sabato 17 settembre 2016
​Rai 2 ha trasmesso uno speciale sui figli di papà che navigano nel lusso. Una caduta di stile che getta ombre sul ruolo delle reti televisive statali.
Il peccato di ostentazione dei "ricchi sfrontati" (M.Cecchetti)
Quei giovani ricchi che piacciono alla Rai
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Per la cagnolina Tiffany il personal chef prepara un filettino con broccoli. Del resto è un animaletto un po’ viziato. Non meno dei suoi padroni, Gio e Gala: tartare per lui; foie gras scottato per lei. Il pranzo è feriale e Gio sta per Giovanni Santoro, 26 anni, procuratore calcistico, vive a Londra, ama le auto di lusso e gli oggetti d’oro al punto da far dorare la sua Bentley, un bolide seimila di cilindrata («Mi è sempre piaciuto stare al centro dell’attenzione», confessa candidamente). Gala sta invece per Galina Genis, russa, si occupa di investimenti finanziari e ha una passione smisurata per lo shopping. Nel guardaroba grande come un monolocale ha sistemato duecentocinquanta paia di scarpe (le prime cento sono quelle che usa più spesso) oltre a una miriade di vestiti di cui una buona parte ancora con l’etichetta e il cartellino del prezzo (alto, molto alto). Gio e Gala sono fidanzati, ma soprattutto sono ricchi sfondati. Passano le vacanze a Ibiza in ville da decine di migliaia di euro a notte. Da un po’ di tempo si sono stancati di Cannes e di Saint Tropez. Anche Federico Bellezza è molto ricco, ma a Cannes continua ad andarci: lui in hotel a cinque stelle sulla Croisette; gli amici in quattro in una stanza di un tre stelle di periferia. Federico, nonostante i suoi 23 anni, veste classico, con abiti fatti su misura, e sfreccia nella sua Torino con la Porsche avuta in regalo per la laurea. Stesso cadeaux per la stessa occasione (auto però diversa: una Maserati) per il rampollo della famiglia Franceschi, il ventunenne Alberto, che per non esser da meno di Gio ha fatto rivestire il proprio bolide di velluto nero. Anche Camilla Lucchi, per la sua laurea alla Bocconi, ha ricevuto dal padre imprenditore veronese le chiavi di un Suv. Ma a lei, come a Gala, piacciono di più i vestiti e soprattutto le vacanze esclusive in tante parti del mondo di cui dà ampio conto postando le immagini su Instagram, cosa che, insieme alla ricchezza, accomuna tutti questi giovani. Ognuno di loro ha infatti decine di migliaia di follower. Alberto, con quasi settantamila persone che lo seguono, batte tutti. Ma Camilla non demorde, anche se per ora è sotto la metà, mentre Federico si avvicina ai ventimila inseguito da Giovanni. A questo punto si è capito di chi stiamo parlando: dei “rich kids” di Instagram, giovani ricchi che amano “condividere” (loro negano che si tratti di ostentazione) le proprie “imprese” e i propri “oggetti” sui social network e già diventati un format televisivo per Mtv, che sta lavorando addirittura a una serie. A loro, dopo gli Stati Uniti, anche la tv italiana ha dedicato uno speciale (un, docu-reality, si direbbe oggi) andato in onda su Rai 2 lunedì scorso intorno alla mezzanotte in coda al debutto stagionale di Pechino Express. Ma il fatto è che dal giorno dopo, anziché parlare dell’adventure game condotto da Costantino Della Gherardesca, non si parla che di Gio- vani e ricchi, il documentario, appunto, firmato da Alberto D’Onofrio.  Potenza della Rete, dunque, che dapprima ha portato davanti al video poco meno di un milione di telespettatori con uno share superiore al dieci per cento, e poi ha ospitato un dibattito senza esclusione di colpi. Lo scrittore Sandro Veronesi ha parlato esplicitamente di «vaccata» prodotta con i soldi dei contribuenti. Il deputato del Pd Michele Anzaldi, segretario della Commissione di vigilanza Rai, ha annunciato un’interrogazione parlamentare per sapere quant’è costata la produzione. Maurizio Lupi, componente della stessa Commissione, ha chiamato in causa la nuova direttrice di Rai 2, Ilaria Dallatana, «per capire quale sia stata la ratio di tale scelta». In molti si sono interrogati sull’utilità sociale di un programma del genere. Ma c’è anche chi ha parlato di «tv pedagogica » riecheggiando quella di Bernabei. Insomma, ognuno ha detto la sua, soprattutto i tanti giovani che sui social si sono confrontati anche a maleparole direttamente con i protagonisti del “rich kids” all’italiana. Certo è che le perplessità sull’operazione non mancano. Non tanto per la scelta di raccontare una storia che riguarda una minoranza di fortunati, secondo alcuni, o di infelici, secondo altri: comunque, una parte marginale della popolazione. Anche se questo non conta. Le storie non hanno bisogno di maggioranze qualificate. Il problema sta semmai nel modo di raccontarle o di inquadrarle. Questi giovani, per ammissione della stessa direttrice di Rai 2, non vengono esaltati, né demonizzati: «L’approccio è quasi scientifico». Però non vengono nemmeno incalzati con le domande. Si lasciano liberi di affermare che «non importa quanto costa, io cerco quello che mi piace», che «non potrei sposare il pizzaiolo di Grosseto perché non ha le mie stesse possibilità » (con buona pace degli stimati professionisti della pizza e del capoluogo maremmano a cui va la nostra solidarietà), che «leggendo Donald Trump ho capito che non sarò mai per la comunione dei beni», che «mi piace il golf perché sono io contro tutti e non in una squadra». Questi giovani, ma soprattutto le loro idee non vengono giudicate o commentate. Né prima né dopo il programma. Nessuno replica ad Alberto quando dice che «se non hai un sogno nella vita sopravvivi e basta». Certamente, ma quel sogno non possono essere i soldi e basta. Giovani e ricchi è stato buttato là, in pasto ai telespettatori per il semplice fatto che i personaggi funzionano sui social. Ma la Rai è servizio pubblico e questo non se lo può permettere. Ha dei doveri nei confronti degli utenti. E anche i rimandi tra web e tv rischiano così di diventare un circolo vizioso. Non ci si è preoccupati nemmeno di sottolineare come questi ragazzi, nella sbornia dei social, abbiano bisogno del virtuale per sentirsi veri, per sentirsi vivi, per superare la solitudine della loro esclusività.
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