ll regista e attore Francesco Nuti con Ornella Muti in una scena del film “Tutta colpa del Paradiso” (1985)
Lo stambecco bianco che nasce, dicono, ogni 400 anni. La baita sotto il Gran Paradiso in cui i valdostani del paese cantano E la sera si fa fina con acuto di Silvia Annichiarico, la vocalist della banda Arbore di Quelli della notte. Tanto rumore per nulla? Forse no. Ma Madonna che silenzio c’è stasera… direbbe Francesco Nuti, icona della comicità nostrana, tristemente scomparso nel giugno 2023, a 68 anni . Silenzio in sala: al Trento Film Festival hanno proiettano uno dei film che alla metà degli anni ‘80 ne fecero il principe degli incassi al botteghino, Tutta colpa del Paradiso. Chi conosceva bene Francesco Nuti, dice però che non se n’è mai andato, perché continua a vivere, soprattutto nei racconti e gli aneddoti esilaranti del suo grande amico e sodale cinematografico, Giovanni Veronesi. Pratese, come Nuti, classe 1962, che sulla via ad Ovest di Paperino se decise di intraprendere i mestieri del cinema (attore, sceneggiatore da oltre 60 film e regista di 20 lungometraggi, l’ultimo nelle sale Romeo è Giulietta ) è stato grazie all’incontro con il suo Francesco. «A 17 anni, una sera, ero a Castiglion della Pescaia per andare a vedere uno spettacolo dei Giancattivi, il trio cabarettistico composto da Francesco, Athina Cenci e Alessandro Benvenuti, ma il biglietto costava 10mila lire... troppo per un ragazzino squattrinato quale ero allora. In quel momento passa Francesco, lo riconosco e gli faccio: Madonna, però quanto costa sto spettacolo! E lui che fa, mi dice: “Entra dai, il biglietto l’offro io”. Un sogno. Poi ci siamo persi di vista e ritrovati per caso a Roma. Ci siamo riconosciuti e il destino ha voluto che cominciassi a lavorare nel cinema con lui a Tutta colpa del Paradiso. Quella fu la mia prima sceneggiatura.
Ma come nacque quel film campione d’incassi e ancora di culto per la generazione dei ragazzi degli anni ‘80?
Francesco parlando una sera goliardica delle nostre mi disse: “Vorrei un figlio”. Io quella frase la interpretai come boh, vorrà un nuovo film. Così quella notte tornai a casa e di getto scrissi quattro paginette a penna in cui raccontavo la storia di Romeo che esce dal carcere dopo aver scontato cinque anni per rapina e va alla ricerca del figlio, il bambino che era stato adottato da una famiglia che vive in una baita sulle Alpi. Il mattino dopo gli portai quelle quattro pagine. Francesco le legge e meravigliato mi fa: “Giovanni oh, se questo soggetto l’hai copiato si va in galera, lo sai?”. Io gli dico: guarda Francesco che è mio. Lo fa leggere al produttore Gianfranco Piccioli che mi accoglie sospettoso e anche lui mi fa: “Guarda Veronesi che se è copiato noi si va tutti in galera”. Li convinco che è tutta farina del mio sacco e a quel punto chiamano Cerami per cominciare a lavorare alla sceneggiatura.
Non male, un debutto a tripla firma: Veronesi, Nuti, più lo scrittore e premio Oscar - per La vita è bella Vincenzo Cerami.
Vincenzo mi ha insegnato a scrivere un film, partendo dalla pantomima e da quella tecnica che ho affinato negli anni di leggere ad alta voce tutte le scene e le battute per poi entrare in tutti i personaggi del film. Cerami, con cui poi, assieme a Francesco abbiamo scritto anche Stregati, soprattutto mi fece comprendere l’importanza della condivisione, quel momento in cui in gruppo si sta costruendo la sceneggiatura. Oggi mi fa un po’ sorridere che quel film ambientato in Valle d’Aosta lo abbiamo scritto al mare, nella casa di Vincenzo, a Sabaudia. Quella era stata la casa di Pier Paolo Pasolini, accanto a quella di Alberto Moravia. Insomma c’erano tutti i crismi perché quello diventasse un film importante.
Nel cast di Tutta colpa del Paradiso figura anche la “musa pasoliniana” Laura Betti, che veniva da un cinema lontano dalla commedia di un comico emergente come Nuti.
Fu Cerami a chiedere alla sua amica Laura Betti di interpretare un ruolo peculiare come quello della perfida assistente sociale che vuole negare a Romeo (Francesco) la possibilità di rivedere il suo bambino. Alla fine Laura si divertì a girare il film anche perché Francesco gli stava molto simpatico.
In Tutta colpa del Paradiso c’è anche il caratterista di tutti i film di Nuti, l’assai poco valdostano Novello Novelli.
Figura mitica Novello, un uomo della notte avvolto da una nube di fumo delle sue quotidiane 40 Stop senza filtro. Arrivava da Poggibonsi , era stato l’impresario dei Giancattivi, ma prima aveva fatto da autista e factotum ai comici Mario e Pippo Santonastaso. Anche Novello era uno che veniva dalla cultura del bar del paese, quella che aveva respirato Francesco al Circolo Arci di Narnali, una frazione di Prato, dove si era fatto un nome anche come giocatore di biliardo che è il “coprotagonista” dei suoi film Io Chiara e lo Scuro e Casablanca Casablanca.
Dopo il successo di Tutta colpa del paradiso e Stregati, la ditta Nuti-Veronesi sforna Caruso Pascoski (di padre polacco); Willy Signori e vengo da lontano; Donne con le gonne fino a Occhiopinocchio. Ma qual è il vostro film più riuscito?
