Riccardo Iacona conduce "PresaDiretta" - Ufficio Stampa Rai
La tribù dei telespettatori e la comunità dei cittadini attivi di questo Paese spaesato, ringraziano il servizio pubblico che trova la sua massima espressione in programmi di approfondimento come PresaDiretta. Da dodici stagioni, è sempre lui, Riccardo Iacona, ultimo “teletribuno” credibile e affidabile di mamma Rai, e non solo. È il capitano di una «squadra, composta da una ventina di giornalisti, compreso il sottoscritto, che girano l’Italia e il mondo per andare a fondo alle tante verità nascoste. Noi impariamo e conosciamo mentre facciamo la trasmissione, e questo metodo rappresenta la nostra “benzina giornalistica”», spiega il conduttore del programma che dall’1 febbraio, per i prossimi sette lunedì sfida tutto e tutti, auditel compreso – fisso intorno a 1,6-1,7 milioni di telespettatori a puntata – per andare in onda su Rai 3 (ore 21.20). «Finché ci stupiamo noi, siamo quasi certi che riusciremo a stupire anche il nostro pubblico», avverte Iacona.
Stupore, ma serve anche parecchio coraggio per ad andare in onda in prima serata e parlare di Amazzonia, vedi (domani sera) il reportage di Marcello Brecciaroli.
È il coraggio di chi ogni settimana, con i propri servizi, prova a far ragionare creando una nuova e diversa consapevolezza nell’opinione pubblica. Per far questo, puntiamo su un gruppo affiatato che lavora assieme da tempo, senza timori, approfondendo argomenti lontani dalla cronaca, in quanto la cronaca non se ne occupa. È un lavoro onesto che non va mai alla ricerca dell’effettaccio, tipico della tv che tende a tagliare con il coltello la realtà, separando i buoni dai cattivi. Credo che questo stile di informazione rimarrà a disposizione della Rai, a prescindere da me».
PresaDiretta edizione 2021 è partita con un focus sulla Sanità in Lombardia.
Il “caso Lombardia” ha insegnato che la medicina del territorio deve attrezzarsi meglio, specie se, come sostengono molti scienziati, dovremo fronteggiare altre possibili e forse peggiori pandemie. Il Covid-19 ha messo spalle al muro il capitalismo, che da qui in poi dovrà essere più intelligente, e non considerare come unica variabile il costo del lavoro. Una logica questa, che ha portato alla drammatica carenza di mascherine costringendoci a comprare quelle vietnamite, perché costavano cinquanta-cento volte di meno... Il virus ci ha fatto scoprire che l’umanità non è affatto al centro dell’universo, che siamo fragili e lo siamo ancora di più in un momento come quello attuale in cui non abbiamo la certezza della cura.
Per questo avete previsto altre due puntate “anti-Covid”?
Certo. Una verterà sull’aspetto prettamente clinico: le conseguenze che avrà il Coronavirus sui “sopravvissuti” e la problematica spinosa dei vaccini. L’altra è un “puntatone”, il sequel dell’inchiesta che Lisa Iotti fece sulla Sars2. In questo nuovo reportage partiamo dalla storia di quei migliaia di visoni abbattuti in Danimarca, e non solo. Andiamo alla scoperta degli allevamenti intensivi da cui originano certi piccoli spillover che trasmettono il virus all’uomo. Ormai sappiamo bene che produciamo in eccesso, a cominciare dal commercio fuori controllo delle carni. Siamo ostaggio di un mercato di trasformazione in cui sfruttiamo anche quelle risorse che servono per alimentare i tanti, troppi animali ammassati nelle stalle. Il presidente della Commissione Europea, Ursula von der Leyen, assai prima del Covid ci aveva avvertiti sulla necessità della transizione ecologica, e lo stesso aveva fatto la giovane Greta Thunberg...
Appelli inascoltati. E adesso siamo andati ben oltre i tempi supplementari dell’emergenza ambientale.
