«Gli anziani e i bambini si capiscono al volo, perché hanno in comune una certa fragilità. Per questo mi sono messo nei panni di un bambino, figlio di separati, ed ho voluto scrivere un film per la tv sulla sua storia». Pupi Avati ci anticipa il suo nuovo film,
Il bambino cattivo, dove ha deciso di raccontare il dramma della separazione attraverso gli occhi di un undicenne. La pellicola di un’ora e cinquanta andrà in onda su Raiuno il 24 novembre in prima serata, nella Giornata mondiale dei diritti dell’infanzia ed è nata da una proposta del regista accolta da Vincenzo Spadafora, responsabile dell’Autorità garante per l’infanzia e l’adolescenza, e la direttrice di Rai Fiction Tinni Andreatta. Il regista ha appena fatto un sopralluogo a Trento, dove pensa di girare, «perché mi serviva una città universitaria e perché la Trentino Film Commission funziona bene».Città universitaria perché il bambino, spiega Avati, «è figlio di due genitori intellettuali, che per me sono la peggior specie, perché hanno la testa grande e il cuore piccolo. Il papà è Luigi Lo Cascio, un professore di lettere, di quelli che si occupano di cinema. La moglie, Donatella Finocchiaro, insegna statistica, sono una coppia molto "politically correct", capiscono tutti, tranne loro figlio». «La situazione precipita – spiega – quando lei impone di cambiare appartamento, andando in una zona nuova della città. Il bambino, figlio unico, perde amici e luoghi di riferimento, intanto la coppia si sfascia: la moglie si deprime e diventa un’alcolista, il padre crede di rifarsi una vita con una sua ex che, a sua volta, è separata con figli e non vuole il ragazzino in casa. Il piccolo si ribella, viene definito "cattivo" e viene affidato a una casa famiglia. Purtroppo di situazioni così, in Italia ce ne sono fin troppe». La storia viene raccontata attraverso lo sguardo del piccolo «su cui ci sarà una troupe fissa guidata da mia figlia Maria Antonia, anche quando non dovrà girare – aggiunge Pupi Avati –. Non vogliamo perdere nulla del suo sguardo». Il regista confessa di essersi ispirato per il piccolo protagonista (che sarà scelto attraverso un casting) al nipote undicenne con cui ha un rapporto di comprensione totale: «Io lo intuisco, lo percepisco, ci capiamo al volo. Da nonno sono diventato migliore di quando ero un padre che anteponeva il lavoro ai figli». «Quando ho scritto la scena della prima notte del bimbo nella casa famiglia, nel suo lettino, tutto solo a cercare di addormentarsi, ho immaginato lì mio nipote e ho pianto» aggiunge il regista che però non accusa le strutture di accogliena, anzi: «Vi lavorano bravissime persone, ma stare a casa propria con i propri genitori è un’altra cosa». Per fortuna, c’è il lieto fine, perché, come dice Avati, «questo bambino se lo merita». Come se lo meriterebbero tutti i figli di separati. «Penso che una persona che genera un figlio, quando nasce gli fa la promessa che sarà suo padre o sua madre. E, salvo situazioni estreme che giustifico, il bambino ha dei diritti indiscutibili e imprescindibili. Invece i genitori di oggi spesso sono pessimi, specie certi padri». Insomma, su Raiuno, si vedrà finalmente un inno alla famiglia «vera», ed andrà a coincidere con l’altra attesa fiction di Avati,
Un matrimonio, su Raiuno da ottobre. «Io cerco in qualche modo, e non dovrei essere il solo, di raccontare storie che incoraggino la società a migliorarsi. Invece di puntare il dito sempre contro gli altri, i politici, i magistrati, i giornalisti, cominciamo a guardare noi stessi. Se la società è così è perchè la famiglia ha rinunciato al suo ruolo».