Profughi vietnamiti chiedono aiuto (Archivio Ufficio Storico della Marina Militare)
1979, Mar Cinese Meridionale: una piccola imbarcazione viene intercettata dall’incrociatore Vittorio Veneto della Marina militare italiana. È il 29 luglio e a bordo ci sono i primi 128 profughi vietnamiti soccorsi dalle navi italiane in quella che verrà chiamata “Missione Vietnam”. Donne, uomini e bambini avevano fissato con i chiodi uno straccio sporco su quel che rimaneva della cabina della carretta del mare e con il catrame gli avevano scritto «SOS». Questi profughi furono ben presto ribattezzati “ boat people” e l’attività di recupero durò per quasi un mese dall’arrivo del convoglio nelle acque del Siam. Momenti che monsignor Luigi Callegaro, cappellano capo della squadra navale, annotò minuziosamente sul suo taccuino e che pubblicò a missione compiuta nel numero 4 del settembre 1979 di “Bonus Miles Christi”, la rivista dell’Ordinariato militare: «Quando sul ponte di volo si vedono correre e giocare i 125 frugoletti salvati si apre il cuore – scriveva Callegaro –. Ognuno di loro si è scelto un protettore e i genitori presenti sorridono inchinandosi in segno ossequioso di rispetto dinanzi a tale altruismo. Alla preghiera del marinaio si mettono tutti spontaneamente sull’attenti come i grandi e sembrano angioletti in preghiera – prosegue il sacerdote –. Questo è il momento in cui le due comunità fraternizzano fino all’ora della cena. Poi ognuno torna al suo posto». Una rotta, quella del ritorno a casa, che dal 2 agosto in poi vide impegnati ufficiali, sottufficiali e marinai ad alleviare le sofferenze dei migranti provati dalla fatica e dal viaggio. Tra i più attivi anche padre Filippo, un religioso vietnamita, che all’andata aveva tenuto agli equipaggi alcuni incontri sugli usi, i costumi e la cultura del Vietnam.
A tutti venne chiesto di gettare il cuore oltre l’ostacolo e aiutare migliaia di civili vietnamiti, uomini, donne e bambini, che scappavano dal regime comunista di Hanoi, respinti dagli Stati confinanti e costretti a salire a bordo di barche fatiscenti, zattere e scialuppe. Per giorni sbattuti tra le onde, in preda a burrasche e con il rischio di essere assaltati dai pirati. «Parlare del salvataggio dei cosiddetti boat people potrebbe apparire come una semplice rievocazione storica – spiega il capitano di vascello Giosué Allegrini, capo ufficio storico della Marina Militare –. Gli aspetti umanitari di questa missione nell’Estremo Oriente sono stati infatti trattati ampiamente, all’epoca e in seguito. È tuttavia possibile, al giorno d’oggi, scoprire diverse interessanti rivelazioni, sulla base di informazioni che non erano state a quel tempo divulgate, per motivi di sicurezza. Sono questi particolari a fornire la reale portata della straordinaria impresa non solo umanitaria, ma anche operativa, affrontata dalla nostra Marina Militare – aggiunge Allegrini –. Scopriamo oggi, infatti, che passarono meno di 48 ore tra la decisione governativa di intervenire e la partenza della prima Unità di quel Gruppo Navale costituito ad hoc con gli incrociatori Vittorio Veneto e Andrea Doria e la nave rifornitrice Stromboli. Una bella dimostrazione di efficienza, ovvero di quel genere di cose che non si vedono ma fanno la differenza tra le Marine e le Nazioni. Una missione di pace, peraltro, in un teatro di guerra. La Marina Militare, elemento di punta della Nato nel Mediterraneo durante la Guerra Fredda, disponeva a bordo delle unità di sistemi d’arma ad elevata automazione e con tempi di risposta per l’epoca ridottissimi. Fu quindi necessario adottare tutta una serie di accorgimenti al fine di evitare il rischio di incidenti nei confronti di navi o aerei vietnamiti, muniti di armamenti sovietici. Fu merito della felice collaborazione tra il nostro Corpo Diplomatico e lo Stato Maggiore Marina affinché questo pericolo fosse scongiurato, da una parte e dall’altra – sottolinea Allegrini –. È un fatto che oltre novecento fra uomini, donne e bambini furono recuperati dalle nostre unità navali, sfuggendo ad un ben triste destino e portati in Italia, a Venezia, in un radioso mattino dell’agosto 1979».
Tra i dettagli poco conosciuti anche i momenti dei preparativi delle tre unità navali e dei loro equipaggi: «Rientrate rapidamente dalle rispettive missioni in corso, Andrea Doria, Vittorio Veneto e Stromboli costituirono l’8° Gruppo Navale, vennero in tempi da record approntate negli Arsenali della Spezia e Taranto alle particolari e delicate attività di ricerca, recupero, soccorso e trasporto – aggiunge il capitano di vascello Leonardo Merlini, direttore del Museo tecnico navale della Spezia –. sulle tre navi furono costituite due sale operatorie e imbarcati migliaia di medicinali e vaccini, stivate oltre 25mila razioni ordinarie e migliaia di capi di vestiario e materiale speciale. In particolare, all’Arsenale della Spezia, che celebra quest’anno i 150 anni di ininterrotto funzionamento, dunque il più antico arsenale marittimo ancora in attività, spettò il compito di approntare nave Andrea Doria. La missione in Vietnam confermò la capacità della nostra Marina di poter condurre, in tempi ristrettissimi, attività di protezione civile anche in acque e mari lontani». Il 21 agosto l’arrivo a Venezia. Ad accoglierli il ministro della Difesa Attilio Ruffini, il sottosegretario agli Esteri Giuseppe Zamberletti, il vescovo ordinario militare Mario Schierano, il patriarca di Venezia Marco Cé. L’approdo nella città lagunare aprì un futuro di speranza ai fuggiaschi vietnamiti scrivendo uno dei capitoli più intensi della storia di solidarietà e accoglienza del nostro Paese.