Mattarella come direttore a “Il Popolo”. È lì che ho cominciato questo mestiere con giovani colleghi straordinari come Giovanni Grasso, Francesco Graziani, Roberto Di Giovampaolo, Francesco Saverio Garofani. Mi sono abbeverato della cultura infinita di Pio Cerocchi che considero un secondo padre. In quella redazione si avvertiva già la grande statura morale di Mattarella, al quale bastavano poche parole per farsi capire. L’ho rivisto? No mai, ma io per le istituzioni ho un rispetto sacrale, mi tengo a debita distanza. Al Presidente comunque mando sempre i miei saluti tramite Giovanni Grasso che è diventato il suo portavoce e lo ringrazio anche qui, pubblicamente, per essere la mia personale medaglia al petto e soprattutto per il servizio clamoroso che ha reso al Paese in questi anni dal Quirinale».
Prima degli stadi lo scoop delle Brigate Rosse.
Fin qui radiocronaca di vita privata e professionale, e prima di scendere in campo va ricordato un intermezzo importante che vide Repice protagonista al processo delle Brigate Rosse. «Beh, quello è stato un classico colpo di fortuna. Il Gr1 mi manda a Rebibbia e intercetto al volo Germano Maccari, uno dei sequestratori di Aldo Moro. Stava entrando nell’aula bunker quando riesco a carpirgli due dichiarazioni bomba: “Moro l’avevamo infilato in una cesta, il primo colpo di pistola che gli sparammo si era inceppato...”».
L’intervista sfumata con il “Fenomeno” Ronaldo
Uno scoop in piena regola, come quello che all’esordio allo sport stava per fare con Ronaldo, il “Fenomeno”. «Grazie all’amicizia con Sandro Mazzola riesco ad accedere allo spogliatoio dopo Roma-Inter, la prima amichevole italiana di Ronaldo. Mi piazzo davanti alla doccia con tecnico Rai e microfono acceso. Ero emozionatissimo, ce l’ho solo io il “Fenomeno”, mi ripetevo in piena trance agonistica. Il brasiliano esce dalla doccia, mi sorride, sto per partire con l’intervista esclusivissima, quando dal nulla sbuca un altro microfono, quello di Pascal Vicedomini (giornalista di cinema) che a tradimento gli fa: «Ronaldo, cosa si prova ad essere mister cento miliardi?». Ronaldo saluta seccatissimo e se ne va senza fiatare... A quel punto stavo per strozzare il collega – sorride – . Poi col tempo ho imparato che sono cose che succedono nel nostro mestiere».
José Mourinho, l’allenatore insuperabile
Nessuno è infallibile, neanche mastro Repice che durante la conferenza stampa post Chelsea-Inter (0-1) di Champions scatenò l’ira funesta di Josè Mourinho: «Era l’anno del “triplete”, seguivo tutte le gare dell’Inter. Quando gli chiesi se ci fosse un rigore a favore del Chelsea, lo “Special One” si alzò e andò via... I colleghi mi odiarono... Da allora odio Mourinho? No, era e rimane il più grande di tutti. Ero lì in campo al Bernabeu la notte della finale di Champions Inter-Bayern e provo ancora i brividi quando ripenso all’abbraccio tra Josè e Materazzi all’imbocco dello spogliatoio... Da romanista sono orgoglioso che Mourinho sia il nostro allenatore, so per certo che se ne andrà da Roma solo dopo che avrà vinto».
L’ultima rivoluzione da noi l’ha fatta Paolo Rossi
Raccontare vittorie e sconfitte è il suo mestiere. «Potenza della radio che, rispetto alla televisione, ancora permette alla gente di accendere la fantasia e lavorare d’immaginazione». Potere del calcio, capace di compiere quella che Repice considera l’ultima «vera rivoluzione » culturale avvenuta in questo Paese. «Quando in qualche trasferta con la Nazionale ho avuto la fortuna di stare con Paolo Rossi, ricordo il suo stupore quando lo fermavano per la strada. “Ma come fanno a ricordarsi di me?, mi chiedeva candido Rossi. E io gli rispondevo: Paolo, ma tu con i tuoi gol al Mundial dell’82 hai riportato gli italiani nelle piazze, hai ridato il sorriso alle nostre madri che vivevano con il terrore di quegli anni in cui, a Roma come a Milano, si sparava tutti i giorni e l’appello accorato era: “Appena esci da scuola, corri subito a casa!”. Pablito c’aveva liberato anche dalla marcatura asfissiante delle mamme...».
Nel mio Olimpo: Totti, Morales e Maradona
Ha riso di gioia Repice per gli “scavini” e i “cucchiai” magici di Francesco Totti, «l’uomo che mi ha permesso per 25 anni di entrare a testa alta negli stadi di tutto il mondo». Ma ha anche pianto, «di commozione, per la vittoria di Abidal che alzava la Champions con il Barcellona dopo aver sconfitto il tumore al fegato. Ho provato anche lo strazio in diretta nel commentare la morte dell’ispettore di Polizia Filippo Raciti, ucciso, nel 2007, durante gli scontri nel derby Catania-Palermo...». Un inferno addolcito dall’«emozione cristiana provata a Gerusalemme, al Getsemani, ma anche a Soweto in mezzo ai sudafricani figli di Mandela, da inviato al Mondiale del 2010». Tutta la vita, collegato da tutti i campi, senza nemmeno un paragone, canterebbe ancora Dalla. Anzi no, uno sì. «Vito Hugo Morales, l’uomo che a Mexico ’86 ha raccontato alla radio argentina i prodigi della “mano de Dios” Maradona, senza praticamente parlare. L’ho conosciuto a Madrid, per la finale della Libertadores tra il River Plate e la mia seconda squadra del cuore, il Boca Juniors. Abbiamo passato un pomeriggio insieme, Morales è un genio assoluto, inarrivabile».
Ai Mondiali per tifare Argentina e il sogno finale
Un incontro sorianesco quello con il maestro argentino, “hombre vertical” come il nostro Nando Martellini che, in telecronaca al Mundial dell’82, calò un tris epocale ripetendo il mantra: «Campioni del mondo, campioni del mondo, campioni del mondo!». Repice per sette volte ha pronunciato il nome di Jorginho nella finale di Euro 2020 vinta dagli azzurri di Roberto Mancini. «Un esorcismo prima del calcio di rigore di Jorghinho con cui abbiamo conquistato l’Europeo. In Qatar che farò senza gli azzurri? Tiferò Argentina come alla finale che perse contro la Germania in Brasile, sperando che questa volta la Coppa del mondo sarà Leo Messi ad alzarla. Leo? Un grande, ma io dico sempre ai ragazzi che l’esempio più alto del calcio rimarrà in eterno Diego Armando Maradona, per la capacità che ha avuto di fare tutto alla luce del sole, per aver pagato l’essersi schierato sempre dalla parte giusta, quella degli ultimi». Sensibilità del radiocronista dell’anima che chiude il collegamento guardando al futuro: «Trovare più tempo da dedicare a mia moglie, che è laziale – ma ciò non ci ha impedito di avere rapporti civili in tutti questi anni – e alle mie figlie. Il sogno finché sarò al mio posto in radiocronaca? Due sogni: raccontare la finale mondiale dell’Italia e quella di Champions della Roma, ovviamente con Mourinho in panchina».