Un'immagine del film "La forma dell'acqua" di Guillermo del Toro, trionfatore agli ultimi premi Oscar
Vera teologia o esercizio teologico di "serie B"? "Semplice" strategia pastorale diretta prevalentemente ai giovani o spunto autentico di riflessione che sfida la prassi e il pensiero? E ancora: ricerca esercitabile solo in relazione alla musica leggera o estensibile anche ad altre forme di intrattenimento popolare come il cinema, la fiction, l’arte in generale, cioè i campi in cui si possono cogliere domande e risposte di senso?
Sulla Pop-Theology si è acceso di recente più di un riflettore, almeno da quando il vescovo di Noto, monsignor Antonio Staglianò, inserì in una sua omelia il canto di alcuni versi di canzoni, commentandone i testi. Che non fosse poi una iniziativa estemporanea, ma la punta d’icerberg di una riflessione più ampia, Staglianò (che ha al suo attivo anche una solida attività di teologo) lo ha provato successivamente in diversi modi e soprattutto dando alle stampe due libri, l’ultimo dei quali, Pop-Theology per giovani (Rubbettino, pagine 148, euro 14,00), è stato l’oggetto di un dibattito, svoltosi martedì alla Pontificia Università Lateranense, tra l’autore e monsignor Giuseppe Lorizio, docente di teologia fondamentale nella stessa università.
Accomunati dal ritenere la Pop-Theology un terreno fecondo di scambio tra il Vangelo, la fede e le forme di espressione tipicamente umane, anche quando dichiaratamente non cristiane, e determinati entrambi a proseguire la ricerca con gli strumenti propri della scienza teologica, Staglianò e Lorizio che è stato a sua volta coautore di un volumetto sull’argomento (La teologia tra scienza e fantascienza, a cura di Giandomenico Boffi, Lateran University Press, 2016, pagine 44, euro 4,00) - differiscono tuttavia nell’impostazione generale.
Concentrato su quelle che, afferma «non sono solo canzonette», il vescovo. Più incline a estendere il campo della riflessione il teologo, che ha dedicato studi soprattutto al genere fantasy e fantascientifico. Argomenta Staglianò: «Da sempre sono convinto che la "canzone da niente" come la chiama Karl Rahner abbia un valore culturale specifico e una sua qualità letteraria chiara». Del resto, aggiunge, «se l’Accademia della Crusca ha recentemente riconosciuto nelle canzonette un vettore di qualità della lingua italiana e il Premio Nobel per la letteratura è stato attribuito a Bob Dylan, un motivo ci sarà». Infine, sottolinea il vescovo, «i testi delle canzoni, da La Buona Novella di De Andrè a Occidentali’s kharma di Gabbani, sono pieni di riferimenti ai temi della fede, vista anche in maniera critica, che non possono lasciarci indifferenti».
Lorizio è sostanzialmente d’accordo, ma allarga il campo. «Indagando le grandi tematiche religiose e cristiane in produzioni cinematografiche come Io robot, Star Wars, Avatar, la trilogia di Matrix, Dio esiste e vive a Bruxelles, o anche in serie tivù come The young Pope o in quella prodotta da Netflix Altered carbon, per giungere al trionfatore degli Oscar di quest’anno, La forma dell’acqua, troviamo un duplice registro interpretativo che sfida e interpella il pensiero teologico». Da un lato, sostiene il docente, «questi prodotti ci aiutano a esercitare l’ascolto del nostro tempo nel tentativo di cogliere le "metamorfosi di Dio" nell’esperienza religiosa e spirituale dell’uomo postmoderno, e anche le stesse metamorfosi dell’umano. Dall’altro mostrano la valenza culturale della dinamica cristiana nell’offerta di un universo simbolico cui, attraverso forme espressive diversificate, gli autori di queste opere attingono a piene mani».
Il materiale e gli esempi del resto non mancano. Si prenda proprio la canzone di Gabbani che ha vinto l’anno scorso a Sanremo. «Quando dice che se "la vita si distrae cadono gli uomini / la scimmia si rialza", - fa notare Staglianò - manda un avvertimento chiaro a restare nel solco dell’umano, non andando dietro a frivolezze e fondamentalismi, altrimenti c’è il rischio che la nostra parte animale prenda il sopravvento».
È in un certo senso lo stesso messaggio che Lorizio coglie in film come Avatar e La forma dell’acqua: «Salvare l’uomo dalla civiltà delle macchine - nota il teologo - che rischiano di farci perdere il senso dell’umano. Ed è significativo che in entrambi i film chi ha conservato la propria umanità è un diversamente abile. Così come non può non interrogarci che in Io robot sia proprio il robot Sonny a pronunciare la frase "Io sono unico", che ha il potere di ricordarci, come in uno specchio, la nostra unicità di persone in relazione con gli altri».
In conclusione, il vescovo e il professore si dicono convinti che «la ricerca è ancora agli inizi». E che vale la pena di continuare nell’esplorazione di una sorta di «criptoteologia - afferma Lorizio - che va letta e interpretata e alla cui decifrazione la teologia può offrire un contributo non marginale, ma necessario, perché la ricezione di tali contenuti non sia ingenua e superficiale, ma il più possibile profonda e critica». O che, come aggiunge Staglianò, «anche valorizzando la grammatica dell’umano che si esprime nelle canzonette, possiamo rintracciare i semina Verbi laddove si trovano». In questo senso la Pop-Theology è una sorta di «aratura che smuove il campo del nostro cattolicesimo convenzionale e apre a una Chiesa in uscita».