martedì 25 maggio 2021
Grazie a proteine sensibili alla luce sintetizzate nell'occhio da un gene inserito con vettore virale, un 58enne colpito da grave retinite pigmentosa riesce a vedere alcuni oggetti. Speranza per molti
Quasi cieco rivede la luce con tecnica rivoluzionaria: l'era dell'optogenetica
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Sono speciali proteine attivate dalla luce: sintetizzate nelle cellule nervose dell'occhio, insieme a occhiali speciali, hanno permesso un 58enne francese che da 40 anni aveva perso quasi totalmente la vista a causa della retinite pigmentosa di tornare a distinguere alcuni oggetti. Il paziente ha riferito anche di essere in grado di individuare le strisce bianche degli attraversamenti pedonali, secondo quanto riportato sulla rivista scientifica Nature Medicine. Si tratta del primo caso di terapia efficace contro una malattia neurodegenerativa grazie all'optogenetica. Questa tecnica estremamente complessa utilizza luce di diversi colori per controllare l'attività delle cellule in precedenza modificate per rispondere agli stimoli di diversa lunghezza d'onda.

Le proteine fotosensibili sono state originariamente tratte da alcune alghe e con un vettore virale (un po' come nel caso del vaccino anti-Covid AstraZeneca) i geni che codificano per la loro produzione vengono inseriti nei neuroni. Finora lo si è fatto negli animali, con risultati straordinari, ma nell'essere umano il rischio di effetti collaterali sembrava ancora troppo alto. Limitando l'intervento alle cellule del sistema oculare si è riusciti ad avere un risultato molto promettente senza disturbi secondari apparenti.

La retinite pigmentosa è una malattia genetica degenerativa dell'occhio che causa la morte delle cellule che raccolgono la luce nella retina. Attualmente, non vi sono cure approvate, se non la terapia genica tradizionale (che sostituisce una versione difettosa di un gene con una sana) la quale funziona ai primi stadi della malattia e ha avuto successo solo in un particolare tipo della patologia. Ora un gruppo di ricerca dell'Università di Pittsburgh e dell'Università di Basilea, guidato da José Sahel e Botond Roska, con la società privata GenSight Biologics, ha iniettato in un singolo globo oculare un virus, reso inoffensivo, trasformato in "navetta" per trasportare il gene della proteina batterica ChrimsonR, che rende le cellule sensibili agli impulsi luminosi.



Il virus ha infettato le cellule gangliari della retina, connesse al nervo ottico, rendendole capaci di rispondere di nuovo alla stimolazione della luce. "Poiché la luminosità naturale non è sufficiente ad attivarle, gli studiosi hanno adottato una soluzione ingegnosa - ha spiegato all'agenzia Ansa Fabio Benfenati, dell'Istituto italiano di tecnologia (Iit) di Genova -. Hanno fatto indossare al paziente occhialini hi-tech, equipaggiati con una telecamera capace di riprendere l'ambiente e di trasformare le immagini in impulsi luminosi e di proiettarli sulla retina in tempo reale. In questo modo, vengono attivate le cellule modificate in precedenza". Il paziente non può vedere senza gli occhiali speciali anche perché gli impulsi continui di luce ambrata sono necessari alle cellule gangliari, che rispondono soprattutto a cambiamenti di luce. Se la luce è costante, le cellule non mandano segnali.

L'intervento è stato ben tollerato dal malato che, come detto, con l'occhio trattato è riuscito a riconoscere, contare e localizzare diversi oggetti di 10-20 centimetri. Il limite di questo tipo di terapia è che può essere usato per le malattie dei fotorecettori come la degenerazione maculare (che colpisce decine milioni di persone nel mondo), ma non per il glaucoma o la retinopatia diabetica, in cui vengono danneggiate proprio le cellule gangliari della retina, né per chi ha già perso definitivamente la capacità di vedere.

Ulteriori risultati dalla sperimentazione saranno necessari per avere un quadro più chiaro sulla sicurezza e l'efficacia della tecnica, dato che si tratta di uno studio pilota. Si sa che negli animali l'optogenetica ha mostrato di poter essere efficace contro il Parkinson, l'epilessia e aiutare nella riabilitazione post-ictus. In generale, la possibilità di inserire nel sistema nervoso umano le proteine che rispondono con estrema precisione alla stimolazione luminosa (grazie a una fibra ottica, se sono cellule interne) potrebbe permettere interventi per il trattamento di malattie psichiatriche finora incurabili. Ma si ipotizzano anche fantascientifiche manipolazioni della memoria, cambiando o rimuovendo specifici ricordi (per esempio, quelli spiacevoli o traumatici), come si è già riuscito a fare nei topi. Per questo l'optogenetica si presenta come una straordinaria opportunità ma anche un ambito in cui sembra necessaria un'attenta valutazione dei risvolti etici implicati.


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