Caruso Paskoski, perchè credo di aver dato e raggiunto il massimo. Ero riuscito a trasmettere a Francesco quella comicità cattiva che non aveva mai espresso prima. Negli altri film la sua comicità era sempre cauta, romantica e invece con quel personaggio esprimeva quel cinismo che rimanda alla commedia all’italiana.
Lei Veronesi poi ha lavorato anche con Carlo Verdone, uno dei “quattro moschettieri” della comicità con Massimo Troisi, Roberto Benigni e appunto Nuti. Ma erano anche quattro amici?
Ho partecipato a delle cene in cui erano tutti e quattro riuniti. Si stimavano ma non parlerei di amicizia, anche perché Francesco era un “cane sciolto”. Rispetto a loro il suo era un “talento mimico” straordinario. Nuti veniva dalla commedia dell’arte e io non ho più incontrato un attore comico capace di stare zitto in scena per dieci minuti e riuscire a far ridere il pubblico solo con un cenno del viso. Forse Antonio Albanese ha una capacità simile a quella di Francesco.
Un talento anche canoro, visto che con Sarà per te partecipò al Festival di Sanremo 1988, piazzandosi al 13° posto.
Quella canzone l’aveva scritta suo cugino, Riccardo Mariotti, Francesco l’ha cantata e anche bene, perché lui aveva il dono raro di saper trasformare tutto in un palcoscenico, a partire dal set.
Fuori dal set, quando ripensa ai momenti più belli trascorsi con il suo amico Francesco cosa gli viene in mente?
Un capodanno, io e lui nella mia casetta in montagna, all’Abetone. Allo scoccare della mezzanotte non possiamo sottrarci al rito di buttare giù dalla finestra qualcosa del vecchio anno, e lui che fa? Getta giù un tacchino intero che finisce sulle teste di un gruppo di livornesi ubriachi che passavano di là proprio in quel momento. Volevano ammazzarlo di botte... Ogni volta che ci penso rivedo la sua faccia che gli urla: “Ragazzi su, calmatevi, sono Francesco, Francesco Nuti. Ma non mi avete riconosciuto?”. Oh non c’era verso volevano menarlo - sorride - . Alla fine lo salvarono, anzi ci salvarono, dei sensibilissimi maestri di sci.
Però non vi salvaste dalla figuraccia della pasta al sugo per Gianni Minà e il suo ospite a sorpresa...
Era il periodo in cui con Francesco si condivideva anche l’appartamento romano: affitto da 1 milione e 600 mila lire al mese, 1 milione e 300 le metteva lui, io le restanti 300 mila. Una sera mi dice all’ultimo momento di preparare una pasta al pomodoro perché avremmo avuto due ospiti a cena, ma non mi disse chi erano. Io comincio ad andare in ansia, tra pelati, padelle e l’aglio da chiedere alla vicina che mi supplicava: “Io l’aglio glie lo do, ma poi mi deve far fare l’autografo da Francesco Nuti…”. Insomma alla fine cuciniamo una schifezza di pasta al sugo pronta per gli ospiti che suonano alla porta. Entra Minà e dietro di lui dopo un po’ si palesa un ricciolino che lì per lì non avevo mica capito chi fosse. Era Maradona... Poi si è riso e scherzato tutta la notte, però mi dispiace che i peggiori spaghetti della mia vita li ho cucinati per Maradona e Minà.
Un altro talento di Nuti era proprio quello per il calcio.
Aveva un tocco di palla raffinato e una visione di gioco da n.10: sempre a testa alta, all’Antognoni. Nel Prato giocò con Paolo Rossi e il calcio provò a farlo diventare anche un mestiere, all’Aglianese, ma il suo talento per lo spettacolo era superiore a tutto e si mangiò anche il pallone.
Genio e sregolatezza finito male e troppo presto, perché?
Francesco aveva una sensibilità simile a quella che ha fregato tanti artisti. Ad ucciderlo è stata una maledizione che portava dentro di sé e da cui non è riuscito mai a liberarsi. Hanno provato a salvarlo con l’amore sua figlia Ginevra e il fratello Giovanni Nuti. Noi amici stretti gli siamo stati vicini fino alla fine. Una sera - sorride - andai sotto le finestre della clinica dove era ricoverato a fargli la “serenata” cantandogli la sua Puppe a pera. Era contento, si commosse e mi sorrise con gli occhi...
Nei momenti più bui pensa che Nuti si sia aggrappato alla fede?
Francesco credeva in Dio, lo diceva sempre. Intendiamoci, erra un bestemmiatore, come un po’ tutti i toscani, non rispettava i dogmi, ma possedeva un misticismo tutto suo. E poi era generoso e questo suo spendersi per agli altri l’ho sempre visto come un grande atto di fede.
Un Premio, assegnato nei giorni scorsi a Giuliana De Sio, e tutta la sua filmografia bastano a tenere viva la memoria di Francesco Nuti?
Monicelli prima di morire mi disse perentorio: “Giovanni, giurami che se ti danno un premio intitolato alla mia memoria lo rifiuterai”. Io gli risposi di sì, ma poi quando mi chiamarono da Grossetto per darmi il “Premio Monicelli” l’ho ritirato, scusandomi tanto con Mario... I premi possono anche far piacere, quello che mi fa star male invece è l’ignoranza dei giovani attori che vogliono fare questo mestiere e spesso non sanno chi è stato Francesco Nuti. È il destino dei comici, vengono dimenticati più in fretta perché ne nascono continuament. La gente è stata capace di dimenticare Chaplin, Stanlio e Ollio, e da noi Sordi, Tognazzi, Gassmann e Francesco...