Noi narratori televisivi e tutti gli intellettuali che hanno a cuore la salute del pianeta, in quanto bene primario dell’umanità, abbiamo il dovere di scavare sotto questa terra malata e capire le cause dei mali che hanno portato alla distruzione degli ecosistemi che ci espongono ai “salti di specie”. Abbiamo cominciato con una puntata in cui indagavamo il passaggio dalla matrice fossile all’energia rinnovabile e proseguiamo con questo interessantissimo reportage sull’Amazzonia Lo facciamo con un giornalismo d’inchiesta che ci mette passione e “tigna” per spiegare alla gente in quale direzione sbagliata siamo finiti e quella giusta che potremmo, anzi dobbiamo imboccare per salvare il nostro futuro.
La “tigna” giornalistica di PresaDiretta è l’altra faccia, quella positiva, rispetto alla violenta rabbia sociale che è finita sotto la lente di ingrandimento delle vostre telecamere.
Durante una riunione di redazione è emersa la necessità di costruire un puntata che navighi sul “mare dell’odio” che è pronto a scatenare tempeste sulla nostra società ferita a morte dal virus. Gli effetti collaterali si sono già visti: rancore dilagante, proteste anti-lockdown cavalcate dagli estremismi politici che sono poi i teorici del negazionismo e i famelici costruttori del facile e labile consenso popolare. In questo mare galleggia pericolosamente una rabbia che ha trasformato in “nemici” i medici, i politici, le donne e anche noi giornalisti. Uno sciame d’odio, per le strade e nel web, sotto il grande e cupo ombrello della pandemia.
Davanti un altro mare, quello splendido che bagna la Calabria, intanto navigano le flotte piratesche della ’ndrangheta che sarà oggetto della puntata sull’operazione “Rinascita Scott”.
Non abbiamo tralasciato nulla di quell’inchiesta condotta dal Procuratore della Repubblica di Catanzaro. Nicola Gratteri. Sono 13mila pagine, trenta faldoni in cui i Ros per quattro anni hanno seguito e intercettato, è il caso di dire in “presa diretta”, i movimenti, i traffici, la vita quotidiana del clan Mancuso. Di fatto, la vita di un altro “Stato” che ha le sue banche e i suoi uffici paralleli, sempre aperti e frequentati da molti insospettabili. Un sistema di illegalità che poggia sul controllo delle terre e dei centri turistici, che comincia con la mediazione attraverso l’amico dell’amico del clan e finisce inevitabilmente in estorsioni pesanti e inestricabili. Vibo Valentia è il centro pervasivo di questo potere occulto e incontrastato, anche perché una parte della società civile spesso è connivente, mentre la maggioranza è vittima. E chi si azzarda a gridare il suo civilissimo «No», finisce come il povero Matteo Vinci, ucciso con un’autobomba dai Mancuso, nel 2018.
Dalle armi improprie delle mafie a quelle dell’industria nazionale che esporta in tutto il mondo.
L’industria delle armi è un altro “Stato parallelo” e internazionale: non segue le regole della trasparenza dello Stato e non risponde alle classiche logiche di mercato, né rispetta alcuna politica diplomatica.
Possiamo fare degli esempi concreti?
Si veda il caso dell’Egitto: l’Italia gli ha dato una commessa di armi nonostante fossimo in pieno “caso Regeni”. Così come continuiamo a darne alla Turchia, peraltro nemica giurata dell’Egitto. Lo stesso facciamo con la Libia, per non parlare dello Yemen: PresaDiretta per prima ha messo il naso nella Domusnovas, a Elmas, la fabbrica sarda che riforniva le bombe ai guerriglieri mediorientali. Ora sappiamo che il mercato delle armi è finanziato dai governi e si fonda su accordi sotterranei tra gli stati. Stiamo parlando di un mercato floridissimo, ma che non garantisce così tanti posti di lavoro. Per produrre gli F35 si parlava di 4-5mila persone occupate, quando invece non sono che qualche centinaia... In tempi come questi il messaggio da dare è: un carro armato in meno e una Rsa in più.